Dormire o vegliare? 11ª Domenica del Tempo Ordinario (B)

Dormire o vegliare?

Il frutto è maturo! Non è più tempo di dormire ora, ma «di svegliarsi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti»

Letture: Ez 17,22-24; Sal 92;  2Cor 5,6-10; Mc 4,26-34

Dopo le solennità seguite al tempo pasquale, rientriamo finalmente nel Tempo Ordinario, e ricominciamo a leggere in modo continuativo il vangelo stringato (ma denso) nel nostro compagno di viaggio Marco.

Ed eccoci di fronte ad una parabola stupenda, che solo lui riporta:

«Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

Dormire sonni tranquilli

Ad una prima lettura, questa similitudine sembrerebbe indurci al disimpegno, al «Relax! Take it easy»[1]… tanto fa tutto il Signore, no? Il Regno cresce e si sviluppa da sé, qualsiasi cosa uno faccia… Si possono dormire sonni tranquilli, è inutile preoccuparsi e affannarsi!

È vero: il primo messaggio che Gesù ci vuole mandare con questa piccola immagine del seme che germoglia è la forza intrinseca e misteriosa del Regno (che cresce e si sviluppa anche senza il nostro intervento, anzi, a volte nonostante noi)… ma ciò non significa che possiamo dormirci su e starcene con le mani in mano.

Infatti, la prima azione descritta è l’atto fondamentale del contadino:

«Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno…»

C’è un’azione da cui parte tutto: il seme che viene seminato. Senza questo non avrebbe inizio la crescita misteriosa.

Contadini a nostra insaputa

In realtà – se leggiamo con attenzione – non si tratta nemmeno di un contadino che sta seminando, ma di «un uomo» (qualunque) che «getta» il seme in terra… La differenza di linguaggio rispetto a un’altra parabola che parla di semina è ben marcata:

«Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada…» (Mc 4,3-4).

Non so se il raffronto sia una provocazione, ma nella pagina di oggi sembra di trovarsi di fronte ad uno «non del mestiere», che fa le cose da svogliato (come il primo figlio della parabola di Mt 21,28-32) o da bracciante mal pagato (come il mercenario di Gv 10,11-13).

È come se la semina avvenisse in modo involontario (se non – addirittura – “non voluto”): l’uomo in questione diventa contadino «a sua insaputa» (per usare una locuzione piuttosto inflazionata ai nostri giorni).

Cosa voglia suggerirci l’evangelista con queste sfumature non ci è dato sapere: forse un’ulteriore sottolineatura della forza del seme (ribadita anche dalla parabola seguente del granello di senape)? O forse un rimbrotto verso il nostro modo di sentirci poco coinvolti nell’opera di evangelizzazione e “semina” della Parola di Dio?

Dio ha più fantasia di noi

Sia quel che sia, il seme ormai è in terra, e inizia la sua opera prodigiosa di crescita.

Dobbiamo riconoscerlo: talvolta diffondiamo il Vangelo inconsapevolmente e senza volerlo, ma Dio riesce comunque a servirsi dei nostri tentativi maldestri di “chiamarci fuori”. Il Signore ha più fantasia di noi.

Quante volte anche a me è capitato (arrivato alla 3ª o 4ª Messa festiva) di fare l’omelia in modo stanco o quasi “a macchinetta”, e – dopo la celebrazione – di essere fermato in sacrestia da una persona che voleva ringraziarmi perché le avevo toccato il cuore con le mie parole?

È la dimostrazione di come si possa «gettare il seme» della Parola anche in modo distratto e/o svogliato (il Signore mi perdoni!) ma ciò non toglie la forza intrinseca della Parola stessa e la possibilità per lo Spirito Santo di toccare i cuori.

Il Signore non si addormenta

È così perché – anche se noi non riusciamo a stare svegli – Lui non dorme affatto. A tal riguardo mi viene sempre in mente la scena del Getsèmani:

«Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni …disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate”… Poi venne, li trovò addormentati e disse a Pietro: “Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora?”» (cfr Mc 14,32-42).

Noi possiamo anche assopirci, lasciarci schiacciare il cuore dall’angoscia, dalle preoccupazioni, rifugiarci nel sonno e dormire, ma Lui non smette di vegliare e pregare, anche per noi (cfr Lc 22,32), come diceva già il Salmista:

«Non si addormenterà, non prenderà sonno
il custode d’Israele.
Il Signore è il tuo custode»
(cfr Sal 121).

Il raffronto tra il vegliare di Gesù e il dormire dei discepoli al Getsèmani mi è venuto in mente anche perché Lui stesso – parlando della sua morte imminente – usa ancora una volta il paragone del seme:

«se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24).

Che noi dormiamo o vegliamo «il seme germoglia e cresce», ma questo è possibile perché quel seme è Cristo stesso, e il sonno – per Lui – non sarà quello della disperazione, ma del dono totale di sé nella Sua morte.

Imparare l’arte del contadino

Dicevo che l’azione iniziale (il gettare il seme) è fondamentale per dare il “via” al processo di crescita… Ma sono fondamentali anche le azioni che seguono: non solo la mietitura finale (che è chiaramente un atteggiamento attivo), ma anche il tempo “passivo”, segnato dall’alternarsi di notte e di giorno, di sonno e di veglia.

