Come crederanno?! Festa di sant’Andrea apostolo

Come crederanno?

Letture: Rm 10,9-18; Sal 18 (19); Mt 4,18-22

Non so con quale criterio abbiano scelto il brano di vangelo della Messa propria di sant’Andrea, ma io avrei optato invece per il racconto della vocazione del nostro festeggiato nella versione di Giovanni (cfr Gv 1,34-42).

Non lo dico semplicemente per una preferenza stilistica o di altro tipo, ma soprattutto perché avrebbe richiamato in modo molto più forte la prima lettura di oggi (che invece mi piace molto, e ha ispirato il titolo di questa breve riflessione):

«Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato».

Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati?

Una sfilza di “come”

Forse l’avreste notato da soli, senza le mie evidenziazioni in neretto, ma l’apostolo Paolo pone una sfilza di domande retoriche che fanno capire il legame stringente e indissolubile che c’è tra la preghiera, la fede, l’annuncio e la missione.

Quel “come” ripetuto ostinatamente per quattro volte mi pare cascare a pennello per descrivere l’importanza di Andrea, sempre che si faccia riferimento al racconto di vocazione dei primi discepoli tramandotaci da Giovanni (anziché al brano di Matteo, scelto dal Lezionario di oggi).

Senza Andrea, Simone ora chi sarebbe?

Sarò di parte, ma ditemi: come avrebbe mai potuto Simon Pietro conoscere Gesù, stringere amicizia con Lui, riporre in Lui tutta la sua fiducia, fino al punto di arrivare a diventare quel che poi è diventato se non gliel’avesse fatto conoscere suo fratello Andrea?

Lo sottolinea anche san Giovanni Crisostomo in una bellissima omelia:

Andrea, dopo essere restato con Gesù e aver imparato tutto ciò che Gesù gli aveva insegnato, non tenne chiuso in sé il tesoro, ma si affrettò a correre da suo fratello per comunicargli la ricchezza che aveva ricevuto…

Dicendo subito al fratello ciò che aveva saputo, mostra quanto gli volesse bene, come fosse affezionato ai suoi cari, quanto sinceramente fosse premuroso di porgere loro la mano nel cammino spirituale.

La “reazione a catena”

Il racconto giovanneo poi non si ferma lì, ma va avanti a descrivere l’annuncio come un “contagio” buono, una “reazione a catena” che – di discepolo in discepolo – va ad allargare il gruppo dei primi amici di Gesù:

Il giorno dopo Gesù… trovò Filippo e gli disse: «Seguimi!»… Filippo trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret… Vieni e vedi» (cfr Gv 1,43-51).

Ma – si sa – una catena si interrompe subito se anche solo uno degli anelli si spezza: ecco perciò il motivo dell’insistenza di Paolo su quel “come”!

Non chiudersi in sé

Perciò non bisogna mai tenere per sé la propria fede, come diceva il Crisostomo nell’omelia che ho citato:

Andrea… non tenne chiuso in sé il tesoro, ma si affrettò a correre da suo fratello per comunicargli la ricchezza che aveva ricevuto.

Se Andrea si fosse tenuto per sé la cosa, come avrebbe potuto suo fratello Simone fare esperienza di Cristo?

Forse ci avrebbe pensato Gesù a “scovarlo” – direte voi – come del resto pare raccontino i tre Sinottici, no?

Ma la versione del quarto evangelista mi pare chiamarci in causa in modo molto più personale, per ricordarci che – sì – la vocazione è una questione del tutto personale e riguarda l’incontro di ciascuno di noi col Maestro, ma che la testimonianza del nostro incontro con Lui non può che farsi annuncio.

Se no la Chiesa muore

Quando Papa Francesco ci ripete ostinatamente che «se la Chiesa non è “in uscita” si ammala», allude proprio e anzitutto a questo.

Essere missionari, essere «Chiesa in uscita» è – anzitutto – smetterla di fare della nostra fede una “questione personale”!

Vale per ogni credente che pensa di poter assolvere il proprio dovere dedicando mezz’oretta la settimana e poi “chiudere tutto in un cassetto” fino alla domenica successiva.

Vale per noi sacerdoti che ci siamo trasformati in “maestrini” che pretendiamo di saperla lunga su tutto e che quando parliamo di Gesù lo facciamo come se stessimo esponendo una qualsiasi materia scolastica.

Gesù non si insegna: si testimonia

Ma il racconto giovanneo è chiarissimo su questa cosa: né Andrea ha trasmesso la fede a Simon Pietro, né Filippo a Natanaele.

Non hanno insegnato chi era Gesù: hanno solo testimoniato la gioia del loro incontro e hanno favorito lo stesso incontro personale con Gesù per i loro fratelli e amici.

Lo dice chiaramente anche il Crisostomo nel seguito della sua omelia:

Se Giovanni Battista… lasciò che un più chiaro insegnamento su questo venisse da Cristo stesso, certamente con motivi ancor più validi si comportò in questo modo Andrea, non ritenendosi tale da dare una spiegazione completa ed esauriente.

Per cui guidò il fratello alla sorgente stessa della luce con tale premura e gioia da non aspettare nemmeno un istante.

La Chiesa ha bisogno di testimoni, più che di maestri (come diceva già cinquant’anni fa san Paolo VI).