“Distillare” la fede. 20ª Domenica del Tempo Ordinario (A)

distillare la fede

Quando sembra che Dio non ci ascolti o rifiuti le nostre domande, in realtà ci sta invitando a “distillare” la nostra fede e sfrondarla da ciò che non è sincero.

Letture: Is 56,1.6-7; Sal 66 (67); Rm 11,13-15.29-32; Mt 15,21-28

Il brano di vangelo di questa domenica è uno di quelli che – a una prima lettura – lascia interdetti per l’atteggiamento di Gesù, che sembra comportarsi né più né meno che come “uno normale”.

L’indifferenza, e poi l’insulto nei confronti della donna cananea sono inaspettati, e incomprensibili.

Un Gesù sconcertante

Potrebbe suscitare lo stesso sconcerto che sorse spontaneo nell’opinione pubblica al vedere la reazione stizzita di Papa Francesco (il 31/12/2019 in Piazza San Pietro) con quella donna cinese che gli aveva “arpionato” la mano e lo strattonava a sé.

Cioè: che uno possa essere scocciato ci sta (a chi non capita?), ma che a reagire così sia il Papa… o addirittura Cristo stesso, fa un certo effetto, no?

Dallo sconcerto iniziale dobbiamo ricavare l’invito a non fermarci ad una lettura superficiale del testo.

Non tanto per trovare delle scusanti o delle spiegazioni umane (magari “arrampicandoci sui vetri”, in un’esegesi psicologizzante, del tipo: «dopo tutto anche Gesù era un uomo, no?»).

Primo, perché Gesù non ha bisogno di essere giustificato né difeso (tanto meno da noi); secondo, perché saremmo già sulla strada sbagliata.

Gesù agisce così volutamente e scientemente, per provocare chi gli sta attorno. Non solo la donna, ma anche i suoi discepoli, la gente del tempo e… oggi noi!

Azioni dimostrative, profetiche

Diverse volte (commentando le prime letture feriali di questi giorni estivi) ho spiegato che i profeti erano spesso invitati da Dio a compiere “azioni dimostrative”, gesti a volte anche scriteriati, che avevano proprio lo scopo di creare forti interrogativi nella gente, molto più che le parole, per quanto risolute e decise.

Anche il Maestro di Nazareth talvolta utilizzava questo “registro” profetico nella sua comunicazione, nel suo insegnamento.

Tanto quanto alcune risposte lasciavano senza parole i suoi ascoltatori, così alcuni suoi gesti suscitavano sorpresa e domande (dallo scrivere per terra davanti agli anziani impazienti di lapidare l’adultera fino alla cosiddetta “purificazione del tempio”).

Non abbiamo tempo per approfondire questo argomento ora, ma prendiamo per buono (perché è così) che Gesù – conoscendo il cuore di tutti – sapeva benissimo, fin da subito, che avrebbe esaudito la richiesta di quella donna; quindi il suo atteggiamento inizialmente scostante era voluto.

Lo scopo educativo di Gesù

Qual era – allora – lo scopo di Gesù?

Anzitutto far riflettere i suoi discepoli: ancora una volta voleva educarli ad avere il cuore di Dio e non quello degli uomini.

Come nel brano della moltiplicazione dei pani ascoltato qualche domenica fa (in cui volevano togliersi l’impiccio della folla), anche qui i Dodici non agiscono per misericordia verso la donna, ma per togliersela dai piedi perché disturba, per spegnere il senso di disagio e imbarazzo suscitato dalle sue urla verso Gesù.

Addirittura Gesù li provoca e li sfida, prendendo in prestito il pensiero comune dell’ebraismo aristocratico del tempo: molti ebrei avevano cominciato a sentirsi dei “prescelti” e a guardare i pagani (i “non ebrei”), come gente che non meritava l’attenzione di Dio, chiamandoli con l’appellativo sprezzante di “cani”.

