Basta col «vivi e lascia vivere»: bisogna denunciare!

Bisogna denunciare le ingiustizie
Commento alle letture di lunedì 27 giugno 2022

Letture: Am 2,6-10.13-16; Sal 49 (50); Mt 8,18-22

Come sempre, nei giorni feriali non mi soffermo sul vangelo; a maggior ragione oggi che la liturgia ci fa leggere la versione matteana del brano ascoltato ieri.

Condivido solo due suggestioni scaturite dall’ascolto della prima lettura e del Salmo Responsoriale.

Chiamati a denunciare

Da oggi iniziamo a leggere i Profeti, che – nella Scrittura – hanno spesso il compito di denunciare le infedeltà e le contraddizioni del popolo nei confronti dell’Alleanza stretta con Dio.

Il primo che ci viene proposto questa settimana è Amos, uno dei cosiddetti “profeti minori”.

Da contadino a profeta

Amos era un semplice contadino e mandriano vissuto al tempo del regno di Geroboamo II su Israele, ma il Signore lo chiama come Suo portavoce.

La sua predicazione si concentra sull’ingiustizia sociale e la degenerazione del culto, due temi evidenti nel brano ascoltato oggi:

1. hanno venduto il giusto per denaro
e il povero per un paio di sandali,
essi che calpestano come la polvere della terra
la testa dei poveri


2. Su vesti prese come pegno si stendono
presso ogni altare
e bevono il vino confiscato come ammenda
nella casa del loro Dio
.

Peccati gravi

Il primo è uno dei quattro peccati che «gridano vendetta al cospetto di Dio» (come abbiamo imparato da piccoli nel Catechismo di Pio X). Il secondo è un peccato di dissacrazione del culto e di idolatria.

A renderli ancora più gravi (e oggetto di richiamo e denuncia da parte del profeta) è la mancanza di memoria e riconoscenza nei confronti di Dio:

Eppure io ho sterminato davanti a loro l’Amorreo…


Io vi ho fatto salire dalla terra d’Egitto
e vi ho condotto per quarant’anni nel deserto,
per darvi in possesso la terra dell’Amorreo.

Una religiosità falsa

Il Salmo 50 è la denuncia di una religiosità solo esteriore, o meglio: falsa, perché sconfessata da una vita in cui le parole (delle preghiere e dei riti) non corrispondono ai fatti:

«Perché vai ripetendo i miei decreti
e hai sempre in bocca la mia alleanza,
tu che hai in odio la disciplina
e le mie parole ti getti alle spalle?

È Dio stesso a parlare; infatti, il Salmo inizia così:

Parla il Signore, Dio degli dèi,
convoca la terra da oriente a occidente...

Viene il nostro Dio e non sta in silenzio… (Sal 50,1.3)

Non si può tacere

È Dio stesso che denuncia, che non sta in silenzio, che non può tacere, e chiede ai Suoi profeti di fare altrettanto.

Già da un punto di vista civile e penale, chi non denuncia un reato è complice… la Parola di Dio oggi ci richiama al fatto che abbiamo un dovere anche dal punto di vista religioso.

Se dobbiamo essere «il sale della terra» non possiamo tacere, altrimenti saremo come «il sale che perde il suo sapore» (cfr Mt 5,13).

Perché non denunciamo?

Noi cristiani ci indigniamo di tante cose (spesso anche di poca importanza), ma spesso e volentieri ce ne stiamo zitti davanti alle più grandi ingiustizie, e applichiamo il terribile aforisma «vivi e lascia vivere».

Perché ce ne stiamo zitti, ognuno per i fatti suoi?

Per stare tranquilli

Spesso non denunciamo il male per conservare il “quieto vivere”.

Ma questo vivere di “quieto” non ha proprio nulla: perché chi subisce ingiustizia vive nel dolore e nella sopraffazione, e chi fa finta di nulla sente (o dovrebbe sentire) il rimorso di non aver mosso un dito.

Oltretutto, se non si pone un argine al male, il mondo sarà sempre più ostaggio dei prepotenti, e sarà sempre più inutile lamentarsi con le solite frasi fatte («il mondo va a rotoli» etc.).

Questo “quieto vivere” spesso è la regola anche nelle nostre famiglie, dove i genitori non si azzardano più a fare un rimprovero ai figli per evitare di litigare… ma Gesù ci ha insegnato che per la verità e la giustizia bisogna anche fare la guerra in una famiglia, altro che “quieto vivere”! (ne ho già parlato in un’omelia di qualche anno fa)

Per paura del martirio

Spesso non denunciamo le ingiustizie e ce ne stiamo zitti perché abbiamo paura di fare una brutta fine, come è capitato già a tanti altri profeti e martiri della storia (mi vengono in mente personaggi come Óscar Romero, don Peppino Diana… ma prima ancora Giovanni il Battista e lo stesso Gesù).

Insomma, la paura ci fa seguire un altro brutto proverbio: «mors tua vita mea»: meglio che muoia un altro innocente piuttosto che andarci di mezzo io!

Per poter rimanere nel compromesso

Molto più spesso non denunciamo il male perché abbiamo anche noi tanti scheletri nell’armadio: non siamo retti, non siamo trasparenti e schietti, uomini e donne dalla vita specchiata, perciò evitiamo di parlare per non venire contro-accusati dello stesso peccato.

In questo caso siamo chiamati ad operare ben due conversioni:

  1. la prima a una vita onesta, sincera e libera da ogni compromesso col male e l’ingiustizia;
  2. la seconda: passare dal silenzio colpevole alla denuncia profetica.

Ovvio che siamo tutti fragili peccatori, e non saremo mai del tutto “giusti”… ma per denunciare le ingiustizie non si deve necessariamente aspettare di essere “santi”: è sufficiente (e necessario) non avere nulla a che fare con l’ingiustizia e la sopraffazione dei deboli.

Che il Signore ci aiuti a non tacere mai di fronte al male!

Non è un Dio vendicativo

Anche le pagine che abbiamo ascoltato oggi sembrano avere un tenore vendicativo e riportarci al dilemma sull’immagine di Dio, di cui ragionavamo lunedì scorso:

«vi farò affondare nella terra
come affonda un carro
quando è tutto carico di covoni.
..»

Leggendo bene si intuisce un richiamo a ciò che successe al faraone e al suo esercito nel Mar Rosso, i cui carri sprofondavano nella melma del fondale marino, impedendo loro di fuggire (cfr Es 14,24-25).

È vero, è Dio che frena le ruote, ma è la malvagità e la superbia degli Egiziani ad appesantire i loro carri (come il «carico di covoni» rappresenta l’uomo attaccato solamente ai propri interessi, incapace di vedere altro): il male si punisce da sé.

Denunciale il male è opera di misericordia

Come dicevo lunedì scorso, Gesù ci ha fatto conoscere un Dio misericordioso, che – però – non è un “altro” Dio rispetto a quello dell’Antico Testamento, ma lo stesso.

Denunciare il male e l’ingiustizia non sono azioni alternative o contrarie alla misericordia, anzi: la prima “opera di misericordia” è aiutare l’empio a capire che sta facendo del male.

Ecco – infatti – che cosa dice Dio al profeta Ezechiele:

Se io dico al malvagio: «Tu morirai!», e tu non lo avverti e non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta perversa e viva, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te (Ez 3,18).

Non sono parole molto diverse da quelle insegnateci da Gesù:

Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli (Lc 17,3).