Diecimila e un “perché?”. 15ª Domenica del Tempo Ordinario (A)

Perché? ...e perché? ...ma perché?

Torniamo bambini, e non abbiamo paura di assillare il Signore coi nostri «perché?». Sarà il segno che la Sua Parola ci interessa veramente e vogliamo capirla.

Letture: Is 55,10-11; Sal 64 (65);  Rm 8,18-23; Mt 13,1-23

«Perchè? …e perché? …ma perché?»

Tutti più o meno sappiamo che nello sviluppo e nella crescita dei bambini esiste una fase del «perché?».

Chi è genitore l’ha sicuramente sperimenta nei suoi figli e – a seconda del carattere e del grado di resistenza – sarà riuscito più o meno a “reggere l’urto”.

Sono veramente assillanti i piccoletti, con le loro richieste di spiegazioni, e spesso nemmeno la risposta che a noi sembra più adatta soddisfa le loro domande e la loro curiosità.

La parolina che ti assilla e ti si “pianta” dentro

Ho cominciato con questo esempio perché – nel vangelo di oggi – questa “parolina fastidiosa” (oltre a ricorrere ben 8 volte) è una specie di “freccia” scoccata dalla bocca dei discepoli per porre una domanda cruciale, che fa da linea di demarcazione tra la parabola del seminatore e la sua spiegazione.

Difficilmente Gesù si sottraeva alle domande dei suoi interlocutori (cfr Mc 11,27-33).

Di sicuro, mai a quelle dei suoi discepoli.

E le sue risposte lasciavano tutti meravigliati, tanto da ammutolire (cfr Mc 12,34).

La risposta che non ti aspetti

Ma quella di oggi è davvero tremenda; sembra quasi la conferma del dubbio insinuato dai discepoli:

– «Signore, ma perché parli così difficile alla gente? Non vedi che non ti capisce? E nemmeno noi. Sembra che tu lo faccia apposta!»

– «Proprio così! Perché a loro non è dato di conoscere i misteri del Regno dei cieli».

Devo ammettere che questa risposta mi ha sempre lasciato basito, perciò mi associo volentieri ai discepoli nel “piantare” quel tremendo «perché?» tra me e Gesù.

Ho bisogno di capire

Com’è questa storia? Davvero Dio vuole che non tutti Lo possano comprendere?

La prima lettura non paragona forse la Parola Divina all’acqua e alla neve, che non ritornano in cielo «senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata»?

Acqua e neve scendono dappertutto, e per tutti… Che ne è – allora – dell’annuncio del Regno di Dio, se non tutti lo possono accogliere?

Dio non è forse provvido e misericordioso con tutti? (cfr Mt 5,45)

Certamente! Anzi: proprio la parabola del seminatore ne è la conferma.

Dio non si smentisce

Purtroppo noi siamo tratti in inganno dalla spiegazione della parabola inserita nel brano, che ci fa puntare tutta l’attenzione sui diversi terreni e i diversi esiti della semina.

Anche a motivo di questa “piega” piuttosto “moralistica” gli esegeti (quasi concordemente) attribuiscono la rilettura della parabola (vv. 18-23) alla prima comunità cristiana piuttosto che non a Gesù stesso.

Essa, letta senza alcuna chiosa, dovrebbe – invece – farci notare anzitutto la smisurata generosità con cui il seminatore getta il suo seme, tanto che non tutto va a finire nella buona terra, ma un sacco di semente finisce pure sulla strada, tra i sassi e tra le spine.

Insomma, Dio non si smentisce: a tutti dona il “seme” che è la Sua Parola, su tutti fa piovere “l’acqua” della sua Grazia.

Ma allora perché non è per tutti?

Allora continuo a non capire: l’annuncio del Regno è per tutti sì o no?

Assolutamente sì!

Ma è proprio la diversa predisposizione davanti alla Parola a fare la differenza…

La parabola del seminatore altro non è che una rappresentazione plastica e “naturalistica” di ciò che è appena avvenuto davanti agli occhi di Gesù:

«Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole».

Gesù parla a tutti con la stessa abbondanza. Ma proviamo ad immaginarla questa marea di gente, e anche ad intrufolarci tra le persone, in incognito… ascoltiamo che cosa dicono:

– «Ma dove stiamo andando?»

– «Ah, non lo so… mi han detto che c’è un tipo strano, che parla in modo affascinante e a volte fa pure magie… sono curioso di vedere di che si tratta…»

– «Ma cosa dici? Non lo sai che quel Joshua viene da Nazareth di Galilea? Da quel buco di disperati cosa mai potrà uscire di buono? Io me ne vado a fare qualcosa di più importante! Non ho tempo da perdere»

– «Vai vai! Se ti fermi all’apparenza… Io ti posso giurare che Gesù fa davvero cose grandiose! Settimana scorsa ha perfino riportato in vita la figlia del capo della sinagoga!»

– «Ma non dire stupidaggini! La risurrezione non esiste! Non sarai mica un fariseo anche tu?! Noi Sadducei sappiamo che sono tutte baggianate raccontate per impressionare la gente!»