Era ovviamente una pretesa e una convinzione senza alcun fondamento, perché Dio aveva – sì – prescelto il popolo di Israele, ma come tramite e intermediario per partecipare la Sua gloria a tutti i popoli (basta leggere la prima lettura e il Salmo di oggi).

Nessuno possiede Dio in esclusiva

Quante volte anche i cristiani “praticanti” si considerano superiori a tutti, meritevoli destinatari di un trattamento di favore da parte di Dio…

Fu uno schiaffo solenne per i discepoli – alla fine – non tanto vedere la donna straniera esaudita, ma sentire Gesù lodarla per la sua grande fede (indicandola come esempio).

È una provocazione forte anche per noi, che non riusciamo ad accettare il fatto che qualcuno che “non appartiene alla nostra cerchia” possa essere oggetto di ammirazione in senso religioso, o di veder “miracolate” persone che riteniamo del tutto “lontane da Dio”, e ci arrabbiamo – stizziti e gelosi – perché a noi Dio certe cose non le concede.

La pedagogia di Gesù

Oltre ai discepoli, Gesù vuole educare anche la cananea. Anche lei deve fare un cammino interiore per trovare e riconoscere il vero volto di Dio.

La donna è sincera: è mossa dal dolore e dalla disperazione e chiede pietà, ma ha bisogno di “purificare” la sua richiesta, di imparare a pregare.

La preghiera va purificata

La cananea va da Gesù «gridando»: fa parte della mentalità e delle usanze mediorientali esprimere i propri sentimenti in modo teatrale e strepitoso, un po’ come nelle nostre regioni del Sud (ai funerali – ad esempio – si piange “su commissione” per esprimere la propria partecipazione al dolore e al lutto altrui).

A quanta altra gente si sarà rivolta quella donna prima di andare a chiedere aiuto a Gesù? Guaritori, stregoni, veri o sedicenti medici, luminari e imbroglioni, strozzini… con ciascuno di questi avrà cercato il modo più convincente per ottenere quanto le serviva.

Gesù le fa capire che Lui non è uno dei tanti, e che non c’è bisogno di “fare scenate”: con Lui non servono, perché «l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore» (cfr 1Sam 16,7).

Gesù conosce già il suo cuore, la sua sofferenza, prima ancora che ella gliela racconti, ma vuole aiutarla, insegnandole a rivolgersi a Dio nel modo giusto, perché Dio è Padre, non un essere spregevole e approfittatore che pretende qualcosa in cambio.

Apparentemente Gesù umilia la cananea… in realtà la sta aiutando a farsi umile, che è diverso.

Riconoscere la propria piccolezza

Facendo leva sulla convinzione becera degli ebrei («i pagani non meritano l’attenzione di Dio»), la aiuta a capire che tutti (non solo lei) di fronte a Dio siamo un nulla.

Nessuno può arrogarsi da sé il titolo di “figlio di Dio”, nemmeno gli ebrei ferventi, nemmeno noi cristiani praticanti!

Per natura siamo tutti solamente dei… «cagnolini»!

Se possiamo chiamarci “figli di Dio” è solo perché Egli ha deciso di essere nostro Padre, adottandoci.

Gesù aiuta la donna a lasciar da parte qualsiasi altra cosa che non sia una fede profonda, sincera e totale in Dio.

Per amore di sua figlia e per fede in Gesù, la donna rinuncia a tutto: alla propria dignità, al proprio orgoglio (avrebbe avuto tutte le ragioni per “fare l’offesa” con Gesù!), e trasforma le sue grida iniziali in una supplica accorata: «Signore, aiutami!»

Si fa piccola piccola: riconosce di non aver nessun diritto nei confronti di Dio (perché è pagana, superstiziosa, e perché – forse – l’ha cercato quasi come “ultima soluzione”: «o la va o la spacca»).

E alla fine ottiene non solo la guarigione della figlia, ma – cosa ancora più grande – una fede più profonda e una preghiera davvero sincera e irresistibile, come quella che insegna Gesù (cfr Lc 11,5-13 e Lc 18,1-8).

