Andare “di fretta” o “in fretta”? Natale del Signore 2022

Andare senza indugio

L’atteggiamento dei pastori dopo l’annuncio dell’angelo è l’invito che la Liturgia fa a ciascuno di noi: occorre «andare senza indugio» a incontrare il Signore.

Omelia per domenica 25 dicembre 2022

Letture: Is 62,11-12; Sal 96 (97); Tt 3,4-7; Lc 2,15-20

Quest’anno, per Natale, ho scelto di commentare qui le letture proposte dallo schema della Messa dell’aurora.

Il motivo della scelta (oltre al fatto che ho commentato più volte le letture della Messa della notte e della Messa del giorno), è racchiuso nel titolo, che richiama l’atteggiamento dei pastori:

Appena gli angeli si furono allontanati… i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere».

Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia.

Credo stia tutto racchiuso qui l’invito che la Liturgia ci fa anche oggi, come ogni anno: «Su! Muovetevi! Andate a vedere cosa ha fatto il Signore per voi!»

Andare senza indugio

Le parole del testo citato sono cariche di una “fretta” che la traduzione italiana non lascia trasparire a sufficienza: quel «dunque», in greco, è una piccolissima particella (δή) che rafforza il verbo “andare” e gli imprime immediatezza, come a dire «Andiamo ora, subito, senza aspettare un solo attimo!»

Infatti, l’evangelista prosegue narrando che l’invito reciproco dei pastori si attua proprio rispondendo a quella necessità di immediatezza: quello che in italiano è tradotto «senza indugio», in greco – letteralmente – significa “affrettandosi”.

È la fretta che spinge i pastori ad andare a Betlemme.

“Di fretta” o “in fretta”?

La fretta può essere certamente un grande motore, che spinge a fare qualcosa di importante senza temporeggiare e rimandare, ma anche – purtroppo – a fare le cose in modo superficiale (in bergamasco abbiamo il detto «la gàta fresùsa, l’à facc i micì òrp»).

Quante volte sprechiamo occasioni importanti e belle perché abbiamo premura di fare altro?

Quante visite da parenti in questi giorni saranno vissute proprio così, con poca voglia, e con il ritornello iniziale «mi fermo poco, perché vado di fretta»?

Impazienti di vedere

Ecco: non è questa fretta (autoinflitta e presa come scusa) a muovere i pastori, ma l’impazienza di andare dove l’angelo li ha indirizzati. Qualcosa ha suscitato nel loro cuore una curiosità incontenibile; una parola carica di promesse, da verificare il prima possibile:

«vediamo questo avvenimento…»

Anche questa frase è tradotta male: in greco – letteralmente – c’è scritto «vediamo questa parola-evento che (è) accaduta».

Parola-evento

Capite che è di una pregnanza e di una densità immensa, e perdonatemi se ci leggo dentro il parallelo dell’affermazione altamente teologica che fa Giovanni nel Prologo del suo vangelo (che ascoltiamo nella Messa del giorno):

il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14).

La parola si è fatta storia, carne, accadimento: è il mistero dell’Incarnazione, del Natale.

Cosa ci muove?

Nella notte – come ogni anno – ci è stato rivolto lo stesso annuncio fatto ai pastori:

«oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore»

ma non ho visto nessuno saltare in piedi e correre a vedere: abbiamo tutti altro da fare. Siamo annoiati nei nostri banchi e guardiamo l’orologio, perché «andiamo di fretta»: c’è il cenone, il pranzo, dobbiamo aprire i regali…

Non so cosa ci farebbe fare lo stesso “balzo” dei pastori oggi… Cosa ci farebbe scuotere dal nostro torpore e alzare dalle nostre comodità? Cosa ci farebbe muovere in fretta, senza inventare altre scuse? Forse il concerto del nostro gruppo rock preferito? Forse la nostra squadra del cuore?

Per voi

Già: il “nostro” gruppo preferito, la “nostra” squadra del cuore… È tutto qui il dilemma: il Natale non lo sentiamo come “nostro”, come qualcosa che accade “per noi”, ma come qualcosa che succede comunque, che ci passa “sopra la testa”, meccanicamente, come ogni anno.

Chissà quante scuse avrebbero potuto trovare anche i pastori per restarsene dov’erano: la stanchezza, il sonno, e soprattutto il rischio di lasciare le loro pecore incustodite.

Avrebbero potuto dire: «ci andiamo domani, nei prossimi giorni… tanto non scappa un bambino… e poi un bambino in una mangiatoia non è nulla di così straordinario, no?»

Avrebbero potuto programmare ogni cosa per “incasellare” anche quel nuovo “impiccio” nel loro tran tran quotidiano…

E invece hanno colto subito un particolare nell’annuncio ricevuto: quell’«è nato per voi».

Un salvatore ci serve?

E – forse – hanno percepito anche l’importanza di quel titolo: «un Salvatore».

Di un salvatore ha bisogno chi si sente prigioniero, oppresso, sottomesso… ma noi ci proclamiamo liberi, indipendenti, autonomi, padroni di noi stessi.

Peccato che poi – nella realtà – non lo siamo per niente, e continuiamo a sentirci schiacciati dagli “ingranaggi” di quella tremenda “macchina” del mondo che ci circonda e ci fagocita coi suoi ritmi sempre più frenetici, le sue esigenze impellenti che ci martellano nei doveri del lavoro, della famiglia, dell’economia, delle emergenze, degli imprevisti…

È per questo che diciamo sempre «non riesco, sono di fretta!»

La salvezza è qui

Quante persone in questi giorni mi hanno confidato di essere venute a Sotto il Monte in cerca di un po’ di pace, di serenità, di tranquillità, e di averla trovata nel sostare con calma nei luoghi di Papa Giovanni conosciuti fin dall’infanzia, nell’accostarsi con umiltà al Sacramento della Riconciliazione…

È tutto qui il mistero del Natale: Dio si incarna e si rende presente nei luoghi e nei ricordi di quando eravamo bambini e sapevamo gustare la gioia sincera del fermarci a fare le cose che ci rendevano felici, a trascorrere il tempo con gli amici senza misurarlo, a guardarsi con gli occhi luminosi e furbi di chi non ha “retropensieri” o cattive intenzioni da nascondere.

È qui ancora una volta lo stesso segno, da duemila anni: un bambino che giace calmo e sorridente «adagiato in una mangiatoia».

Fermiamoci

E il bello è che questo segno c’è (speriamo) in tutte le nostre case…

Non passiamogli accanto di fretta, sempre presi da mille cose da fare… fermiamoci ogni tanto, assieme alle persone più care, e proviamo a raccontarci davanti a Lui tutto quello che ci sta più a cuore, che ci rende felici, che ci dà pace… e anche noi – come i pastori – torneremo alla nostra vita «glorificando e lodando Dio per tutto quello che abbiamo udito e visto».