Contabilità celeste. 25ª Domenica del Tempo Ordinario (A)
Matteo, esperto di conti, si accorse presto di come la contabilità di Dio funzionasse in modo difforme da quella terrena. E noi cosa aspettiamo a capirlo?
Omelia per domenica 24 settembre 2023
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Letture: Is 55,6-9; Sal 144 (145); Fil 1,20-24.27; Mt 20,1-16
Non so se Gesù abbia raccontato la parabola di questa domenica proprio nel momento successivo a quanto si legge nel capitolo precedente del vangelo di Matteo ma, se così fosse, sarebbe l’ampliamento della risposta all’ennesimo piagnisteo di Pietro:
«Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?» (Mt 19,27)
Contabilità celeste
Gesù aveva risposto:
«Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle… riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (cfr Mt 19,28-29)
E credo di poter dire che la parabola degli operai mandati nella vigna non è altro che un ampliamento e un’esemplificazione di questa risposta, perché Gesù termina sia qui che dopo con un’affermazione quasi identica sul fatto che «gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi» (cfr Mt 19,30 e Mt 20,16).
In soldoni, la morale di questa pagina potrebbe essere riassunta così: «caro Pietro, cambia la prospettiva dalla quale guardi le cose, perché la contabilità celeste ha regole piuttosto diverse da quella terrena».
Il primo a rendersi conto di ciò dev’essere stato proprio il nostro evangelista, di cui abbiamo festeggiato la memoria e di cui vi ho invitato a vestire i panni.
Facciamolo anche stavolta, ascoltando questa parabola… con le sue orecchie.
I conti non tornano!
Matteo prima era un pubblicano, uno che di contabilità e di soldi se ne intendeva (non è un caso che quasi tutte le parabole che parlano di soldi e ricchezze si trovino solo nel suo vangelo).
Come avrà reagito nell’ascoltare questo racconto? Sarà andato su tutte le furie, con la stessa stizza dei lavoratori della prima ora.
Pure lui, un furfante che aveva saputo imbrogliare tanti poveretti facendo “quadrare” i conti a suo vantaggio, avrà detto: «Questo è troppo! Ma che razza di contabilità è mai questa!»
La sorpresa di sentir parlare di qualcuno di più “disonesto” di lui deve averlo veramente seccato…
Sono anch’io uno degli ultimi
Poi, ripensando alla propria esperienza si sarà ricreduto.
Anzitutto, avrà detto – tra sé e sé – «anche io sono stato pagato il prezzo di una giornata intera pur essendo arrivato all’ultima ora…»
Inoltre, avrà ripensato ai tanti denari lasciati sul banco delle imposte e a quello che il Maestro gli aveva dato in cambio… un tesoro di valore inestimabile: la Sua amicizia e la promessa del Regno dei cieli!
Quel Rabbi di Nazareth l’aveva “fregato” per bene, ma invece di imbrogliarlo l’aveva remunerato in modo sovrabbondante e inaspettato.
Questione di sguardi
La domanda finale del padrone della parabola, che in italiano è resa con «sei invidioso perché io sono buono?», tradotta in modo letterale è molto più forte:
«il tuo occhio è malvagio poiché io sono buono?»
Anche su questo Matteo deve aver riflettuto parecchio: si sarà ricordato di tutti gli sguardi arrabbiati di coloro che aveva imbrogliato e spolpato a nome dei Romani, di tutte le occhiate di disprezzo morale da parte dei notabili della Legge…
E poi, un giorno, quello sguardo indimenticabile del Maestro di Galilea che aveva adocchiato proprio lui, penetrandolo con un Amore che aveva saputo vedere in lui cose che nemmeno lui sapeva di avere.
È questione di occhi, di sguardi: c’è qualcosa che l’uomo non sa vedere, perché «l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore» (cfr 1Sam 16,7).
Occhio semplice o cattivo?
Ecco il senso di quelle parole che Gesù aveva spiegato dalla montagna delle Beatitudini:
«La lampada del corpo è l’occhio… ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!» (cfr Mt 6,22-23)
C’è tenebra dentro di noi quando guardiamo gli altri con invidia, sentendoci sempre depauperati di qualcosa che ci spetta, come quando gran parte dell’opinione pubblica, facendo eco alle grida di qualche “politico”, urla:
«prima gli Italiani! Ci portano via il lavoro!»
C’è tenebra quando guardiamo in cagnesco perfino Dio, perché non si comporta come noi, e ribalta le classifiche mettendo gli ultimi al primo posto, mentre noi invece osanniamo la logica della meritocrazia.
Sconti, non conti
Siamo invidiosi di Dio quando “gli facciamo i conti in tasca” e gli rinfacciamo di essere troppo buono con chi non se lo merita.
E quante volte anche io, nel mio piccolo, mi sono sentito rimproverare da “buoni cristiani”, con un
«don! La smetta di dare soldi agli extracomunitari! Non vede che stanno meglio di lei e hanno il telefonino più bello del suo?!»
Grazie al cielo Dio non fa questi conti, ma solo “sconti”, perché – come abbiamo meditato con la parabola di domenica scorsa – Egli non è un esattore delle tasse, ma il re che sempre condona debiti enormi a chi gli chiede pazienza e misericordia.
Cosa dobbiamo imparare?
Il fatto che il padrone comandi al suo fattore di pagare gli operai cominciando dagli ultimi ci sembra un’ulteriore cattiveria ma, in realtà, è l’invito perentorio da parte di Dio ad osservare bene il Suo modo di fare, la larghezza infinita del Suo Amore, per imparare a fare altrettanto.
Abbiamo bisogno di imparare ad avere lo sguardo di Dio e ad applicare la Sua contabilità così diversa dalla nostra.
Se non lo faremo, i primi a rimanere schiacciati da un falso “dio” esigente e spietato saremo proprio noi, perché siamo noi quelli delle cinque del pomeriggio!