Bastone e sandali. 15ª Domenica del Tempo Ordinario (B)
Omelia per domenica 14 luglio 2024
Il bastone e i sandali sono i simboli del del viandante, della Chiesa sinodale, che cerca di camminare assieme invece di rinchiudersi nelle sacrestie.
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Letture: Am 7,12-15; Sal 84 (85); Ef 1,3-14; Mc 6,7-13
Subito dopo aver “fallito” la Sua missione in casa propria, a Nazaret, proprio di fronte agli occhi dei Suoi discepoli, Gesù ha la bella idea di mandarli a condividere la Sua stessa opera.
Come il Maestro
Si saranno detti: «Wow! Che bello! Andiamo anche noi a sentirci criticare e rifiutare!»
D’altronde Gesù ci ha avvertiti:
«“Un servo non è più grande del suo padrone”. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (cfr Gv 15,20; cfr anche Mt 10,24s).
Questo è quello che ci aspetta. Se ci aspettiamo altro vuol dire che non siamo discepoli di Gesù.
Di fatto, è del tutto probabile che anche i discepoli abbiano fatto la stessa figura, sentendosi dire: «chi credere di essere? Sappiamo chi siete e conosciamo le vostre famiglie! Avete fatto i pescatori fino all’altro ieri!»
Il contesto di questa missione
Quella raccontata oggi, infatti, è una prima missione, funzionale a preparare l’arrivo di Gesù, e si svolse nella piccola dimensione geografica dei villaggi della Galilea: Tiberiade, Betsaida, Cafarnao, Cana, Nain, Corazin, e altre piccole località.
Una cosa abbastanza “casalinga” e famigliare, insomma: non è ancora il mandato missionario che i discepoli riceveranno dal Risorto prima della Sua Ascensione al cielo (cfr Mc 16,15-20).
È anche questo il motivo del non aver bisogno di portare con sé molti mezzi e dell’andare in giro senza denaro né cibo per il viaggio.
Ma anche questo è significativo; missione non significa solo andare in paesi lontani non ancora cristianizzati ad annunciare il Vangelo: la missione inizia fuori dalla porta di casa nostra, anzi, dentro la nostra casa.
Prima siamo destinatari
E, prima di immedesimarci nei discepoli (e quindi di sentirci missionari), ricordiamoci sempre che siamo anzitutto destinatari dell’annuncio della Parola, che altri sono venuti a testimoniare a noi, che – se siamo quel che siamo – lo dobbiamo a chi, prima di noi, ha accolto con coraggio e svolto con passione il mandato di Cristo.
Proviamo a visualizzare nella mente e nel cuore chi sono stati i missionari che – con semplicità e pochezza di mezzi – ci hanno annunciato il Vangelo… beh: prima ancora del nostro parroco, proprio per il fatto dell’essere mandati a due a due, credo che le prime persone a cui pensare siano i nostri genitori, no?
Ringraziamoli se ci sono ancora, e – se non ci sono più – ringraziamo il Signore per averceli donati.
Un bastone e un paio di sandali
Venendo alle raccomandazioni di Gesù, più che il contenuto di ciò che dovevano annunciare, Egli diede ai Suoi discepoli delle indicazioni pratiche di metodo: come andare e cosa portare, perché il Vangelo si rende presente nelle persone prima ancora che nelle parole.
Ribadendo che l’essenzialità estrema di quella missione fu dovuta anche alla dimensione relativamente piccola a livello geografico, è indicativo annotare – oltre alle cose inutili (denaro, pane, vestito di ricambio) – le cose assolutamente necessarie: il bastone e i sandali calzati.
Sono i due simboli del pellegrino, del viandante: i simboli della Chiesa sinodale, che cerca di camminare assieme invece di rinchiudersi nelle sacrestie.
Come Gesù è disceso dal Cielo per camminare sulle strade del nostro mondo, anche noi non possiamo pretendere di annunciarlo (né di sentirlo annunciare) se ce ne stiamo belli comodi nelle nostre zone di comfort.
Il bastone della Croce
Nel bastone (che non è un oggetto da brandire per minacciare, ma a cui appoggiarsi) alcuni Padri della Chiesa hanno voluto vedere un’immagine simbolica della Croce: è la Croce l’unico sostegno del cammino del discepolo mandato ad annunciare il Vangelo.
E, visto che l’opera dei discepoli è qui sintetizzata nell’ungere gli infermi per guarirli e nello scacciare demoni (in forza del potere sugli spiriti impuri ricevuto da Gesù), vorrei precisare che la Croce non è un talismano da agitare verso gli indemoniati (come nell’immaginario dei film sugli esorcismi).
La Croce è il segno che il discepolo deve sempre portare impresso in sé, per ricordare che solo la partecipazione alle sofferenze di Cristo e all’offerta della Sua vita gli permette di vincere il male in ogni sua forma, fisica o spirituale, come dice lo stupendo Inno che ascoltiamo nella Seconda Lettura:
In lui, mediante il suo sangue,
abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe,
secondo la ricchezza della sua grazia.