Quante volte invece noi ci presentiamo al cospetto di Dio con l’intima convinzione che a noi Lui debba qualcosa, che debba ascoltarci ed esaudirci per forza, perché noi siamo quelli che vanno a Messa tutte le domeniche e feste comandate, che fanno i fioretti in Quaresima, che fanno l’elemosina…

E se non ci esaudisce arriviamo subito alla conclusione che «Dio è ingiusto, è cattivo!» e diciamo «Basta! Non prego più!»

Ancora una volta torna alla mente il confronto tra la “preghiera”-monologo del fariseo davanti all’altare e la vera preghiera, sincera e umile del pubblicano in fondo al Tempio (cfr Lc 18,9-14).

Imparare la vera preghiera

I grandi Santi ritenuti “maestri di preghiera” non lo sono perché ci hanno lasciato grandi formule solenni o poetiche, ma perché ci hanno mostrato la chiave che apre la porta del cuore di Dio: l’umiltà!

San Giovanni Maria Vianney (meglio conosciuto come il Santo Curato d’Ars), scrisse:

L’homme est un pauvre qui a besoin de tout demander à Dieu.
(L’uomo è un povero che ha bisogno di chiedere tutto a Dio)

Talvolta ci lamentiamo che Dio non ci ascolta, a fronte di richieste accorate e sincere, che manifestano bisogni reali e tutta la nostra sofferenza davanti a dolori e tragedie più grandi di noi…

Cos’è – allora – che non funziona? Non abbiamo abbastanza fede?

Magari la fede c’è anche, ma va “distillata”, come quella della donna del vangelo di oggi: occorre “sfrondare” il nostro atteggiamento da tutto ciò che ci impedisce di renderci conto che siamo al cospetto del Padre Buono e non di un “imprenditore”.

Sfrondare i pregiudizi su Dio

La prima cosa che pensiamo quando Dio non ci esaudisce immediatamente ed esattamente come volgiamo noi è che «qualcosa sia andato storto», che «Dio ce l’abbia con noi» e quindi abbia deciso di non ascoltarci, che «Lui pretenda di più, un prezzo così alto che noi non potremo mai pagare»…

Ecco: tutti questi dubbi e pregiudizi svelano che i veri cananei, i veri “pagani”, i veri “cani”… siamo noi, prigionieri di immagini di Dio del tutto distorte, più vicine alle divinità dell’Olimpo greco (gelose, invidiose, dispettose) che non al Padre Celeste che ci ha fatto conoscere Gesù.

Dobbiamo imparare a lasciare che Dio sia Dio, che possa – come un buon genitore – avere la libertà di dirci anche di «no» qualche volta, o di non dirci subito di «sì», per il nostro bene.

Chi è genitore sa bene quanta sofferenza generi nel cuore il non poter sempre esaudire i desideri dei propri figli e vederli piangere (a volte perché chiedono qualcosa che non gli fa bene, altre perché non si ha la possibilità materiale di accontentarli)… ma è senz’altro diseducativo (e spesso oggi – purtroppo – accade) dare ai figli tutto e subito, pur di farli stare zitti e buoni.

Dio non è una “macchinetta distributrice” di grazie (materiali o spirituali), in cui basta inserire la quantità esatta di monete per far scendere il “prodotto” che desideriamo!

La confidenza dell’umiltà

La preghiera non è “mercanteggiare” col Signore, ma entrare in una confidenza tale con Dio, da arrivare a capire cosa possiamo chiedergli (e cosa no), come, quando, e in che misura.

Per arrivare a tale confidenza nella preghiera c’è una sola via: quella percorsa dalla donna del vangelo di oggi.

Dobbiamo farci piccoli, riconoscerci poveri “cagnolini” di fronte ad un Padre immensamente buono. Allora Lui ci solleverà a sé come una mamma «solleva il bimbo alla sua guancia» (cfr Os 11,4).