Amicizia condizionata? 6ª Domenica di Pasqua (B)
Essere amici di Dio non è una nostra conquista, ma un dono ricevuto in anticipo, incondizionatamente. Se vogliamo restare in questa amicizia, lasciamoci amare!
Letture: At 10,25-27.34-35.44-48; Sal 97 (98); 1Gv 4,7-10; Gv 15,9-17
Il brano evangelico ascoltato questa domenica è la continuazione di quello di domenica scorsa, e fa un tutt’uno con l’immagine allegorica della vite e dei tralci.
Partendo da quella similitudine, ora Gesù ne esplicita il significato e propone l’applicazione concreta: come il tralcio deve rimanere unito alla vite per portare frutto, così noi dobbiamo rimanere nel Suo Amore, perché la Sua gioia sia in noi e la nostra gioia sia piena.
Perseverare
Il verbo “rimanere” sta particolarmente a cuore all’evangelista Giovanni; è il verbo della dimora, della frequentazione, e richiama l’esperienza autobiografica del suo primo incontro con Gesù:
Gesù si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio (Gv 1,38-39).
È un verbo bello, che ci ribadisce ancora una volta che la vita non è come Facebook, dove basta mandare una richiesta ad un conoscente (o anche a uno sconosciuto) e – se quello la accetta – si diventa “amici”!
Non si costruisce un’amicizia in cinque minuti: occorre perseveranza (lo dicevo già domenica scorsa); occorre la pazienza di “addomesticarsi”, secondo il significato suggerito dalla bellissima pagina dell’incontro tra il Piccolo Principe e la volpe.
Non ci si può dire cristiani (ovvero “di Cristo”) perché si va a Messa una volta ogni tanto… bisogna “essere di casa” in casa Sua!
L’amore su comando?
Proseguendo, Gesù ci spiega – in concreto – la strada da percorrere per rimanere nel Suo Amore:
«Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore…»
E qui rimaniamo spiazzati, perché – nel nostro modo “romantico” di ragionare – l’amore non può proprio avere nulla a che fare col comando, con l’imposizione. Ci verrebbe da protestare così con Dio:
«Che storia è che dobbiamo fare quello che dici Tu? Che “amore” sarebbe? Al mondo non c’è nulla di più spontaneo dell’amore! Ma se – invece – dici che dobbiamo obbedirti, allora non è più amore: è un ricatto!»
Ci sembra di intravedere la figura dei nostri genitori quando eravamo adolescenti:
«Guarda che questa casa non è un albergo! Se vuoi rimanere qui devi stare alle regole! Altrimenti la porta è quella!»
Fraintendimenti
La condizione indicata da Gesù per rimanere nel Suo amore (osservare i suoi comandamenti) ci fa storcere il naso perché abbiamo una concezione sbagliata di “comandamenti” (lo dicevo già qualche tempo fa commentando proprio la pagina dell’Esodo che narra il Dono delle “Dieci Parole”)…
Noi pensiamo subito a qualcosa di imposto dall’esterno da parte di un’autorità ingiusta e prepotente, ma in realtà non è questo il significato sotteso dal vocabolo greco scelto da Giovanni: entolé (letteralmente “in-messo”).
Nella lingua italiana la traduzione più calzante sarebbe proprio l’odioso “imposizione” ma, per uscire dall’impasse e capire quello che invece la parola greca intende dire, dobbiamo tradurla con un termine della lingua inglese che utilizziamo spesso anche noi (in informatica e non solo): input.
Certamente, anche l’input è un “comando informatico” che viene introdotto nel computer dall’esterno, ma non come “imposizione” o “obbligo”, bensì come “istruzione”, ovvero come spiegazione di cosa e come fare per eseguire una determinata procedura e ottenere il risultato desiderato, ed è scritto in un linguaggio che il computer interpreta al volo, perché gli è connaturale.
Uscendo dalla metafora, i comandamenti non sono «posti dentro» il cuore dell’uomo in modo forzato o come un “corpo estraneo”, ma ci sono connaturali; essi fanno già parte delle “istruzioni base” del nostro “cervello elettronico” (per rimanere nel linguaggio informatico): il nostro cuore.
Una legge vicina a noi
Dio ha scritto questa Legge Naturale nei nostri cuori come un codice genetico, quando ci ha creati. I comandamenti di Dio non sono qualcosa di estraneo a noi (e quindi di potenzialmente nocivo), ma la regola stessa del nostro buon funzionamento, un po’ come il metabolismo per il nostro corpo.
C’è un testo molto bello nel libro del Deuteronomio per descrivere quanto la Legge di Dio sia connaturale all’uomo:
Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica (Dt 30,11-14).
