Che spreco! Domenica delle Palme (B)

L'amore non è uno spreco

Letture: Is 50,4-7; Sal 21 (22); Fil 2,6-11; Mc 14,1-15,47

Di solito alla Messa delle Palme non tengo l’omelia… non solo perché è già lungo e impegnativo l’ascolto della Passione, ma anche perché – come di fronte a un’opera d’arte – ogni parola di commento rischia di essere fuori luogo e una chiosa inopportuna.

Perciò, anche qui mi limiterò a «contemplare pubblicamente», come se lasciassi scorrere in libertà e “ad alta voce” i pensieri e i movimenti del mio cuore in ascolto e adorazione.

Operazione nostalgia

Prima di immergermi nella contemplazione – però – non posso non lasciarmi cullare dalla memoria in questa Domenica delle Palme: mi torna sempre in mente il gesto pieno di fede (non di superstizione) di quando – da bambino – la mamma mi faceva bruciare l’ulivo benedetto sul fornello durante i terribili temporali estivi, per invocare la protezione del Signore…

Ah, come vorrei che quella fede bambina ma sincera rinascesse nei nostri cuori! Che nelle tempeste che si abbattono sulla nostra vita ogni giorno non fossimo come gli scettici, convinti che il temporale passerà lo stesso da solo, senza bruciare nessuna foglia di ulivo…

Vorrei che avessimo la semplicità di rivolgerci a Lui che è il padrone della vita e della morte, che comanda sui venti e sulle tempeste… Lui che – come l’albero maestro della nave – sta ritto e sicuro, e sull’albero della Croce stende le sue braccia come una vela a raccogliere tutti i venti tempestosi per farli diventare venti di salvezza che ci conducono alle rive del Suo Regno.

Bisogno di commuoversi

Lo ammetto: mi sono commosso… Ma anche Gesù si è commosso qualche giorno prima di entrare nell’ora della prova: il gesto pieno d’amore della donna che lo unge di nardo puro e preziosissimo lo lascia esterrefatto, al punto da mettervi l’imprimatur, come su una “pagina di Vangelo D.O.C.”:

«In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto».

Per di più, Giovanni collocherà questo gesto non in casa di un fariseo (Simone “il lebbroso”, secondo il racconto dei Sinottici), ma in casa di Marta, Lazzaro e Maria (cfr Gv 12,1-8, pagina che la Liturgia ci farà ascoltare domani).

Betania è la casa dell’amicizia, in cui ritrovare le persone a cui si può aprire il proprio cuore, condividere gli affanni e le gioie della vita.

Gesù siede a mensa con Lazzaro, Maria e Marta, in un clima intimo e di rapporti fraterni: ha bisogno di abbracciare ed essere abbracciato, prima di rimanere solo e abbandonato da tutti… ma non mi soffermo su questo tema, perché l’ho già fatto nel Lunedì Santo dello scorso anno.

Imparare da questa umanità

Gesù ha sempre cercato questi “luoghi del cuore” per vivere i momenti più alti della sua umanità… le radure deserte per pregare il Padre nella notte, la casa degli amici più cari appena fuori Gerusalemme, il Cenacolo pensato e preparato da tempo:

«…dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».

Impariamo da questa umanità, che non sta solo nel soffrire le pene dei flagelli, della Croce, dei chiodi e delle spine, ma anche nell’intimo desiderio di comunione e di pace!

Tutte le sfumature dei sentimenti

È un’umanità ricca di tutte le possibili sfumature, dal chiaroscuro della festa con gli amici che si muta subito in tristezza per il tradimento imminente:

mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: «In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà… Uno dei Dodici…»

alla delusione per le promesse non mantenute:

Pietro gli disse: «Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!». Gesù gli disse: «In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte… mi rinnegherai».

alla terribile esperienza dell’abbandono:

Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono.

La tentazione di chiamarsi fuori

Ogni volta che leggo la Passione ho la tentazione di “saltare a piè pari” il resoconto degli intrighi del Sinedrio, dell’inettitudine di Pilato col suo processo-farsa…

Eppure non si può: gli evangelisti ce li hanno raccontati con dovizia di particolari, non tanto per dovere di cronaca e pignoleria, ma per aiutarci a sondare fino in fondo le “caverne” dell’animo umano, per farci capire quanto in basso possiamo spingerci se chiudiamo il cuore all’Amore di Dio.

Ognuno di noi può arrivare a rinnegare il Signore come Pietro, a tradirlo come Giuda, ad abbandonarlo come tutti gli altri…

Spariscono i grandi ed emergono i semplici

Mi rendo conto – però – che non è solo il senso di repulsa a farmi correre veloce su quelle righe, ma il desiderio di trovare Vangelo (Buona Notizia) anche in mezzo a tutto quell’orrore.

E lo si trova!

Si trova nei nomi di persone che nella Via Crucis ci capitano quasi per caso, o magari “a forza”:

Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna.

Ma niente avviene a caso sulla Via per il Gòlgota: se Marco annota i nomi dei due figli del Cireneo (Alessandro e Rufo), significa che sotto quella croce – imposta a forza sulle spalle – è germogliata la fede, per il malcapitato e per tutta la sua famiglia!

Questi nomi rimangono ad eterna memoria nella prima comunità cristiana e fino a noi oggi, mentre di Caifa e Pilato non importa più nulla a nessuno.

Rimane anche il nome di Giuseppe d’Arimatèa, non per il suo essere «membro autorevole del sinedrio», ma perché «aspettava anch’egli il regno di Dio» e «con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù».

Chi vogliamo essere?

Su quella via si incrociano le strade degli uomini di tutti i tempi, anche le nostre oggi.

Dove va la nostra strada? Sui passi di Gesù o altrove?

Ancora una volta mi viene in mente il bellissimo passo di San Gregorio Nazianzeno già citato l’anno scorso:

Se sei Simone di Cirene prendi la croce e segui Cristo…
Se sei Giuseppe d’Arimatèa, richiedi il corpo a colui che lo ha crocifisso, assumi cioè quel corpo e rendi tua propria, così, l’espiazione del mondo…
E se tu sei una delle Marie, spargi al mattino le tue lacrime.

(cfr S.Gregorio Nazianzeno, Discorsi 45, 23-24)

Rivelazione, finalmente

Abbiamo dovuto aspettare fino alla fine del vangelo di Marco per poter dire veramente chi è Gesù: fino a questo momento Egli stesso ha imposto il silenzio sulla Sua natura di Messia, di Figlio di Dio: ai demoni (cfr Mc 1,25), perfino a Pietro e agli altri (cfr Mc 8,29-30)…

Ma adesso è Lui stesso a parlare:

il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?». Gesù rispose: «Io lo sono!».

E – per ultimo – lo può affermare il più inaspettato dei credenti: il centurione:

«Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!»

Lo può fare perché finalmente «il velo del tempio si è squarciato in due»: quella cortina che solo il Sommo sacerdote poteva varcare una volta l’anno, ora è tolta definitivamente, e – per chi vuole, per chi crede – è possibile accedere direttamente al cospetto di Dio.

Non è stato uno spreco

Il velo è stato squarciato, come all’inizio del racconto la donna aveva rotto il vasetto di alabastro pieno di profumo prezioso suscitando indignazione:

«perché questo spreco?»

No: non è stato uno spreco, e nemmeno lo squarcio nel velo del tempio è stato un sacrilegio…

È semplicemente la “logica” di Dio, che ribalta ogni logica umana:

nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini (1Cor 1,21-25).