Accogliere la Croce. 13ª Domenica del Tempo Ordinario (A)

Ognuno ha la sua croce

Gesù non ha portato la croce sulla terra, ma è venuto a insegnarci il modo di portarla per trasformarla in strumento di Amore e risurrezione.

Omelia per domenica 2 luglio 2023

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Letture: 2Re 4,8-11.14-16; Sal 88 (89); Rm 6,3-4.8-11; Mt 10,37-42

Spesso in confessionale arrivano persone che – oltre a lamentarsi delle proprie sofferenze – confessano di provare invidia e gelosia per la fortuna di tutti quelli a cui «va sempre tutto bene» e sono «più fortunati» di loro.

Vediamo solo la nostra croce

Io, dopo aver ascoltato pazientemente, come prima risposta sfodero la mia esperienza di ascolto nel ministero della Riconciliazione:

«da fuori sembrano tutti felici e contenti, ma appena entrano qui, ciascuno depone davanti al Signore una croce pesantissima».

Insomma, tutti portiamo una croce, più o meno grande, ma proprio perché ne sentiamo il peso opprimente, ciascuno sente la propria e quasi non vede quelle degli altri.

Simbolo di ogni dolore

Nel linguaggio cristiano (e non solo) la croce è diventata il simbolo di ogni sofferenza e dolore umano.

Le sofferenze sono sempre senza senso, anche quando in un certo senso «ce le siamo andati a cercare», ma alcune sono ancor più pesanti, e sono “croci” perché sembrano abbattersi sempre sulla stessa casa, su situazioni già precarie e dolorose, e in maniera del tutto immotivata e immeritata.

Una religione della sofferenza?

Ma allora perché Gesù ci chiede di portare la croce? Anzi: ci dice che prendere la nostra croce è condizione essenziale per essere suoi discepoli! Perché?

Il cristianesimo è una religione che esalta il dolore e lo propone come via per la salvezza eterna?

Assolutamente no!

La sofferenza non va cercata: essa – come ben sappiamo – fa già abbondantemente parte della nostra vita.

La sofferenza va accolta nel modo giusto.

Accogliere il dolore

Gesù non ci invita a portare la croce e basta, ma a portarla andando dietro a Lui, ovvero, imparando a fare della croce quel che ha fatto Lui: trasformarla da patibolo e luogo di tortura in occasione di donazione e Amore infinito.

La sofferenza, anche quella arrecataci ingiustamente e per cattiveria, è come il vento in mare: se lo si accoglie, come quando si dispone la vela per il verso giusto, ci sospinge al porto sospirato; se, invece, ci si mette “di traverso”, il vento spezza l’albero maestro e non possiamo far altro che naufragare.

Per diventare solidali

Inoltre, accogliere il dolore con docilità ci aiuta a diventare più solidali e comprensivi con tutti coloro che soffrono: se invece ci lamentiamo e ci arrabbiamo continuamente, diventiamo insopportabili a noi stessi e agli altri, e incapaci di provare pietà.

Questo è il senso della raccomandazione dell’apostolo Paolo quando ci invia a portare i pesi gli uni degli altri (cfr Gal 6,2): se invece di guardare i fratelli con invidia (pensando che siano più fortunati di noi) andiamo in cerca di qualcuno da consolare e supportare, sentiremo quasi svanire il peso della nostra croce.

È quello che sperimento quando vado a trovare degli ammalati che soffrono tantissimo e mi chiedono conto di altri malati e si preoccupano delle sofferenze altrui… credo sia proprio questo che li aiuta a non sentire il peso della loro croce e a vivere con serenità il loro calvario.

(Per quest’anno mi fermo qui: sulle altre parole dure ed esigenti di Gesù, vi rimando al commento che ho fatto tre anni fa).