Ben venga sorella morte. Vivere la morte in pienezza
Far finta che la morte non sia nulla è un’offesa a Dio. La morte è invece il momento più alto dell’esistenza, e io voglio viverlo in pienezza
Spesso, alla fine dei funerali, si legge una specie di poesia di un teologo anglicano, che inizia dicendo «La morte non è niente».
Può sembrare bella, consolatoria… ma a mio avviso è un inganno.
Cercare di “addolcire” la realtà della morte facendo finta che non sia nulla non è una novità, anzi.
Un’idea che viene da lontano
Tra i tanti stratagemmi escogitati dai filosofi antichi, mi torna in mente quello di Epicuro, che diceva proprio così:
Da un estremo all’altro
Oggi, dopo tanti secoli, la situazione non è molto cambiata: meno si pensa alla morte, meglio è, altrimenti ci si guasta l’esistenza. Si cerca di parlarne il meno possibile e di nasconderla alla vista, soprattutto ai bambini.
Perciò essa diventa sempre più un fatto privato, da disbrigare alla svelta: molte persone chiedono di celebrare i funerali dei loro parenti nella Cappella della Casa di Riposo dove erano ospiti, per evitare il trambusto di avere una salma in casa e dover affrontare tante cerimonie (e spese).
Tanti – poi – ricorrono alla cremazione con dispersione delle ceneri, per non aver nemmeno l’incombenza di una tomba da visitare e accudire, che ricordi continuamente l’ineluttabilità della morte.
L’assurdo è che – se nel privato si cerca di scansare l’argomento – alla TV si continua a rappresentarla ossessivamente, in modo più o meno crudo e violento, irrispettoso, quasi come se fosse una cosa normale. Anzi, la gente va in cerca proprio delle notizie più tragiche e cariche di orrore con atteggiamento morboso. Forse è un tentativo di esorcizzarla?
Altre volte la si ridicolizza con rappresentazioni “giocose”, da bambini (vedi Halloween).
Oppure la si invoca come una liberante soluzione di tutti i problemi (sto pensando all’insipienza con cui – purtroppo – anche i cristiani parlano di eutanasia come un diritto inalienabile di ogni essere umano).
La morte non è uno scherzo
Spesso i miei parrocchiani (anche i cristiani più ferventi) mi dicono «io voglio morire nel sonno, senza rendermene conto, senza soffrire». E io li sgrido e redarguisco, perché se Dio stesso ha preso così sul serio la morte da non risparmiarla neppure al Suo Figlio, significherà pur qualcosa!
Significa che la morte non è uno scherzo, nemmeno per Dio.
Perché mai Gesù scoppiò a piangere davanti alla tomba dell’amico Lazzaro, se di lì a pochi istanti l’avrebbe risuscitato? Perché la morte è (e rimarrà sempre) un mistero per l’uomo, ed è una tragedia persino per Dio. È un pensiero che angoscia.
Ma perché bisogna morire?
Rivolgiamola a Dio questa domanda; trasformiamola in una accorata preghiera, e mettiamoci in ascolto della Sua risposta:
Dio non ha creato la morte
e non gode per la rovina dei viventi […]
Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità,
lo ha fatto immagine della propria natura.
Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo
e ne fanno esperienza coloro che le appartengono (Sap 1,13; 2,23s).
La sconfitta più inattesa
E dunque, siamo irrimediabilmente schiavi della morte? Essa è qualcosa di ineluttabile, se perfino il Figlio di Dio ha dovuto cedere e piegarsi di fronte ad essa?
No! Dio ha mandato nel mondo suo Figlio per sconfiggere la morte, in un modo del tutto inaspettato e incredibile: Gesù ha abbracciato la morte, annientandola attraverso il dono totale e gratuito di sé, risorgendo poi a nuova vita: questo è il Vangelo, la Buona Notizia.
Non c’è vita senza morte
Noi cristiani siamo i discepoli del Cristo crocifisso e risorto: non dimentichiamo mai che non c’è risurrezione che non passi prima attraverso la Croce.
Non c’è vita nuova che non sbocci dalla morte, accolta come dono di sé. Questo è l’insegnamento di Gesù:
«In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore» (Gv 12,24-26).
La dignità della morte
In Gesù crocifisso e risorto la morte non è solo sconfitta, ma è rivestita di grande dignità, come il momento supremo dell’abbandono fiducioso alla misteriosa volontà di Dio:
«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46).
Io voglio esserci!
Per questo – quando toccherà a me – io voglio poterla vivere con tutto me stesso, come il momento più alto della mia esistenza.
Nella preghiera chiedo spesso al Signore di concedermi di poter vivere quel momento pienamente cosciente, in grazia di Dio e attorniato da chi avrà camminato con me nella fede.
La morte è maestra di vita
La morte va accolta e attesa giorno per giorno; essa è preziosa anche perché ci fa riconoscere quello che siamo veramente:
La porta sull’Infinito
Infine, per un credente, la morte è la porta che ci spalanca l’ingresso a una nuova vita.
Facciamo fatica a pensarla così, ma riflettiamo: noi siamo un po’ come un feto nella pancia della mamma, che non sente bisogno di nulla perché nulla gli manca, e non vuole certo cambiare condizione. Quando viene partorito, la prima cosa che fa è piangere: è un trauma per lui affrontare un passaggio così difficile.
Così anche noi: ci affezioniamo tanto a questa vita terrena e abbiamo paura di affrontare il tremendo passaggio a un’altra condizione che non conosciamo. Ma se il feto non ha idea di cosa lo aspetti, noi invece sappiamo cosa ci attende, perché ce l’ha detto Gesù:
«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi» (Gv 14,1-3).
Il seme nascosto
Dio ha seminato nel nostro cuore il desiderio insopprimibile di questo posto: se lo ascoltiamo, impareremo a non affezionarci alla vita di quaggiù, ma a sentirci chiamati a qualcosa di più grande.
Ci aiuterà a non aver paura della morte al punto di nasconderla o ridicolizzarla, ma quasi a desiderarla e a invocarla, come faceva San Francesco.
Il Poverello di Assisi, dopo che il medico giunto al suo capezzale gli ebbe rivelato di avere una malattia incurabile, iniziò a lodare il Signore: «Ben venga sorella morte».
Poi fece chiamare frate Leone e frate Angelo affinché gli cantassero il Cantico di Frate Sole, e prima dell’ultima strofa inserì la lode di sorella morte. Arrivò perfino a chiedere che gli portassero dei dolcetti che a lui piacevano tanto: quando si crede davvero all’eternità il tempo acquista una nuova luce, e la fede cambia la vita e fa vedere con occhi nuovi ogni cosa.