Diamoci un taglio! 26ª Domenica del Tempo Ordinario (B)

Diamoci un taglio!

Dobbiamo tagliar via da noi tutto ciò che impedisce ai piccoli di incontrare Cristo, e imparare a gioire con Dio per ogni uomo che si salva

Letture: Nm 11,25-29; Sal 18 (19); Gc 5,1-6; Mc 9,38-43.45.47-48

Proprio non ci siamo: i discepoli non ne indovinano una (e noi con loro).

Domenica scorsa li abbiamo visti litigare su chi fosse il più grande, e – di conseguenza – prendersi una bella lezione di umiltà da parte di Gesù.

Oggi, li troviamo a pretendere di distribuire “patentini” di abilitazione al discepolato e a spiegare al Maestro quali sono le “regole di ingaggio” (ovvero: la necessaria appartenenza alla cerchia ristretta degli “adepti”).

Di male in peggio

Tra l’altro, ci troviamo di fronte all’ennesima figuraccia, perché questa “entrata” di Giovanni sul discepolo “non autorizzato” avviene quasi come un tentativo di cambiare discorso, di uscire dall’imbarazzo e dall’impasse, mentre Gesù ha ancora tra le braccia il bambino che ha messo in mezzo come esempio.

Il Maestro ha appena cercato di spiegare che per entrare nel Regno occorre farsi piccoli e insignificanti come un bambino, e i discepoli – invece – seguitano ad usare misure umane, vagliando i gradi di appartenenza e le conseguenti abilitazioni a dire o fare.

Tu non giochi!

La prima edizione del Lezionario (che seguiva la vecchia versione della Bibbia CEI 1974), invece di «volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva» traduceva

«glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri».

Pur essendo più corretta quella attuale (che segue la versione della Bibbia CEI 2008), quella precedente rendeva meglio l’idea della chiusura dei discepoli.

Una chiusura non solo mentale, ma di cuore (nel linguaggio biblico si trova il termine sclerocardìa, ovvero: “avere il cuore indurito”).

Sembra di rivedere quelle scene di quando eravamo bambini e – arrivati al campetto dell’oratorio – i più prepotenti ti dicevano: «tu non giochi! Abbiamo già fatto le squadre prima, e se no poi siamo in dispari».

Gelosia canaglia

Nella Prima Lettura (che come sempre anticipa e prepara il tema del vangelo) abbiamo una scena molto simile: il giovane Giosuè raccomanda caldamente a Mosè di impedire a due uomini di profetizzare perché “non avevano seguito le procedure” (erano fra gli iscritti, ma non erano usciti per andare alla tenda).

La risposta di Mosè è stupenda e fa riflettere:

«Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!»

Oltre ad augurarsi che lo Spirito del Signore possa scendere su ogni uomo, Mosè smaschera il vero motivo dell’osservazione di Giosuè: la gelosia.

Il guardarsi gli uni gli altri con spirito di competizione, sospetto e risentimento rende il cuore duro, e impedisce di vedere l’opera di Dio che si dipana ovunque, in particolare sui piccoli e sui semplici, che non pongono limiti alla Divina Provvidenza.

Basta un bicchier d’acqua

Gesù non si perde d’animo davanti alla pusillanimità dei Dodici, e continua – paziente – la Sua catechesi:

«Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa».

L’appartenenza al “gruppo di Gesù”, e – di conseguenza – a coloro che Dio chiama ad entrare nel Suo Regno, non dipende da cariche e onorificenze, dal diritto di anzianità, dall’aver seguito corsi di teologia o frequentato gruppi ferventi di preghiera:

«Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21).

E la volontà del Padre è l’Amore: nell’ultimo giorno si sentiranno dire «Venite, benedetti del Padre mio» coloro che hanno dato da mangiare agli affamati, da bere agli assetati… (cfr Mt 25,31-46).

Il Regno è per tutti gli uomini

La vecchia traduzione del Messale, al Gloria ci faceva cantare «…e pace in terra agli uomini di buona volontà»… grazie a Dio, ora abbiamo recuperato la traduzione letterale:

«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama»
(Lc 2,14).

