Curiosità “santa”. 31ª Domenica del Tempo Ordinario (C)

Curiosità

C’è una curiosità morbosa e maliziosa (quella del farci gli affari degli altri), ma ce n’è anche una “santa”: quella di voler conoscere il Signore come Zaccheo.

Omelia per domenica 30 ottobre 2022

Letture: Sap 11,22-12,2; Sal 144 (145); 2Ts 1,11-2,2; Lc 19,1-10

Non sono curioso, e i curiosi mi stanno sullo stomaco (per essere fine).

Non sopporto la curiosità morbosa di chi ficca il naso dappertutto e ha come “sport” preferito il farsi gli affari altrui.

Mi fanno imbestialire – poi – quelli che hanno il gusto del macabro, e vanno in cerca di tutte le situazioni che – invece – meriterebbero rispetto e riserbo (pensate alle code di auto che si formano per “curiosi” che rallentano a cercare di vedere i dettagli più scabrosi di un incidente avvenuto sulla carreggiata opposta in autostrada).

La curiosità inutile

Avendo fatto il parroco per dieci anni in un paesino di media montagna, ho più volte sentito il fastidio di quell’atteggiamento sterile del voler sapere tutto di tutti, per poi godere nel diffondere quanto appreso con l’arte del pettegolezzo.

Più spesso ancora ho rimproverato i miei parrocchiani di non utilizzare questa capacità di “investigazione” per conoscere e diffondere le notizie veramente importanti, come – ed esempio – informare il sottoscritto che una persona era ammalata e ricoverata in ospedale, così che potessi recarmi tempestivamente a visitarla (e impegnarsi – loro stessi – nella preghiera per il malato e nella vicinanza rispettosa ai suoi famigliari).

Carpire informazioni per poi non farne nulla (se non riempirsi la bocca) è inutile, e spesso dannoso.

Curiosità pericolosa

Sì: c’è una curiosità pericolosa, perché ci espone a rischi non indifferenti, come quella del bambino piccolo che deve sperimentare tutto e si fa male (toccando la pentola bollente, le prese elettriche, le cose appuntite o affilate, etc.)

È un difetto che non se ne va nemmeno da adulti: tutto ciò che è misterioso e sconosciuto ci attira, e – pur avendo imparato a nostre spese che spesso ci mettiamo nei guai – spesso ci lasciamo vincere dall’ebbrezza e dal brivido del “provare a tutti i costi”.

E così – come da piccoli entravamo in edifici abbandonati coi nostri amici per curiosità e per mettere alla prova il nostro coraggio – da “adulti” vogliamo provare a tutti i costi che sensazione dia l’ubriacarsi, farsi una canna, ingurgitare una pastiglia di Ecstasy etc… pur sapendo che sono cose dannose.

Stesso discorso per quel “prurito” che ci incolla alla TV o a internet alla ricerca di immagini di violenza o di sesso che uccidono l’anima e la purezza dello sguardo e del cuore.

Attenti anche all’indifferenza

Ma anche il contrario della curiosità è cattivo.

Mi riferisco all’atteggiamento di totale indifferenza di chi «si fa i fatti suoi» in ogni caso, anche quando sarebbe necessario interessarsi degli altri.

Quello di chi dice «vivi e lascia vivere», e ripete «non è affar mio» anche di fronte alle tragedie dell’umanità.

Quello di chi non si lascia più commuovere da nulla, che non è più capace di piangere di fronte al dolore altrui perché si è ormai costruito una corazza infrangibile e impermeabile, quella del «globalismo dell’indifferenza» spesso denunciato da Papa Francesco.

Quell’indifferenza che ci fa cadere in un vuoto immobilismo e lasciar scorrere la vita accanto a noi, perdendo per strada tutte le occasioni buone che potremmo invece cogliere.

Curiosità “santa”

Perdonatemi tutto questo lunghissimo preambolo, ma era necessario per arrivare a dire che – invece – c’è anche una curiosità buona e “santa”, che ci mette nelle condizioni di sperimentare il Bene: è quella di Zaccheo.

Non è una curiosità fine a se stessa, malata, impicciona… ma quella di chi intuisce che forse non è tempo perso lasciar da parte i propri affari, perché ne vale la pena.

