Always connected. 29ª Domenica del Tempo Ordinario (C)

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Pregare sempre non significa stancare Dio a forza di parole, ma rimanere sempre in contatto con Lui

Letture: Es 17,8-13; Sal 120 (121); 2Tm 3,14-4,2; Lc 18,1-8

A volte leggendo il vangelo col vangelo (affiancando, cioè, pagine di diversi autori che riguardano lo stesso argomento) sembra di trovare delle contraddizioni.

Per esempio sul tema della preghiera.

Né ipocriti, né pagani

Nel vangelo di Matteo – poco prima di insegnare il Padre Nostro – Gesù raccomanda ai suoi discepoli di non pregare come gli ipocriti né come i pagani.

I primi hanno il difetto di pregare solo per farsi vedere (il termine “ipocrita” in greco significa “attore”):

«quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente» (Mt 6,5)

I secondi fanno lo sbaglio di credere di poter convincere Dio a forza di parole:

«Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole» (Mt 6,7).

E quindi? Quante parole dire?

Allora come la mettiamo, se nel brano di questa domenica Gesù racconta addirittura la parabola della povera vedova che importuna a morte il giudice per spiegare che bisogna «pregare sempre, senza stancarsi mai»?

Pregare bene (come insegna Gesù) significa dunque pregare molto? Dire tante preghiere?

Non contraddizione, ma completamento

Quando due brani di vangelo ci sembrano in dissonanza o in contraddizione, è il segno che dobbiamo leggerli assieme per capire meglio cosa Gesù voglia insegnarci.

Non sono in contraddizione, ma – anzi – si completano e chiariscono a vicenda.

Gesù vuole insegnarci che la buona preghiera non è questione di quantità (e nemmeno di qualità) di parole, ma di relazione (si veda anche la riflessione della 17ª Domenica).

È questione di relazione

Prendendo come esempio letterale la parabola del giudice e della vedova, verrebbe da pensare che l’unico modo per essere ascoltati da Dio sia quello di “stufarlo” a morte, di “importunarlo” al punto da farlo cedere.

È una tattica che usano spesso i figli nei confronti dei loro genitori.

Ma se ci pensiamo bene: perché i figli usano questa tattica? E – soprattutto – con chi?

La utilizzerebbero mai con il più severo e inflessibile dei propri insegnanti? Nemmeno per sogno! Perché sarebbero sicurissimi di peggiorare solamente la situazione.

Lo fanno coi loro genitori perché sono sicuri che cederanno. E cederanno non solamente per non avere ulteriori fastidi, ma perché il loro cuore si piega davanti all’insistenza delle creature che amano.

I figli sono sicuri di essere amati dai loro genitori, sempre, in qualsiasi momento e situazione.

La preghiera nasce dalla confidenza filiale

Immaginiamo la capacità unica di alcuni bambini di strappare concessioni improbabili dai loro genitori senza proferire parola, ma semplicemente “facendo gli occhi dolci”.

Ecco: questa è la preghiera.

Pregare senza stancarsi, in continuazione, significa non dubitare mai un attimo lungo tutta la propria vita che quel Dio che stiamo invocando è – e rimarrà per sempre – il nostro papà (o Abbà: “paparino”, come lo chiamava Gesù nel suo dialetto aramaico).

C’è un’intesa profonda tra i figli e i loro genitori (e viceversa), come anche tra due innamorati.

Le parole talvolta non servono. Anzi: sono di troppo.

Un esempio tecnologico

Amo fare un esempio per far capire ai ragazzi cosa sia la preghiera: i moderni cellulari, gli smartphone.

Cosa hanno di particolare questi aggeggi?

Sono sempre connessi (ecco spiegato in italiano il titolo di questa riflessione… mi perdonino i non anglofoni).

Sono sempre “agganciati” alla rete e – grazie ad essa – a tutto il mondo!

Chiunque – anche dall’altra parte del globo, in qualsiasi momento – potrebbe mandarmi un messaggio, via whatsapp, via email, o farmi una semplice e più tradizionale chiamata.

Questo è un esempio (molto mondano, se volete) che spiega bene cosa significhi l’invito di Gesù a capire la «necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai».

«Per te ci sono sempre»

È come quando diciamo a qualcuno a cui teniamo parecchio (e che magari sappiamo trovarsi in un momento di difficoltà o bisogno): «chiamami a qualunque ora. Il mio cellulare è sempre acceso: 24 ore su 24!».

Lui mi dice: «Sai che su di me puoi sempre contare, ad ogni ora, in ogni frangente! Mi trovi sempre “online”».

Ma se è vero che la preghiera è un dialogo che scaturisce da una confidenza reciproca (come quella che c’è tra due innamorati, tra figli e genitori), il Signore ci chiede a sua volta: «anche io posso contare sempre su di te? Lo trovo sempre acceso il tuo “telefono”? Lo trovo sempre aperto il tuo cuore?»

Un legame indissolubile

Quando i discepoli gli chiesero di insegnar loro a pregare, Gesù rispose:

«Quando pregate, dite: “Padre…”» (cfr Lc 11,2)

Il Maestro non ci ha insegnato delle parole, delle formule “magiche” da recitare “a macchinetta” per ottenere quello che vogliamo, ma una relazione filiale.

Ecco perché, subito dopo aver raccontato la parabola della vedova e del giudice, Gesù chiede ai suoi discepoli (con una domanda retorica, ovvero che ha già inclusa e scontata la risposta):

«E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente».

Non c’è dubbio che “il telefono” di Dio (il suo Cuore) sia sempre connesso al nostro! E non c’è nemmeno bisogno che apriamo la bocca per ottenere qualcosa, perché, come dice nel vangelo di Matteo:

«il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate» (cfr Mt 6,7-8).

Dio ci esaudisce prima ancora che apriamo la bocca, prima ancora che gli facciamo “gli occhi dolci”…

Domande che lasciano senza parole

È la frase di chiusura – però – che ci lascia senza fiato e sgomenti:

«Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?»

Ovvero: «ma se una volta volessi chiederti qualcosa io, lo troverei “acceso e connesso” il tuo cuore o no?»

Quando verrà l’ultimo giorno, il momento del bisogno, in cui serve per davvero avere un “cellulare” a portata di mano… sarà raggiungibile il nostro cuore, la nostra vita, o sarà come gli smartphone dei nostri adolescenti, che proprio quando servono per davvero si sono inesorabilmente spenti perché la batteria si è scaricata – come al solito – a furia di giochini e social?