– «Davvero credi che io rinuncerei a tutto per delle baggianate? A me ha cambiato la vita! Mi ha risuscitato il cuore! Io non sono più quello di una volta, e proprio oggi voglio chiedergli di potermi unire al suo gruppo di discepoli!»

Dal “romanzo” alla vita

Ho voluto stendere in forma di prosa romanzata la citazione di tanti incontri di Gesù raccontati nei vangeli (spero li abbiate riconosciuti tutti), solo per dire come – davvero – la folla a cui Gesù sta parlando, altro non è che quel variegato insieme di terreni diversi sui quali viene versata abbondantemente la Parola di Dio.

Fuori di metafora siamo così anche noi, o no?

C’è chi – pur definendosi “cristiano” – nella fede si ferma alle cose sommariamente apprese da bambino e, quando non capisce qualcosa, dice tra sé: «va beh, che importanza ha?»

C’è chi magari, ogni tanto, si lascia esaltare da un ritiro spirituale, un momento di preghiera… ma il giorno dopo ripiomba nel suo arido e insipido quotidiano.

C’è chi aveva fatto il sincero proposito di fare sul serio, ma poi si è lasciato nuovamente schiacciare dai problemi e dalle preoccupazioni.

E – finalmente – c’è chi ha “rivoltato” la sua esistenza come un calzino, perché ha capito in profondità che il Vangelo è davvero fonte di vita.

Tutto parte dal quel “perché”

Cosa hanno i discepoli di così diverso perché Gesù dica loro «a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli»?

Sono migliori degli altri? Hanno dei meriti da vantare?

No di certo! I vangeli ce li presentano spietatamente, in tutta la loro fragilità.

Loro però, di fronte alla Parola, non sono rimasti indifferenti, ma l’hanno fatta diventare essenziale. Loro hanno preso sul serio l’invito finale di Gesù:

«Chi ha orecchi, ascolti».

Un conto è “sentire”, un altro è “ascoltare”.

Tutti coloro che hanno le orecchie (e non hanno problemi di udito) ci sentono, ma non tutti ascoltano. Anzi, la maggior parte – oggi come allora – non è disposta ad ascoltare, e così si avvera la tremenda profezia di Isaia:

«Udrete, sì, ma non comprenderete,
guarderete, sì, ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchi
e hanno chiuso gli occhi…»

I discepoli, invece, ogni volta che non capivano qualcosa non sono andati avanti alla cieca, e nemmeno hanno cercato in se stessi o nel mondo le risposte, ma hanno rivolto a Gesù la “fastidiosa” parola magica: «perché?»

Non hanno avuto paura di far la figura degli imbecilli (cosa che spesso ci blocca nel fare domande quando non capiamo).

Se non avessero “lanciato” un «perché?» al giorno, sarebbero rimasti indistinti in una folla anonima di “pecoroni” che si lasciano trasportare dalla massa, a seconda di come gira il vento e di dove tira la corrente.

La Bibbia è piena di “perché?”

i perché dei bambini

Credo proprio che anche questo continuare a tempestare il Signore di assillanti e impertinenti «perché?» sia una caratteristica di quel «diventare come bambini» che Gesù raccomanda a chi vuole entrare nel Regno dei cieli (cfr Mt 18,3).

La Sacra Scrittura è costellata di «perché?»: la maggior parte sono rivolti a Dio da semplici e poveri credenti in cerca della Verità.

Ne sono un esempio sublime i Salmi di supplica (cfr ad esempio Sal 2,1; Sal 10,1.13; Sal 22,2; Sal 42,6.10.12…).

Il «perché?» del credente non è pretenzioso e arrogante, ma è carico di fiducia e attesa. Esso sa anche accettare di non poter avere subito una risposta (cfr Gv 13,7 e Gv 16,12).

È l’atteggiamento di Maria, che – anche davanti alle cose incomprensibili del suo essere madre del Figlio di Dio – sa attendere e custodire i suoi «perché?» nel profondo del cuore (cfr Lc 2,48-51).

Alcune domande per riflettere

E noi che ne facciamo dei nostri «perché»?

Ci interessa veramente capire quello che il Signore ha da dirci o rimaniamo semplici ebeti all’ascolto delle Sue parole come fossero alcune tra le tante?

Davanti a ciò che non capiamo del Vangelo quando interpella la nostra vita, ci facciamo qualche domanda o no?

E soprattutto, le facciamo a Gesù o al mondo?

Io ho l’impressione che abbiamo diecimila «perché?» e «come?» per tutto ciò che riguarda le quisquilie di questa vita ma siamo assolutamente indifferenti a quella di cui ci parla il Signore.

Se non apriamo bocca e non “scocchiamo” verso Dio quell’unico «perché?» che conta, il seme della Parola farà su di noi lo stesso effetto che fa sulla strada, tra i sassi o in mezzo alle spine…

E allora, siamo impertinenti con Dio: tempestiamolo dei nostri «perché?»