Abbiamo abbandonato la sorgente di acqua viva

Acqua sorgente

Abbandonare il Signore è come cercare acqua in una cisterna screpolata durante una tremenda siccità invece di attingere alla sorgente inesauribile del Suo Amore

Commento alle letture di giovedì 21 luglio 2022

Letture: Ger 2,1-3.7-8.12-13; Sal 35 (36); Mt 13,10-17

In questo periodo di caldo torrido e pericolosa siccità persistente, capiamo subito l’immagine forte che chiude la prima lettura di oggi:

«Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo:
ha abbandonato me,
sorgente di acqua viva,
e si è scavato cisterne,
cisterne piene di crepe,
che non trattengono l’acqua».

Grazie al cielo non siamo ancora arrivati (per ora) a dover riazionare l’acqua o a doverci mettere in fila alle autobotti per elemosinare qualche litro da centellinare e non sprecare, ma – se andiamo avanti così ancora qualche giorno – mi sa che dovremo cominciare a preoccuparci.

La scelta scriteriata

Tornando al paragone tra la «sorgente d’acqua viva» e le «cisterne piene di crepe»: chi di noi sarebbe così stupido da bere da una bottiglia di acqua confezionata che ha nello zaino – magari anche un po’ calda (per quanto chimicamente “sicura”) – se sul sentiero di montagna si imbatte in una sorgente freschissima?

Sarebbe un idiota!

Eppure…

L’immagine di uno scriteriato che si ostinasse a preferire acqua stagnante e melmosa tratta dal fondo di un pozzo screpolato a quella che sgorga fresca da una sorgente, è la rappresentazione plastica del popolo di Israele, che sceglie di rifugiarsi in altre sicurezze piuttosto che confidare nel Signore.

Accumulare è idolatria

La cisterna è l’emblema dell’accumulare un bene prezioso (come l’acqua) del quale si crede di poter disporre a proprio piacimento in ogni istante, dimenticandosi da dove lo si è preso gratuitamente (il Cielo: il Signore Provvido e generoso).

Accumulare avidamente è segno di sfiducia in Dio, perché è come dire: «siccome non sono sicuro che domani il Signore mi dia ciò di cui ho bisogno, lo metto da parte ora, così da non dover dipendere da Lui».

Tale peccato ricorda quello della manna nel deserto:

il Signore disse a Mosè: «Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge

Mosè disse loro: «Nessuno ne faccia avanzare fino al mattino». Essi non obbedirono a Mosè e alcuni ne conservarono fino al mattino; ma vi si generarono vermi e imputridì. Mosè si irritò contro di loro (cfr Es 16,4.19-20).

La Provvidenza è ogni giorno

È da questo peccato di sfiducia in Dio che – implicitamente – chiediamo di essere preservati nel pregare ogni giorno il Padre Nostro:

«Dacci oggi il nostro pane quotidiano».

Letteralmente l’espressione significa «dacci ogni giorno il pane di cui necessitiamo per quel giorno»: né di più, né di meno, perché sappiamo che anche domani glielo potremo chiedere e lo riceveremo ugualmente dalla Sua generosità.

Avere fiducia nella Provvidenza non significa starsene con le mani in mano e aspettare che piova tutto automaticamente dal Cielo, ma darsi da fare per la misura giusta e necessaria di quella giornata, fiduciosi che – fatta la nostra parte – Dio ci ricompenserà come solo Lui sa fare, non solo del necessario, ma anche di più.

Invece pensiamo a come vanno le cose oggi… a quanto anche il lavoro non sia più un guadagnarsi onestamente il pane ogni giorno, ma fare sempre più straordinari per potersi permettere più del necessario, e sconfinare nel superfluo.

Come ci siamo ridotti?

Abbiamo molto da riflettere su come ci siamo ridotti; anche noi assomigliamo al popolo descritto da Geremia nella prima parte del brano:

«Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza,
dell’amore al tempo del tuo fidanzamento,
quando mi seguivi nel deserto…


...Io vi ho condotti in una terra che è un giardino,
perché ne mangiaste i frutti e i prodotti,
ma voi, appena entrati, avete contaminato la mia terra
e avete reso una vergogna la mia eredità»
.

