Differenze nel raccontare
Omelia per martedì 2 luglio 2024
Ci sono varie differenze nei racconti evangelici riguardanti lo stesso fatto: anche queste hanno qualcosa di importante da insegnarci.
Letture: Am 3,1-8;4,11-12; Sal 5; Mt 8,23-27
Il brano della Prima Lettura l’ho commentato abbondantemente due anni fa, perciò voglio condividere con voi un piccolo raffronto tra il racconto della tempesta sedata nella versione di Matteo che ascoltiamo oggi e la versione di Marco che abbiamo ascoltato pochi giorni fa.
Stesso fatto, lettura diversa
Il fatto è lo stesso, eppure le sfumature nella narrazione lasciano intravvedere una lettura diversa e suggeriscono atteggiamenti differenti.
In questo si coglie la bellezza e la ricchezza del canone biblico: avere diversi testi che riportano in modo differente gli stessi fatti (come nel caso dei quattro vangeli) non è un argomento a favore della non affidabilità di uno o più autori sacri, ma la dimostrazione del fatto che ognuno di noi vive e racconta in modo del tutto personale la propria esperienza dello stesso fatto, seppur condiviso con altri.
Così è dell’esperienza di Gesù: le differenze nei racconti dei quattro evangelisti (fossero anche solo piccole sfumature) non sono contraddizioni o dimostrazioni dell’artificiosità di quanto narrato, ma una ricchezza per chi legge e medita i testi giunti fino a noi.
Trova le differenze
Tornando al nostro brano, vi aiuto a fare una sinossi, per scoprire le differenze più evidenti nei racconti:
- Nel testo di Marco sono i discepoli a prendere nella barca Gesù, come una sorta di “passeggero”; nel racconto di Matteo, invece, è Gesù a salire sulla barca e i discepoli lo seguono.
- Nella pagina di Marco c’è una chiara accusa a Gesù («Maestro, non t’importa che siamo perduti?»), mentre in Matteo c’è un’invocazione supplichevole: «Salvaci, Signore, siamo perduti!»
- Nel racconto di Marco (e di Luca), una volta svegliato, Gesù compie prima il miracolo e poi interroga i Suoi riguardo non avere fede; in quello di Matteo, invece, prima di calmare i venti e il mare, interroga i Suoi riguardo alla «poca» fede.
- Mentre in Marco la reazione finale dei presenti è il timore grandissimo1 (e, in Luca, di timore misto a meraviglia), in Matteo c’è spazio solo per lo stupore e la meraviglia.
Chi ha ragione?
Davanti a queste differenze, verrebbe da chiedersi come sia andata realmente e chi degli evangelisti sia stato più fedele alla realtà dei fatti, ma è un approccio sbagliato.
Per capire le motivazioni di queste differenze, dobbiamo tenere conto – anche solo – di questi fatti:
- Marco scrive per primo, riportando l’esperienza personale di Pietro; Matteo parte dal racconto di Marco, ma si basa sulla sua esperienza personale, perché su quella barca c’era pure lui.
- Marco scrive a una comunità di cristiani appartenenti all’Impero Romano e provenienti prevalentemente dal paganesimo; Matteo, invece, a una comunità di cristiani di origine ebraica, che probabilmente abitavano nella zona di Antiòchia di Siria.
Cosa fare e cosa non fare
Noi, leggendo in parallelo tutte le testimonianze, non dobbiamo farne un oggetto di studio critico-letterario, ma cercare di viverle in prima persona, tuffandoci nel tempo e nel luogo di cui i fatti ci parlano, immedesimandoci con l’uno e con l’altro atteggiamento.
Leggere i due racconti in parallelo, evidenziandone le differenze, ci aiuta a:
- riconoscere ciò che ci accomuna ai discepoli,
- valutare quale dei comportamenti sia meglio scegliere,
- cercare di convertirci per imitare ciò che è buono e abbandonare ciò che è segno della nostra fragilità.
Indicazioni da raccogliere
Perciò, se con la versione di Marco ascoltata e meditata domenica 23 giugno ci siamo lasciati correggere sulla nostra assenza di fede, oggi, ascoltando Matteo, possiamo cogliere indicazioni preziose per passare dall’assenza totale di fede all’avere (almeno) «poca fede».
In modo molto schematico, credo che possiamo accettare la versione di Matteo come una sorta di “correzione di tiro” su questi tre punti:
- rivediamo il nostro cammino cristiano in genere, per verificare che Gesù non sia solo un “compagno di viaggio”, ma il Maestro, e noi i Suoi discepoli che lo seguono ovunque vada, fosse anche su una barca in mezzo alla tempesta;
- quando ci troviamo nella prova, nelle tempeste della vita, invece di accusare Dio di essere assente, rivolgiamo con fiducia verso di Lui la nostra supplica: «Salvaci, Signore!»;
- a “bocce ferme” (ovvero: scampato il pericolo), cerchiamo di far leva più sullo stupore e la meraviglia per le grandi opere di Dio (e cerchiamo di conservarne perenne memoria nel cuore), invece di accontentarci di rimanere intontiti, confusi, perplessi (e ancora dubbiosi).
- Letteralmente, la traduzione sarebbe «temettero di grande timore». ↩︎