Chi ci sta a cuore? 23ª Domenica del Tempo Ordinario (A)

Ci stanno a cuore tutti?

In un mondo di individualisti, indifferenti e menefreghisti, il cristiano è chiamato a prendersi a cuore tutti: ogni fratello, a partire dai più lontani.

Omelia per domenica 10 settembre 2023

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Letture: Ez 33,7-9; Sal 94 (95); Rm 13,8-10; Mt 18,15-20

Il brano evangelico di questa domenica è tratto dal quarto dei cinque grandi discorsi racchiusi nel vangelo di Matteo: quello ecclesiale.

Se nel Discorso Missionario l’evangelista aveva raccolto i detti di Gesù sulla Chiesa ad extra (verso l’esterno), nel Discorso Ecclesiale fa un’unica raccolta delle parole del Maestro sulla Chiesa ad intra (considerata, cioè, nei suoi rapporti interni), e lo fa dandogli la forma del discorso catechistico-formativo.

Quanto ci piace fare le pulci!

Il testo di oggi è comunemente intitolato “La correzione fraterna”, ed è il primo tema che cattura la nostra attenzione, perché ci piace un sacco “fare le pulci” agli altri, e soprattutto “toglierci i sassolini dalle scarpe”.

Ma la chiave di lettura di quello che Gesù raccomanda di fare verso un fratello che sbaglia si trova nei versetti che precedono e seguono questo insegnamento.

La cornice del brano

La “cornice” dell’insegnamento sulla correzione fraterna è costituita dalla parabola della pecorella smarrita (cfr Mt 18,12-14), e dai versetti finali sulla preghiera comunitaria.

  • Anzitutto, il fratello che sbaglia merita la stessa attenzione riservata dal Padre Celeste ai Suoi piccoli: quella di un pastore solerte che non vuole che si perda neanche una delle sue pecore.
  • I versetti finali del brano odierno, invece, servono a descrivere il necessario atteggiamento di concordia della Chiesa, quella «comunità» chiamata in causa come “ultima spiaggia” per convincere il fratello che pecca:

«se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà» (cfr Mt 18,19-20).

Tutto appeso ad un “se”

Questo versetto descrive la preghiera comunitaria, ma – a mio avviso – l’attenzione va posta su quel «se» iniziale, a cui tutto è appeso.

È vero: io sono un pessimista di natura ma – guardandosi attorno – non sembra anche a voi una possibilità molto remota che su tutta la terra si possano trovare due persone che riescono a mettersi d’accordo tra loro?

Il nostro caro Papa Giovanni raccomandava di cercare ciò che unisce e non ciò che divide, ma – da che mondo è mondo – l’umanità applica esattamente la regola opposta (a meno che non si tratti di mettersi assieme per fare del male).

Vale nella società ma – purtroppo – è la situazione miserevole di tante comunità parrocchiali, dilaniate da divisioni e discordie, non solo nella gestione pratica e logistica della pastorale, ma capaci di litigare perfino su come e quando pregare!

Condizione necessaria

Insomma, prima di inoltrarci a vedere come correggere un fratello che sbaglia, occorre che siamo d’accordo tra noi, non solo in senso ideologico, ma di fede:

«dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

Qui si tratta di essere uniti nel nome di Gesù, amandoci come Lui ci ha amato e insegnato ad amare (cfr Gv 13,34 e Gv 15,12), di avere un cuore solo e un’anima sola (cfr At 4,32).

Questa è la condizione necessaria per poter vivere il delicato compito della correzione fraterna.

Ognuno per sé e Dio per tutti

Per realizzare l’indispensabile comunione di Amore con Cristo e in Cristo, occorre avere il Suo stesso cuore, quello del Pastore Buono che va continuamente in cerca delle pecore smarrite, dei figli prodighi.

Ed è qui la sfida più grande nel mondo di oggi, segnato dall’individualismo più sfrenato, dall’«ognuno per sé e Dio per tutti», da un’indifferenza che dilaga sempre più e ci fa voltare lo sguardo altrove ogni volta che abbiamo notizia di un bisogno, di un’emergenza o di una tragedia.

Pare sia tornato piuttosto di moda il «me ne frego!», motto dannunziano divenuto poi uno degli slogan più utilizzati dalle squadre fasciste.

Quando le hai provate tutte…

Siamo onesti: non è facile andare controcorrente rispetto al menefreghismo dilagante, e non solo per la nostra povertà di cuore, ma anche per la poca disponibilità delle persone a lasciarsi aiutare.

Quante volte, pur mettendoci tutta la buona volontà con qualcuno, quello ci ha risposto con un «lasciami stare! fatti gli affari tuoi!»?

A quel punto, anche il vangelo di oggi sembra gettare la spugna:

«se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano».

Ma è proprio qui che viene il bello: dobbiamo ricordarci che stiamo leggendo il vangelo di Matteo, un pubblicano diventato apostolo solo ed esclusivamente per l’Amore e la cura che Gesù ha avuto per lui.

Andate a rileggervi il racconto della sua chiamata, e troverete il senso autentico dell’ultima indicazione di Gesù:

«Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati… Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».

Trattare da pubblicano un fratello che non vuole lasciarsi correggere, significa farlo diventare il tesoro più prezioso del nostro cuore e l’oggetto principale delle nostre preghiere!

Prendere a cuore

I pubblicani e i peccatori sono al centro dell’interesse e della cura di Gesù: gli stanno a cuore, perché sono stanchi e sfiniti come pecore che non hanno pastore (cfr Mt 9,36).

È questa la conversione che dobbiamo operare in noi: prima di pensare a correggere il fratello bisogna che continuiamo a considerare ogni uomo come tale, perché anche quando uno si dovesse auto-estromettere dalla comunità cristiana rimane comunque figlio di Dio e, quindi, nostro fratello.

Dobbiamo imparare da Gesù a prenderci a cuore tutti, a partire dai più lontani.

Dov’è tuo fratello?

Tutti gli uomini sono nostri fratelli, sempre, come ci ha ricordato Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti, e, per non dimenticarcene, dobbiamo continuamente far risuonare nel cuore la domanda insistente e scomoda che Dio pose a Caino:

«Dov’è tuo fratello?» (cfr Gen 4,9)

Anche su questa domanda il Papa, qualche anno fa, ci ha lasciato un’omelia stringente che vi consiglio di andare a leggere.

Mi sta a cuore

Contro il terribile slogan menefreghista citato pocanzi, il cristiano deve opporre il motto di don Lorenzo Milani«I care»: «mi sta a cuore»!

Senza questa spinta di cura e interesse sincero per gli altri non esiste comunità cristiana, non esiste correzione fraterna, e – a lungo andare – non esisterà più nemmeno l’umanità.