Al bando la vendetta

Al bando la vendetta

Rinunciare alla vendetta non significa rinunciare anche alla giustizia, ma questa pagina ci insegna che il male si sconfigge solo con il bene e la misericordia.

Omelia per venerdì 19 gennaio 2024

Letture: 1Sam 24,3-21; Sal 56 (57); Mc 3,13-19

Ieri il brano della prima lettura si concludeva con la riuscita, da parte di Gionata, nel tentativo di placare l’ira di Saul nei confronti di Davide.

La pace dura poco

Andando avanti con la lettura, però, si constata che la cosa fu effimera: un «cattivo spirito»1 si impadronisce subito di Saul e fa crescere in lui l’ostilità nei confronti di Davide, che è costretto a fuggire per mettere in salvo la propria vita (cfr 1Sam 20 – 23).

Il racconto che leggiamo di oggi è la prima di due occasioni in cui Davide ha l’opportunità di liberarsi finalmente del suo persecutore ma, invece, lo risparmia.2

Nella “caverna” della coscienza

Durante il continuo inseguimento con intenti omicidi, Saul entra a cercare rifugio in una caverna, in fondo alla quale Davide si trova insieme ai suoi uomini.

Questa caverna mi pare la raffigurazione del mistero della coscienza e del cuore dell’uomo: qui dentro si agitano diversi pensieri contrastanti.

Istinto di vendetta

Anzitutto il pensiero istintivo della vendetta, rappresentato dal consiglio dei compagni di Davide:

«Ecco il giorno in cui il Signore ti dice: “Vedi, pongo nelle tue mani il tuo nemico: trattalo come vuoi”».

Il pensiero è subdolo, perché viene presentato addirittura come un consiglio del Signore!

Sentimento di pietà

Davide, però, decide di non dare ascolto all’istinto di vendetta, e – dentro di lui – prevale il sentimento del rispetto verso Saul che – pur essendo suo nemico e avversario – rimane «il consacrato dal Signore»:

«Mi guardi il Signore dal fare simile cosa al mio signore, al consacrato del Signore, dallo stendere la mano su di lui, perché è il consacrato del Signore».

Quello di Davide è un atteggiamento di pietà e ossequio, anzitutto nei confronti di Dio.

Ogni uomo è mio fratello

Credo che questa pagina ci insegni una delle vie maestre per incamminarci sulla strada del perdono: quando abbiamo di fronte la persona che ci ha fatto del male siamo invitati a guardarla non come un nostro nemico, ma come un figlio di Dio, e quindi un nostro fratello: è un pensiero che suggerivo qualche mese fa nella mia rubrica Storie dal confessionale.

Guardare ogni uomo, anche i nostri nemici, con gli occhi di Dio Padre è l’unico modo che ci può far capire la Sua infinita misericordia e aiutarci a distinguere il peccato dal peccatore.3

Correggere il fratello che sbaglia

Rinunciare alla vendetta, però, non significa abdicare nei confronti della giustizia; uscito dalla caverna, infatti, Davide costringe Saul a riflettere sul suo atteggiamento:

«Guarda, padre mio, guarda il lembo del tuo mantello nella mia mano: quando ho staccato questo lembo dal tuo mantello nella caverna, non ti ho ucciso. Riconosci dunque e vedi che non c’è in me alcun male né ribellione, né ho peccato contro di te; invece tu vai insidiando la mia vita per sopprimerla».

Saul non può che riconoscere quanta pietà e misericordia abbia usato Davide nei suoi confronti:

«Tu sei più giusto di me, perché mi hai reso il bene, mentre io ti ho reso il male… Quando mai uno trova il suo nemico e lo lascia andare sulla buona strada?»

Non si vince il male col male, ma con il bene (cfr Rm 12,21).

  1. Cfr 1Sam 19,9-10. ↩︎
  2. La seconda è narrata al capitolo 26. ↩︎
  3. Così si esprimeva Giovanni XXIII al n. 83 dell’Enciclica Pacem in Terris: «Non si dovrà mai confondere l’errore con l’errante, anche quando si tratta di errore o di conoscenza inadeguata della verità in campo morale religioso. L’errante è sempre ed anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità».
    Qualche anno dopo (1965) la Costituzione conciliare Gaudium et Spes, al n.28, ribadiva tale principio nel modo più solenne in assoluto: «Il rispetto e l’amore deve estendersi pure a coloro che pensano o operano diversamente da noi nelle cose sociali, politiche e persino religiose… Certamente tale amore e amabilità non devono in alcun modo renderci indifferenti verso la verità e il bene. Anzi è l’amore stesso che spinge i discepoli di Cristo ad annunziare a tutti gli uomini la verità che salva. Ma occorre distinguere tra errore, sempre da rifiutarsi, ed errante, che conserva sempre la dignità di persona, anche quando è macchiato da false o insufficienti nozioni religiose (cfr Pacem in terris). Solo Dio è giudice e scrutatore dei cuori; perciò ci vieta di giudicare la colpevolezza interiore di chiunque (cfr Rm 2,1-11)». ↩︎