Destinatari della pace di Dio, del Suo Amore, della Sua benevolenza, sono tutti gli uomini, non solo “quelli in gamba”, anzi: prima di tutto i piccoli, i meno considerati, i non istruiti (i pastori, per l’appunto: cfr Lc 2,8-12).

Sono coloro che pur senza aver conosciuto Gesù Cristo (o perché nessuno gliel’ha mai annunciato, o perché sono cresciuti in circostanze e climi socio-culturali sfavorevoli) sanno vivere lo stesso stile di amore e di carità.

In tutta la storia della salvezza, Dio sceglie i piccoli, quelli che non hanno altra certezza che Lui, e da Lui si lasciano muovere e ispirare nelle loro azioni.

Diamoci un taglio!

«Volesse il Signore dare a tutti il suo spirito!» dice Mosè, e il Signore lo vuole proprio! A tutti fa dono del Suo Spirito, di quella insopprimibile domanda di Eternità che agita il cuore di ogni essere vivente.

Perché dovremmo esserne gelosi o preoccuparci? Forse perché pensiamo che essere cristiani significhi dover qualcosa a Dio, rispettare delle regole, “rigare diritto”?

Questa è la mano da tagliare, perché dipinge un Dio mostruoso, e – allontanando chi non fa parte della nostra cerchia – dà scandalo.

Questo è il piede da tagliare, perché incespica in regole solo umane e perciò contraddittorie (“inciampo” è il significato letterale della parola “scandalo”), e con supponenza legalistica impedisce a chiunque di avvicinarsi a Dio.

Questo è l’occhio da cavare, perché è tenebroso e falso (cfr Lc 11,34), tanto che – guardando “gli altri” con sospetto – non riflette certo il volto amoroso di Cristo e la Sua accoglienza.

Ricucire dopo aver tagliato

Le nostre Comunità sono “scandalose” se non sanno vivere dello stesso desiderio di Cristo che tutti gli uomini siano salvi (cfr 1Tm 2,4), anche attraverso quelle vie misteriose che il Padre ha predisposto e solo Lui conosce.

Siamo gran bravi a tagliar fuori tutti quelli che non rientrano nei nostri canoni: «questo sì, quello no»… Ma – così facendo – facciamo letteralmente a pezzi la Comunità, riducendola in brandelli.

Invece di creare Comunione siamo un continuo dividerci (è un difetto che parte da lontano, se pensiamo che san Paolo lo richiamava ai cristiani di Corinto: cfr 1Cor 11,18).

La divisione e l’esclusione gli uni degli altri è uno scandalo così grande che Gesù usa parole di condanna durissime (forse le più dure che abbia mai pronunciato):

«Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare».

Perciò, se proprio c’è qualcosa da tagliare, a cui “dare un taglio”, è proprio questo nostro atteggiamento di esclusione e selezione della “casta”.

Abbiamo bisogno – invece – di imparare a ricucire, a ripristinare i legami, e questo è possibile solo attraverso il perdono e la stima reciproci, come raccomandava san Paolo:

«amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10);

«Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole» (Rm 13,8)

Imparare a gioire con Dio

Troppo spesso – invece – ci guardiamo con invidia: siamo come gli operai della vigna che si lamentano di aver ricevuto la stessa paga di chi ha lavorato un’ora soltanto (cfr Mt 20,1-16).

“Credenti” rancorosi nel veder cadere ogni “privilegio” o vantaggio che sarebbe “dovuto” a chi è nato e cresciuto cristiano e si è impegnato da sempre, rispetto al buon ladrone (cfr Lc 23,42-43) che si salva all’ultimo minuto o al figliol prodigo che torna a chiedere pietà quado ormai non sa più come campare (cfr Lc 15,28-30).

Siamo invidiosi della grandezza del cuore di Dio! Invece dovremmo imparare a gioire con Lui!

Impariamo a gioire con Cristo e in Cristo del fatto che Dio ama tutti gli uomini, e se abbiamo davvero capito che è Cristo la salvezza di ogni uomo, non teniamolo gelosamente come una nostra proprietà e prerogativa, ma impegniamoci a farlo sapere a tutti.

Non invidiamo chi si salva anche senza essere cristiano, ma aiutiamolo a conoscere che la fonte della carità che già riesce a vivere (magari inconsapevolmente) è Cristo stesso.