Dov’è finito il senso del peccato?

«Io non ho fatto niente». Dov'è finito il senso del peccato?

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Mi ci è voluto un po’ prima di trattare questo tema nella mia “rubrica”, per il timore di ferire qualcuno, ma credo sia ormai giunto il momento.

L’incipit che non vorrei mai più sentire

A noi sacerdoti capita spesso (soprattutto in occasione delle feste di Natale e Pasqua) di sentire i “penitenti” che iniziano la Confessione così:

«Io non ho peccati da confessare».

Oltre all’affermazione in sé, lascia basiti la nonchalance con cui lo dicono: la stessa del bambino che – tutto sporco di cioccolata – dice alla mamma: «io non ho fatto niente!»

Perciò, capite bene perché sopra ho scritto la parola “penitenti” tra virgolette: come ci si può dire “pentiti” se si è convinti di non aver alcun peccato di cui chiedere perdono?!

La reazione da uomo

E così, ora sono io a dovervi confessare con sincerità le mie reazioni da povero peccatore di fronte a tanto pressapochismo e presunzione.

La prima reazione è la stizza, che mi fa borbottare tra me e me: «allora che ci sei venuto a fare qui?»

La seconda è il sarcasmo, che – ahimè – ogni tanto mi fa ribattere: «allora scambiamoci di posto… io faccio il penitente e lei mi assolve!»

La terza reazione è quella da “dottore della Legge”, che utilizza la Sacra Scrittura non per istruire ma per ferire:

Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi… Se diciamo di non avere peccato, facciamo di lui [Cristo] un bugiardo e la sua parola non è in noi (cfr 1Gv 1,8-10).

Una bella “staffilata” sulle labbra e sul cuore, no?

Chiedo perdono al Signore per queste mie reazioni molto “umane”, e soprattutto per quando sono tentato di “sfoderare” la Sacra Scrittura come una spada.

Credo – però – che il testo che ho citato sia la base per un esame di coscienza che dobbiamo fare tutti (io per primo): non solo chi si fosse presentato in Confessionale con la famosa e triste affermazione di essere senza peccato.

Cristo è morto per i nostri peccati

Che Dio abbia mandato nel mondo Suo Figlio per salvarci dai peccati lo afferma più volte il Nuovo Testamento (cfr Gv 3,16-17 e Rm 5,8), e lo ripetiamo ogni domenica nel Credo:

Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo… Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato…

Perciò – come ammonisce san Giovanni – affermare di essere senza peccato sarebbe come dire a Nostro Signore: «per me potevi anche risparmiarti di morire, che tanto ero già salvo per conto mio».

Chi può essere così presuntuoso? Per fare una simile affermazione bisogna aver offuscato del tutto la coscienza e – di conseguenza – non rendersi nemmeno più conto di cosa siano il bene e il male!

Abbiamo smarrito il senso del peccato

È il chiaro segnale che il nostro mondo ha smarrito del tutto il senso del peccato.

Questo è accaduto perché abbiamo cacciato Dio fuori dalla nostra vita, come affermava Benedetto XVI durante l’Angelus del 13 marzo 2011:

perché la Croce? …perché esiste il male, anzi, il peccato, che secondo le Scritture è la causa profonda di ogni male. Ma questa affermazione non è affatto scontata, e la stessa parola “peccato” da molti non è accettata, perché presuppone una visione religiosa del mondo e dell’uomo. In effetti è vero: se si elimina Dio dall’orizzonte del mondo, non si può parlare di peccato. Come quando si nasconde il sole, spariscono le ombre (l’ombra appare solo se c’è il sole), così l’eclissi di Dio comporta necessariamente l’eclissi del peccato.

Perché viene meno il Regno di Dio

Lo ribadiva Papa Francesco in una delle sue omelie mattutine nella cappella di Casa Santa Marta (era il 31 gennaio 2014):

Quando viene meno la presenza di Dio tra gli uomini, si perde il senso del peccato e così può accadere di far pagare ad altri il prezzo della nostra mediocrità cristiana…

Davide si invaghisce di Betsabea, moglie di Uria, un suo generale, gliela prende e spedisce il marito in prima linea in battaglia, causandone la morte e di fatto perpetrando un assassinio.