È l’atteggiamento del contadino, fatto di speranza e pazienza, fatica e riposo. Chi coltiva la terra sa che i frutti non spuntano in cinque minuti, che non si può avere tutto e subito, ma occorre attendere:

«Guardate l’agricoltore: egli aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le piogge d’autunno e le piogge di primavera. Siate pazienti anche voi» (Gc 5,7b-8a – versione CEI 1974).

La pazienza dell’agricoltore è carica di fede, perché egli sa che la buona riuscita del raccolto non dipende più da lui, ma è dono della Provvidenza:

«Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere» (1Cor 3,6-7).

Le stagioni della vita

Dormire e vegliare – allora – non sono solo “modi per far passare il tempo”, ma rappresentano le stagioni della nostra vita di fede, fatta di attese, speranze, gioie, fatiche, delusioni, disillusioni… ma senza mai andare via da quel campo: è lì che dorme e veglia il contadino.

Il dramma sarebbe proprio se – stanchi di aspettare un frutto che sembra non arrivare mai – ce ne andassimo via!

Siamo invitati a non perdere la speranza, perché nemmeno Dio la perde con noi, anche quando sembra del tutto inutile sperare (cfr la parabola del fico sterile: Lc 13,6-9).

Sono tante le difficoltà che possiamo incontrare sul nostro cammino, ma poi arriva sempre il momento della mietitura, e spesso (quasi sempre) abbiamo la grazia di raccogliere frutti di semi che non abbiamo seminato noi.

L’ora del raccolto

Si tratta di rendersene conto per tempo, di saper riconoscere quando è il momento dei frutti:

«quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce».

Abbiamo già trovato quel «subito» nel vangelo di Marco (cfr la 1ª Domenica di Quaresima)… è lo stile di Dio: denota la Sua “impazienza”, che deve diventare anche la nostra.

Sì, perché – purtroppo – noi, invece, siamo maestri nell’essere “sfasati”, sempre fuori sincronia: tristi quando c’è da gioire, impazienti quando è necessario attendere, e pigri quando bisogna far presto. Invece la Sapienza di Dio ci insegna che:

«Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare quel che si è piantato…» (Qo 3,1-2).

Si può anche dormire durante l’attesa (anche se sarebbe meglio di no), ma adesso occorre saltare in piedi, perché i frutti sono pronti, e non bisogna tardare a raccoglierli!

Anche chi non si intende di agricoltura, sa bene che qualsiasi frutto che abbia raggiunto la maturazione, se non viene raccolto per tempo, non avrà altra sorte che cadere dalla pianta, marcio, e andare perduto irrimediabilmente.

Il momento è adesso

Ma – visto che anche questa parabola (come tantissime altre) intende parlarci del Regno di Dio – non possiamo dimenticare i versetti di Marco che abbiamo ascoltato a gennaio, nella 3ª Domenica del Tempo Ordinario:

«Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”» (Mc 1,14-15).

In greco quell’«è vicino» è un verbo al perfetto, e – traducendolo letteralmente – dovremmo scrivere: «il regno di Dio è giunto, è qui!». Ovvero: è adesso il momento di mettere la mano alla falce e raccogliere i frutti!

Non possiamo continuare a vivere come se fosse ancora il tempo dell’attesa, del «chissà quando verrà il Signore?»

Ho l’impressione che ci siamo davvero addormentati in un lungo letargo, che a forza di dormire «in attesa di tempi migliori» ci abbiamo preso gusto!

È un po’ quello che si vede in questa fase di uscita (speriamo) dalla pandemia: ci sono persone che si sono così abituate all’isolamento, che – se fosse per loro – continuerebbero a vivere in un perenne lockdown, senza riprendere alcuna attività sociale!

È un atteggiamento che mi sembra di ravvisare anche nelle nostre Comunità cristiane. Dobbiamo reagire a questo torpore!

Non è più il tempo di dormire

Se non si è svegli e scattanti, il “treno” del Regno passa inesorabilmente senza che noi possiamo salirvi; e non c’è bisogno di andare a scomodare Matteo, “rubandogli” la parabola delle dieci vergini (Mt 25,1-13), perché anche il nostro Marco ha un intero capitolo in cui Gesù insiste sulla necessità di vegliare:

«Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate (Mc 13,37: è la finale del brano che abbiamo ascoltato all’inizio dell’Avvento).

Torna ancora alla mente – e ci fa bene ripeterla – la frase attribuita ad Agostino di Ippona, in cui il santo esprimeva tutto il suo timore di non essere pronto e scattante alla chiamata del Signore che passa:

«Timeo Dominum transeuntem et non revertentem»[2].

Il Regno di Dio ormai è cresciuto e i suoi frutti sono a nostra disposizione; sta a noi accogliere (e raccogliere) a piene mani questo frutto maturo che Dio stesso ha fatto crescere, senza alcun nostro merito.

Non è certo il tempo di dormire, come ci ricorda san Paolo:

«è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti» (Rm 13,11).


Note

[1] «Rilassati! Stai tranquillo! E prendila con filosofia». L’espressione è anche il titolo di una canzone famosa.

[2] «Temo che il Signore passi oltre e non ritorni più».