Finché camminavamo nel deserto ci fidavamo del Signore e Lo seguivamo, ma una volta arrivati nella “Terra Promessa” ce ne siamo dimenticati e abbiamo seguito i nostri “idoli”.

Traducendo l’allegoria: fintantoché la società viveva uno stile rurale, seguendo i ritmi della natura e accontentandosi del necessario, si affidava a Dio e alla Sua Provvidenza… ma quando si è “emancipata” e ha conosciuto il benessere del cosiddetto “miracolo economico”, ha cominciato ad accumulare sempre più, a tuffarsi nel superfluo fino a ingolfarsi.

Il miraggio del miracolo economico

Ha costruito “cisterne” (assicurazioni sulla vita e su tutto), moderni “templi” (centri benessere, luoghi di svago e divertimento sfrenato), convinta di poter fare a meno della “sorgente”…

Si è perfino creata “bevande alternative”, che ci fanno credere di poter estinguere per sempre la sete!

Ma ora che le si stringono i panni addosso (pandemia, guerra, siccità, recessione economica, inflazione alle stelle…) si rende conto che le cisterne erano screpolate e hanno perduto tutta l’acqua che credeva di aver accumulato.

Quanto assomiglia questa immagine all’atavico problema delle reti di distribuzione idriche del nostro Paese, che disperdono il 40% e più di quel bene così prezioso che ci mantiene in vita e di cui ora abbiamo così bisogno!

La conversione necessaria

Io credo che ci è richiesta una grande conversione, prima di tutto morale (ovvero: ricordarci da Chi ci viene il dono della vita, Chi è la nostra «sorgente di acqua viva»), e assieme ecologica, secondo lo spirito dell’enciclica Laudato Si’, sulla cura della casa comune nella quale viviamo.

Tutti – a parole – diciamo che bisogna correre ai ripari (e che ormai è anche già troppo tardi), ma – nei fatti – continuiamo egoisticamente a preoccuparci solo del nostro benessere.

Basti vedere quanti – tutt’oggi – continuano bellamente ad annaffiare i loro giardini all’inglese, disinteressandosi di tutto e di tutti… chi lo sa? Magari pensano di mangiare l’erba del loro giardino quando non arriverà più nulla sulle nostre tavole a causa di una siccità irreparabile.

Inutile e ipocrita pregare

In tal senso è davvero stucchevole che ci si metta a pregare il Signore (e a spolverare antiche formule di vecchi Messali) per il dono della pioggia, se nello stesso momento si continua a sprecare acqua, come se non ci fosse un domani (ci sono anche dei preti “in” che hanno un bellissimo e rigoglioso prato all’inglese nel proprio giardino, annaffiato 24h/24h).

Suona ipocrita tanto quanto le preghiere «per la pace nel mondo» innalzate ogni settimana da cristiani che non fanno altro che guardarsi in cagnesco, perfino tra i banchi della loro chiesa parrocchiale!

Quando si facevano le Rogazioni o le Missae ad petendam pluviam la preghiera era sincera, perché nessuno era così egoista da sprecare l’acqua o accaparrarsela tutta per sé, ma la si rispettava, come San Francesco:

Lodato sii mio Signore, per sorella acqua, la quale è molto utile e umile, preziosa e pura.

Una favola per riflettere

In tema di acqua, di sete, di sorgente, vi lascio continuare la riflessione con una paginetta di uno dei miei libri preferiti:

«Buon giorno», disse il piccolo principe.

«Buon giorno», disse il mercante.

Era un mercante di pillole perfezionate che calmavano la sete… Se ne inghiottiva una alla settimana e non si sentiva più il bisogno di bere.

«Perché vendi questa roba?» disse il piccolo principe.

«È una grossa economia di tempo», disse il mercante. «Gli esperti hanno fatto dei calcoli. Si risparmiano cinquantatré minuti alla settimana».

«E che cosa se ne fa di questi cinquantatré minuti?»

«Se ne fa quel che si vuole…»

«Io», disse il piccolo principe, «se avessi cinquantatré minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana…»

(Antoine de Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe, XXIII)