Avere o dare ragione? 6ª Domenica di Pasqua (A)

Valer avere ragione a tutti i costi

Tutti oggi vogliono avere ragione. Ma credere significa dare ragione all’unico che è Via, Verità e Vita: Cristo. In Lui riposa la nostra speranza.

Omelia per domenica 14 maggio 2023

Ascolta questa omelia su Spotify

Letture: At 8,5-8.14-17; Sal 65 (66); 1Pt 3,15-18; Gv 14,15-21

Al giorno d’oggi tutti vogliono dire la loro, ma soprattutto ognuno vuole avere l’ultima parola: si chiama “sindrome di Aristotele”, ed è la pretesa di aver sempre ragione, ad ogni costo.

È quanto accade sistematicamente nei talk show televisivi che ospitano personaggi famosi, o politici, ma ormai sta diventando l’unico modo di confrontarsi tra persone in ogni contesto, ed è quanto di meno civile ci sia.

Oltretutto è da stupidi, come dice un adagio popolare.

Anche in dialetto bergamasco – per porre fine a inutili discussioni e litigi su questioni di lana caprina – si dice «la resù l’è di macc e di ciòch» («la ragione è dei matti e degli ubriachi»).

Ragione o gentilezza?

Personalmente, devo lavorare molto anche io su questo problema, visto il mio carattere pignolo, testardo e cocciuto.

Ragione o gentilezza?

Per farlo, mi ripeto spesso un motto che mi ha allargato il cuore qualche anno fa, preparando un Campo-Scuola per i ragazzi delle medie che aveva come “filo-rosso” il film Wonder (tratto dall’omonimo romanzo di R.J. Palacio).

Il motto in questione è il primo dei precetti che il professor Browne dona ai suoi alunni di prima media:

«Quanto ti viene data la possibilità tra avere ragione ed essere gentile, scegli di essere gentile».

È una regola d’oro: è sempre più importante la persona che hai di fronte, rispetto all’idea che vuoi difendere, o no?

Coesistenza o esclusione?

Quindi, ragione e gentilezza sono alternative ed esclusive o possono coesistere?

Secondo l’apostolo Pietro possono andare a braccetto, anzi: devono.

Infatti, nella seconda lettura di oggi (che è uno dei brani a cui sono più affezionato) ci raccomanda:

[siate] pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto…

La dolcezza e il rispetto raccomandate da Pietro non sono solo una questione di carattere, o di modi di fare: non si tratta di usare alchimie di convincimento, o la cosiddetta moral suasion.

La discriminante – quando si tratta di argomenti di fede – è chiedersi se vogliamo avere o dare ragione.

Non “dove”, ma “chi” è la Verità

L’apostolo non sta istruendo i primi cristiani a farsi valere sempre e comunque, ma a saper spiegare al mondo il motivo della fede e della speranza che abita nei loro cuori.

Non si tratta di affermare a tutti i costi la verità delle nostre parole, ma che la Verità è Cristo.

Fede e speranza non sono atteggiamenti razionali, ma ragionevoli, perciò, non si tratta di avere (o pretendere di avere) ragione, ma di aiutare gli altri a capire il motivo della propria fede.

Fede o fissazioni?

Ed è qui che casca l’asino: abbiamo fede? C’è davvero speranza nei nostri cuori o abbiamo solo idee e fissazioni nella testa?

A tanti “cristiani” arrabbiati, insolenti, cocciuti, irresoluti vorrei chiedere: perché ti scaldi tanto? Cosa stai cercando di difendere? Se è la verità di Cristo che ti sta tanto a cuore… beh: sappi che Cristo si difende bene anche da solo e che la Verità rende ragione a se stessa.

Tanti atteggiamenti intransigenti da parte di cristiani (e purtroppo anche di preti) “fondamentalisti” allontanano le persone, anziché portarle a Cristo.

Il troppo stroppia: lo dicevo già a inizio febbraio, commentando il vangelo della 5ª Domenica del Tempo Ordinario.

Testimonianza, ovvero: martirio

Invece, la narrazione rispettosa della propria fede è una vera testimonianza, che attira chi è in cerca di Cristo, e lascia meravigliati e svergognati coloro che Lo rifiutano.

Continua, infatti, l’apostolo Pietro:

…perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo.

Testimonianza, in greco, si dire “martirio”. Infatti – per rendere ragione della propria fede e della propria speranza – bisogna essere disposti a soffrire, a patire secondo l’esempio di Gesù:

Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male, perché anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti.

È l’esatto contrario di chi vuole avere ragione a tutti i costi e mette i piedi in testa agli altri.

Abitati dallo Spirito

La testimonianza rispettosa è anche il segno inequivocabile dell’essere abitati da quello Spirito Paraclito che Gesù promette nel vangelo di oggi:

«lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce».

Se siamo “ispirati”, se – cioè – lasciamo che sia lo Spirito Santo a parlare in noi e per noi (cfr Mc 13,11), non avremo bisogno di grandi discorsi o argomenti persuasivi, perché il Signore ci darà parola e sapienza, a cui tutti i nostri avversari non potranno resistere né controbattere (cfr Lc 21,14-15).

Cantare le opere del Signore

Ricordiamocelo: non dobbiamo avere ragione, ma rendere ragione della nostra fede, raccontando le grandi opere di Dio.

Limitiamoci, dunque, a meditare su quanto ha fatto e fa il Signore per noi, e testimoniamolo con gioia e coraggio, come fa l’autore del bellissimo Salmo Responsoriale di oggi:

Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
Sia benedetto Dio,
che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia.