Come cantare in terra straniera?
Omelia per venerdì 28 giugno 2024
Davanti ai racconti di deportazione, sopraffazione e violenza, non possiamo che cantare il dolore, provando compassione per gli innocenti e farci loro voce.
Letture: 2Re 25,1-12; Sal 136 (137); Mt 8,1-4
Il brano che oggi il Lezionario ci fa ascoltare alla Prima Lettura è l’epilogo tragico, drammatico e crudo dell’annientamento di ciò che ancora rimaneva del regno di Davide.
Si narra l’assedio e il saccheggio di Gerusalemme, la profanazione e distruzione del tempio ad opera di Nabucodònosor, re di Babilonia, e la seconda deportazione babilonese, avvenuta nel 587 a.C.
Profeti messi a tacere
Ancora una volta, il testo sacro ci tiene a farci leggere questi avvenimenti come la conseguenza dell’allontanamento di Israele dall’alleanza con Dio, cosa che si deduce dai versetti che il Lezionario salta tra il brano di ieri e quello di oggi1 e, soprattutto, dagli ultimi capitoli del Libro del Profeta Geremia:
Sedecìa, figlio di Giosia, divenne re al posto di Conìa, figlio di Ioiakìm; Nabucodònosor, re di Babilonia, lo nominò re nella terra di Giuda. Ma né lui né i suoi ministri né il popolo del paese ascoltarono le parole che il Signore aveva pronunciato per mezzo del profeta Geremia… (cfr Ger 37 – 39)
Il titolo di queste vicende potrebbe quindi essere, per l’ennesima volta, «Quando i profeti vengono messi a tacere…»
Leggere attraverso
La violenza e la crudeltà di Nabucodònosor fanno venire la pelle d’oca, ma – ancora una volta – dobbiamo riflettere sul fatto che la Liturgia, alla fine del brano, ci faccia pronunciare il fatidico «Parola di Dio».
La Bibbia non racconta solo delle storie passate, ma ci invita a rileggere in esse la storia presente: la sorte degli esuli di Gerusalemme è la stessa sorte fatta subire, nei nostri giorni, ai Palestinesi della Striscia di Gaza, ma anche ad un sacco di altre popolazioni di cui nessuno dei nostri giornali parla mai.
Provare compassione
In questa storia, in quelle di tutti i tempi, e soprattutto in quelle odierne, lo Spirito Santo (che ha ispirato gli autori sacri) ci invita a guardare con compassione le sofferenze degli innocenti e a farci loro vicini, con la preghiera, il grido di denuncia di ogni violenza e l’aiuto concreto, anche piccolo, che possiamo dare.
Non possiamo chiudere gli occhi, far finta di niente, chiuderci nella nostra indifferenza o assuefarci alla narrazione cronachistica e asettica.
Cantare il dolore
Non solo le cronache sono Parola di Dio ma, in modo sommo, anche i Salmi, che la Chiesa intera2 prega ogni giorno.
Prendiamo, dunque, le parole del poema che oggi la Liturgia ci propone come Salmo Responsoriale, e facciamole nostre.
Preghiamolo, cantiamolo, piangiamolo, mettendoci nei panni di tutti gli esuli del mondo che, oltre ad essere maltrattati, vengono sbeffeggiati:
ci chiedevano parole di canto
coloro che ci avevano deportato.
Cosa cantare in terra straniera?
Oltre a metterci nei panni degli esuli di tutte le deportazioni e persecuzioni, antiche e moderne, non dobbiamo dimenticare che anche la nostra vita terrena, dopotutto, non è altro che un esilio, in attesa di poter tornare in quella “Gerusalemme” che è il Cielo.
E allora, anche nei momenti tristi della nostra vita, non è fuori luogo pregare così:
Come cantare i canti del Signore
in terra straniera?
…Mi si attacchi la lingua al palato
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non innalzo Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia.
- «Sedecìa aveva ventun anni; regnò undici anni a Gerusalemme… Fece ciò che è male agli occhi del Signore, come aveva fatto Ioiakìm. Ma, a causa dell’ira del Signore, a Gerusalemme e in Giuda le cose arrivarono a tal punto che il Signore li scacciò dalla sua presenza» (cfr 2Re 24,18-20). ↩︎
- Soprattutto i sacerdoti e i religiosi, che vi sono tenuti per obbligo. ↩︎