Diventare adulti. 4ª Domenica di Quaresima (A)

Diventare adulti

Viviamo in un mondo di adulti solo anagrafici, con la “sindrome di Peter Pan”. La conversione che ci aspetta è imparare ad assumerci le nostre responsabilità.

Omelia per domenica 19 marzo 2023

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Letture: 1Sam 16,1.4.6-7.10-13; Sal 22 (23); Ef 5,8-14; Gv 9,1-41

Dopo la stupenda pagina della Samaritana, il percorso di Iniziazione Cristiana degli adulti nelle prime comunità cristiane proseguiva proponendo la vicenda del cieco nato.

Anche noi – nella quarta domenica di Quaresima del ciclo liturgico “A” – ci troviamo di fronte a questa pagina superba, densa di simbologie e significati.

Unzione e immersione

I richiami al Rito del Battesimo sono evidenti.

Anzitutto la traduzione italiana non rende ragione al testo greco, perché letteralmente c’è scritto che Gesù «unge» gli occhi del cieco col fango, non che li «spalma».

Perciò – oltre a richiamare il gesto di creazione di Dio quando plasmò Adamo con la polvere del suolo (cfr Gen 2,7) – c’è una chiara allusione all’unzione battesimale; così come il comando di andare a lavarsi nella piscina di Siloe è il corrispettivo dell’immersione nel Fonte Battesimale.

I Sacramenti dell’Iniziazione

Le altre pagine bibliche di questa domenica sottolineano molti altri aspetti.

Anzitutto, il racconto dell’unzione del re Davide nella prima lettura richiama le tre funzioni dei battezzati nella Chiesa: regale, profetica e sacerdotale (i cosiddetti tria munera).

E poi sono davvero belle e poetiche le allusioni ai tre Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana che troviamo nel Salmo 23:

il Battesimo

ad acque tranquille mi conduce.

l’Eucaristia

Davanti a me tu prepari una mensa

la Confermazione

Ungi di olio il mio capo

Per una catechesi…

Sarebbero tantissimi gli spunti su cui fermarci a riflettere, ma non ce n’è assolutamente il tempo nello spazio di un’omelia, perciò, anche questa volta, rimando alla riflessione di tre anni fa per un approfondimento più catechistico-teologico.

Stavolta, invece, voglio partire da un passaggio che in passato ho solo accennato: quello dei genitori del cieco che si “chiamano fuori” dalle loro responsabilità per paura di andarci di mezzo.

Una fede “sacrificabile”

È un episodio che mi lascia sempre l’amaro in bocca.

Pur capendo la tragicità della situazione (i Giudei delle comunità giovannee avevano cominciato a scomunicare e bandire i primi cristiani dalle sinagoghe), fa pensare a come la fede – soprattutto oggi – sia la prima cosa che si può sacrificare, se serve.

Nei primi secoli del cristianesimo il problema dei “lapsi” (ovvero: quei cristiani che – sotto minaccia di tortura e persecuzione – fingevano di non esserlo) suscitava grande sdegno… oggi, invece, pare che la fede sia qualcosa da tenere il più possibile per sé, da non esibire.

In ogni caso, è qualcosa di marginale, di “accessorio”; di sicuro non un fattore di maturità o un aspetto che contraddistingue l’essere adulti.

Solo un fatto esteriore

Quante volte sento genitori discutere con le catechiste e lamentarsi, protestando che i loro figli hanno già tanto da fare, e che bisogna lasciare tempo alle famiglie per stare assieme almeno il sabato e la domenica…

Cose importantissime, per carità, ma è chiaro che tra tutte le cose segnate sulla “lista delle priorità” delle nostre famiglie, ormai la fede sta all’ultimo posto, se non fuori classifica.

L’unica cosa importante è che non si neghino loro i Sacramenti, che ormai sono diventati solo un “fatto sociale”, un necessario “segno di riconoscimento” e appartenenza esteriore (per evitare discriminazioni), ma hanno perso ogni riferimento spirituale.

Viviamo ormai in un contesto totalmente scristianizzato, e sempre più sociologi sono dell’idea che questa situazione non sia solo il frutto di influenze esterne come la secolarizzazione.

Un mondo senza adulti

Il nostro è un mondo dove gli adulti sono assenti, non perché latitano, ma perché vogliono rimanere bambini per sempre. È quanto sostiene acutamente don Armando Matteo, teologo della diocesi di Catanzaro-Squillace, nel libro Convertire Peter Pan. Il destino della fede nella società dell’eterna giovinezza.

La “sindrome di Peter Pan” è l’atteggiamento di chi vive un’eterna fanciullezza, rifiutandosi di crescere, di assumersi responsabilità, di fare delle scelte: una malattia che colpisce uomini e donne della post-modernità che vivono e respirano a pieni polmoni «l’inedita ed eccitante libertà» di essere liberi e unici.

L’autore li definisce «adulti senza trascendenze, senza verità, senza limiti, senza morale e senza politica», adulti che, non sapendo più educare e trasmettere valori (p. 72), vengono meno al loro compito generativo e generazionale. «Peter Pan non solo non vuole crescere. Peter Pan non fa più crescere nessuno» (p. 65).

Non sto qui a riportare le tante e originali idee descritte nel libro, ma se vi interessa potete trovarne un bel riassunto su SettimanaNews, sito di informazione religiosa gestito dai Dehoniani.

Diventare adulti, cioè responsabili

Per diventare adulti occorre diventare responsabili, ovvero: capaci di rispondere, di assumersi le conseguenze delle proprie idee e soprattutto delle proprie azioni.

Questo è ciò di cui difetta sempre più la nostra società, e anche quando qualcuno dice «me ne assumo ogni responsabilità», lo fa solo a parole, pensando di poter risolvere tutto con un proclama solenne (sono soprattutto i politici a farlo, ma ormai è diventata un’abitudine anche dei “semplici mortali”).

Non basta dire «l’ho deciso io» per essere responsabili: poi bisogna essere disposti a pagare sulla propria pelle le conseguenze delle proprie decisioni.

In questo lungo vangelo i genitori del cieco non sono gli unici irresponsabili (ovvero: incapaci di rispondere di sé e degli altri): ci sono anche i Giudei, che non fanno altro che andare in cerca di un capro espiatorio, senza domandarsi se nella faccenda loro abbiano qualche responsabilità.

Sono irresponsabili pure i discepoli, che non fanno un passo in più rispetto al pensare comune, e quindi si accontentano di addossare la colpa della cecità al cieco stesso o ai suoi genitori.

Pronti a rendere ragione della speranza

L’unico adulto responsabile in questa vicenda (eccettuato Gesù, ovviamente) è proprio il cieco nato, che sottoposto a continui interrogatori, sa rendere ragione di sé, della sua condizione e di quello che succede attorno a lui, fino a proclamare apertamente la propria fede, a costo di essere cacciato e additato come peccatore.

Quest’uomo è la realizzazione dell’esortazione dell’apostolo Pietro che cito spesso:

Se poi doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non sgomentatevi per paura di loro e non turbatevi… pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi (cfr 1Pt 3,14-15).

Ci aiuti il Signore a diventare adulti nella fede, a prendere sul serio la nostra appartenenza a Cristo, e a non aver paura di mostrare la speranza che anima il nostro cuore, a costo di giocarci la vita.