È la stessa di Mosè che si lascia attirare dal «grande spettacolo» del roveto ardente (cfr Es 3,3); la stessa di Natanaele che – inizialmente scettico – si lascia convincere da Filippo ad andare a conoscere Gesù (cfr Gv 1,45-50).

È la stessa di chi – in giro per turismo – si lascia attirare dalla porta aperta di una chiesa e vi entra con rispetto, e non si limita a scattare foto o curiosare opere d’arte, ma si lascia cullare dal silenzio e dalla pace che vi ha trovato, e prova a pregare…

Più ancora: quella di chi – entrato in chiesa da turista – si lascia attirare da un confessionale aperto con un sacerdote dentro, e sceglie di confessarsi, dopo molti anni che non lo faceva!

Probabilmente – se Zaccheo non avesse risposto a questo “prurito” sano – non avrebbe incontrato Gesù.

Saper scegliere

Quante sono le occasioni che noi – invece – ci lasciamo sfuggire perché abbiamo sempre qualcosa di troppo “urgente” e “redditizio” da fare!

È paradossale come in noi la curiosità funzioni sempre a senso unico: siamo attratti da tutto ciò che sappiamo già non esserci utile (o addirittura dannoso), ma rifiutiamo a priori ciò che intuiamo essere un’occasione di bene, e non accogliamo l’invito, perché non vogliamo farci coinvolgere.

Come quando una persona ci invita a un ritiro spirituale, un momento di preghiera, un’attività di volontariato, o anche solo ci vuole comunicare una buona notizia, che riguarda il bene e la solidarietà: per i pettegolezzi e le cattiverie abbiamo sempre tempo e orecchie a iosa… per il bene e le cose edificanti siamo sempre di fretta.

La nostra responsabilità

Questo vangelo è una staffilata anche per noi cristiani praticanti, convinti di essere già “a posto”: a Gerico è proprio la “cerchia” più ristretta di Gesù che – anziché aiutarlo a raggiungere gli ultimi e far incontrare la loro curiosità col Bene portato dal Maestro – diventa un ostacolo.

Era già successo alle porte della città col cieco nato (cfr Lc 18,35-43):

Quelli che camminavano avanti lo rimproveravano perché tacesse (Lc 18,39).

E ora avviene con Zaccheo, quando ormai Gesù ha fatto tutto da solo:

Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!» (Lc 19,7).

Siamo noi quelli che non vogliono “nuovi arrivati”, che si scandalizzano se in chiesa arrivano le persone meno raccomandabili. Ma in questo siamo tremendamente peccatori e lontani mille miglia dal Vangelo.

Gesù vede in Zaccheo la pecorella smarrita da andare a recuperare a tutti i costi (cfr Lc 15,1-7), e anche il pubblicano della parabola di domenica scorsa, che è capace di pentimento… Noi ci vediamo solo dei fastidi!

Quante persone sono in cerca della Verità ma trovano noi come ostacolo?

Dobbiamo convertirci

Quanti si affacciano in chiesa con curiosità ma – invece di trovare gente gioiosa di vivere il Vangelo – trovano vecchi sclerotici ammuffiti e arrabbiati, annoiati dall’Eucaristia (che non cantano, non rispondono ai dialoghi liturgici) e che – una volta usciti di chiesa – sono incapaci di viverla e attuarla nella loro vita?

Se Zaccheo avesse dovuto incontrare un “cristiano medio” di oggi invece di Gesù, sarebbe tornato di sicuro ai suoi affari più redditizi; invece – grazie al Cielo – ha incontrato la Misericordia e l’Amore di Dio.

Dobbiamo tornare a profumare della gioia del Vangelo! E per far questo dobbiamo necessariamente convertirci e ritornare ad essere come Gesù: persone che vanno incontro all’uomo con il desiderio di dialogare, ascoltare, capire, entrare in sintonia e solidarizzare.

Sono i temi che stiamo meditando nella catechesi degli adulti di quest’anno, rileggendo la Gaudium et spes del Concilio Vaticano II:

Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore…

Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia.

(Concilio Vaticano II, Gaudium et spes 1)