Eppure, adulterio e omicidio non lo scuotono più di tanto. Davide si trova davanti a un grosso peccato, ma lui non lo sente peccato… Non gli viene in mente di chiedere perdono. Quello che gli viene in mente è: «Come risolvo questo?»…

Quando il Regno di Dio viene meno, quando il Regno di Dio diminuisce, uno dei segni è che si perde il senso del peccato…

Già Pio XII affermava che «il più grande peccato di oggi è che gli uomini hanno perduto il senso del peccato».

L’uomo idolo e legge di se stesso

L’uomo contemporaneo si sente infallibile e impeccabile perché è fondamentalmente ateo: un senza-Dio.

È autoreferenziale: è legge e norma a se stesso e non accetta che qualcun altro possa guidarlo nelle scelte morali, né i suoi simili né Dio.

Praticamente ha sostituito Dio con il proprio “io”. Essere come Dio, anzi, mettersi al posto di Dio, non è altro che l’eterno riproporsi della tentazione che portò i nostri progenitori al peccato originale:

il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male» (Gen 3,4-5).

Tutti contro tutti

L’unico esito possibile di questo relativismo etico (dove ognuno decide cosa è bene o male) è un’anarchia sociale e morale, dove a pagare è sempre e solo il più debole.

Senza qualcuno che garantisca una giustizia uguale per tutti (e – soprattutto – che fissi delle leggi che permettano di raggiungere il bene di ciascuno) si soccombe nell’autodistruzione del tutti contro tutti, e si arriva a fare esperienza della propria nudità e fragilità, come fu per Adamo ed Eva.

Riscoprire il senso di Dio

Come uscire da questo baratro? Come riacquistare il senso del peccato?

L’unico modo per guarire da questa “malattia” è scendere umilmente dal piedistallo sul quale ci siamo innalzati e riconoscere che non siamo altro che polvere e cenere, e che – da soli – non siamo capaci di scegliere il bene (cfr Rm 7,14-25).

Continuava – infatti – Benedetto XVI nella riflessione che ho citato sopra:

il senso del peccato – che è cosa diversa dal “senso di colpa” come lo intende la psicologia – si acquista riscoprendo il senso di Dio. Lo esprime il Salmo Miserere, attribuito al re Davide in occasione del suo duplice peccato di adulterio e di omicidio: «Contro di te – dice Davide rivolgendosi a Dio – contro te solo ho peccato» (Sal 51,6).

Dobbiamo rimettere Dio al Suo posto, perché Lui è l’Unico che ci vuole veramente bene e sa cosa sia meglio per noi.

Dobbiamo riconoscere che Dio è l’origine del Bene, e la Sua estromissione – al contrario – la causa di ogni male.

La prima conversione è lasciarsi perdonare

Rimettere Dio al Suo posto consiste nel lasciarsi amare da Lui, riconoscendo che il Suo Amore ci precede sempre.

Di più: è lasciarsi perdonare, anzitutto dal peccato di ingratitudine: se solo sapessimo quanto Dio ci ama non potremmo mai dire (e nemmeno pensare) di non aver peccato!

Lui ci Ama da sempre, da prima ancora che noi nascessimo, ma noi non ce ne rendiamo conto: perciò siamo degli ingrati.

Per guarire da questa ingratitudine, dobbiamo fare come san Francesco d’Assisi, che si metteva spesso davanti al Crocifisso e piangeva «perché l’Amore non è amato».

Tutti dobbiamo arrivare a dire con sincerità quello che scriveva l’apostolo Paolo a Timoteo:

«Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna» (1Tim 1,15-16).

Cos’è il peccato?

Solo entrando in quest’ottica capiremo che il peccato non è tanto la trasgressione di una legge o di un comandamento, ma un atto di indifferenza, di ingratitudine ed egoismo, che dirige tutto l’amore di cui siamo capaci solo su noi stessi, anziché su Dio e sui nostri fratelli.

Peccare è mancare d’Amore, e – se siamo sinceri – non possiamo che riconoscere di essere stati spesso e volentieri egoisti e ingrati, considerando tutto quello che abbiamo come qualcosa di dovuto, e non come un dono per cui ringraziare.

Solo quando riconosceremo la nostra ingratitudine potremo dire con sincerità – appena entrati in confessionale – la frase che ci hanno insegnato da piccoli per iniziare una buona confessione:

«beneditemi, padre, perché ho peccato».