Con i “se” e con i “ma”… 6ª Domenica del Tempo Ordinario (A)

Omelia per domenica 12 febbraio 2023
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Letture: Sir 15,16-21; Sal 118 (119); 1Cor 2,6-10; Mt 5,17-37
Nel nostro linguaggio comune ci sono diverse espressioni che fanno perno sulla congiunzione ipotetica “se” e sulla congiunzione avversativa “ma”.
La più famosa è il proverbio
con i “se” e con i “ma” la storia non si fa.
È un modo di dire che invita al sano realismo e alla concretezza del fare, a non fermarsi alle ipotesi o alle supposizioni.
Giornalisticamente, poi, da qualche anno è entrata a far parte dell’uso quotidiano l’espressione «senza “se” e senza “ma”», per indicare la determinatezza nel far qualcosa, senza porre condizioni o farsi frenare dagli indugi.
Parole da evitare
Insomma: in tutti e due i casi il “se” e il “ma” sono parole (e atteggiamenti) da evitare, perché impediscono all’uomo di decidersi e realizzare ciò che deve.
Allora come la mettiamo con tutte le volte in cui Gesù usa queste due congiunzioni nel suo parlare? E non mi riferisco soltanto al brano evangelico di questa domenica.
I “se” e i “ma” di Gesù
Il Discorso della Montagna – per esempio – è pieno zeppo di “se” e di “ma”:
«se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete?… E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario?» (cfr Mt 5,46-47)
«Se perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete…» (cfr Mt 6,14-15)
«se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo…» (cfr Mt 6,22-23).
La differenza rispetto al nostro modo di parlare è che Gesù non usa queste espressioni per fare discorsi ipotetici, campati per aria, ma – da grande osservatore della realtà qual è, e da grande Maestro dello spirito – ci aiuta a fare ordine e chiarezza nel nostro cuore.
Ci mette in guardia dalle scuse che usiamo per coprire la nostra pusillanimità e ci invita a prendere sul serio le conseguenze del nostro non deciderci mai.
Un “se” che interpella la libertà
Ma soprattutto, il “se” più significativo nel parlare di Gesù è quello legato al volere, e che interpella la libertà dell’uomo, come quello “lanciato” al tale che abbiamo soprannominato “il giovane ricco”:
«Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti… Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri…» (cfr Mt 19,16-22)
Qui non si tratta più di fare ipotesi: oltre a mettere l’uomo di fronte alle possibilità che si spalancano davanti a sé, Gesù lo interpella e lo invita a prendere una decisione, ma sempre nella libertà del cuore.
Dio ci lascia liberi, ma desidera il nostro bene
È la dinamica sottintesa anche nelle parole del Siracide che ascoltiamo nella prima lettura.
In sostanza, Dio ci lascia liberi, anche di fare il male, ma – come ogni buon genitore – desidera per noi il bene – anzi – il meglio, e perciò non si tira indietro dall’indicarci quale sia la strada buona da seguire (e quella cattiva, da evitare).
Non è come i genitori “moderni”, che dicono: «io non faccio battezzare mio figlio: lo lascio libero, così, quando sarà grande, deciderà lui cosa fare della sua vita».
Perdonatemi questo giudizio, ma questa è una grande stupidaggine! Se si seguisse questo modo di ragionare, ai figli non si dovrebbe nemmeno insegnare una lingua piuttosto che un’altra, o la bontà o meno delle cose che mettono in bocca!
Alla fine – come scrive il Siracide – Dio
ti ha posto davanti fuoco e acqua:
là dove vuoi tendi la tua mano.Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male:
a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.
Ma è anche vero che – come conclude il brano –
A nessuno ha comandato di essere empio
e a nessuno ha dato il permesso di peccare.
Un’arma a doppio taglio
Dio ci ha fatto un grande dono (la libertà), che però è anche un grande compito, come un’arma a doppio taglio.
Perciò – ben sapendo a cosa saremmo andati incontro – quando ci ha fatto questo regalo non ci ha detto «fate quel che volete» ma «siate responsabili; cercate il Bene, sempre».
Ed è il succo anche di questa lunga pagina evangelica che abbiamo chiamato “delle antitesi”: Gesù sa bene che possiamo fare un uso sbagliato e distorto della nostra libertà, e perciò si preoccupa di istruirci.
Non sono minacce (come possono sembrare le espressioni «Chi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna»), ma messe in guardia, come l’indicazione che troviamo sulle sostanze velenose: «nuoce gravemente alla salute».
La domanda che “punge”
Al fondo di tutto ci sta una domanda, che ci pungola nel profondo:
- Cosa ti sta a cuore veramente? Qual è il significato che vuoi dare alla tua vita? Che ne vuoi fare della tua esistenza?
Vuoi pensare solo a te stesso e cercare quello che sembra bene per te?
E anche quando decidi di “fare il bravo”, vuoi accontentarti semplicemente di fare il dovuto, lo stretto necessario?
Un po’ come quelli che entrano in confessionale e dicono «Non ho ucciso nessuno, non ho rubato nulla, non ho tradito mia moglie… dunque sono a posto!»
Oppure vuoi puntare in alto e diventare quello che sei destinato ad essere?
Dio vuole il meglio per te… lo vuoi anche tu?
Come sentiremo nel vangelo di domenica prossima, se amiamo quelli che ci amano e diamo il saluto soltanto ai nostri fratelli, non facciamo nulla di straordinario: noi siamo chiamati ad essere «perfetti come è perfetto il Padre nostro celeste».