La cosa più sensata che ci sia
Poco sopra abbiamo contestato il fatto che l’amore si possa comandare, argomentando che amare è un sentimento naturale e quindi non può essere imposto. Perciò, ci suona ancora più stonata l’affermazione di Gesù:
«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi».
Ma – se ci pensiamo bene – non c’è nulla di più vero di questa richiesta: cos’altro si potrebbe fare per essere amati se non amare a nostra volta? Cos’altro desidera una persona che ne ama un’altra se non essere ricambiata?
È un cerchio perfetto che si chiude: se vuoi rimanere nell’amore non devi far altro che amare, e non c’è altra regola che questa.
Qualcuno di noi oserebbe contestarlo?
Cos’è che fa finire un rapporto di amicizia o di coppia? Proprio il fatto che uno dei due (o tutti e due) smettono di amare, non corrispondono all’amore che ricevono: «non mi ami più!», si protesta, o no?
Di innaturale c’è solo il non amore
E quando decidiamo di troncare un rapporto di amore o amicizia – di solito – è perché la controparte ha “rotto il cerchio magico”, ha smesso di corrisponderci.
Ma se ripensiamo alle volte in cui abbiamo vissuto queste brutte esperienze, dobbiamo ammettere sinceramente che abbiamo – sì – sofferto tanto per la delusione ricevuta, ma ancor di più per il senso di vuoto e di mancanza che quell’amore o quell’amicizia troncata hanno scavato in noi.
Abbiamo pagato caro il nostro orgoglio, il nostro «sentici dalla parte della ragione», che ci ha impedito di fare il primo passo per tentare di ricostruire quell’amicizia tradita o quell’amore ferito, intraprendendo la strada della riconciliazione.
Ammettiamolo: dentro di noi sentivamo chiaramente la spinta del bisogno di ristabilire quel rapporto, ma ce ne siamo privati volutamente per far prevalere la ragione e il nostro becero senso di giustizia.
Se siamo sinceri, dobbiamo ammettere che “naturale” ad ogni essere umano è solo il bisogno di amare ed essere amati, e invece è “contro natura” l’imporci di non amare più, per qualsiasi ragione lo facciamo (sia la delusione, la ripicca, la vendetta, o – peggio – la stupida “coerenza” con quanto ci siamo proposti).
Amicizia in-condizionata
«Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando».
Anche questa “condizione” posta da Gesù per essere Suoi amici non è affatto un ricatto, un do ut des.
Il senso di queste parole non è quello che intendiamo noi fin da bambini («se non giochi con me non sei più mio amico!»), ma l’invito a prendere coscienza del fatto che noi non dobbiamo far nulla per essere Suoi amici, se non accogliere la Sua amicizia, ed evitare di rifiutarla da parte nostra.
Infatti, l’amicizia con Dio non è una nostra “conquista”, ma ci è stata data in anticipo, prima ancora che noi potessimo fare qualcosa da parte nostra, o dimostrarci amici affidabili:
«Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti…»
Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi (cfr 2ª lettura).
Al Suo Amore per noi, Dio non pone alcuna condizione: da parte Sua Lui sarà sempre un Padre Amorevole e un Amico fidato, pronto a dare la Sua vita per noi (come – peraltro – ha già fatto), qualsiasi cosa facciamo, sia che siamo fedeli, sia che lo tradiamo.
Perfino a Giuda nell’atto del tradimento non ha negato questa amicizia:
«Amico, per questo sei qui!» (Mt 26,50)
Noi non dobbiamo far altro che accogliere questo Amore immeritato e incondizionato; solo così potremo smetterla di sentirci «servi» o “marionette” di Dio:
«Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi».
Solo se accetteremo questo Suo amore incondizionato riusciremo – pian piano – ad assomigliarGli:
«Amate invece i vostri nemici… e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (cfr Lc 6,35).
È Lui che ha amato noi…
Ancora una volta vi invito a pregare con le parole del grande filosofo e teologo Søren Kierkegaard:
O Dio nostro Padre,
tu ci hai amato per primo!
Signore, noi parliamo di Te
come se ci avessi amato per primo
in passato, una sola volta.
Non è così: Tu ci ami per primo, sempre,
Tu ci ami continuamente,
giorno dopo giorno, per tutta la vita.
Quando al mattino mi sveglio
e innalzo a Te il mio spirito,
Signore, Dio mio,
Tu sei il primo,
Tu mi ami sempre per primo.
È sempre così:
Tu ci ami per primo
non una sola volta,
ma ogni giorno, sempre.
Per pregare in musica…
E anche oggi vi lascio una “colonna sonora” per continuare a pregare sul vangelo che abbiamo meditato: Questo è il mio comandamento di Marco Frisina.