Ecco l’agnello di Dio! 2ª Domenica del Tempo Ordinario (A)

Ecco l'agnello di Dio
Omelia per domenica 15 gennaio 2023

Letture: Is 49,3.5-6; Sal 39 (40); 1Cor 1,1-3; Gv 1,29-34

Come ho già spiegato altre volte, la seconda domenica del Tempo Ordinario (assieme alla Festa del Battesimo di Gesù) ha il compito di “espandere” ulteriormente l’Epifania, la manifestazione di Gesù come Messia e Figlio di Dio.

Questo è il motivo della scelta di un brano del quarto evangelo (anziché del nostro Matteo), e di questa pagina in particolare, in cui il Battista punta il dito verso Gesù e ce lo indica come «l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo».

L’agnello di Dio

In questo appellativo si sovrappongono diversi riferimenti all’Antico Testamento.

Anzitutto il ricordo dell’Esodo, della prima Pasqua, quando il sangue degli agnelli sacrificati sparso sull’architrave e gli stipiti delle porte degli Israeliti tenne lontano lo sterminio, che invece si abbatté sui primogeniti degli Egiziani (cfr Es 12).

Ma tutta la religiosità ebraica ruota attorno ai sacrifici animali: sia per dire la comunione con Dio (cfr Lv 3), sia – soprattutto – per implorare il perdono dei peccati, attraverso sacrifici espiatori (cfr Lv 4).

Perciò, nel vangelo di Giovanni, Gesù viene indicato fin dall’inizio come l’agnello, Colui che verserà il Suo sangue in espiazione per tutti, proprio nel giorno della Parasceve, e nell’ora in cui nel Tempio di Gerusalemme si immolavano gli agnelli per il sacrificio pasquale (cfr Gv 19,31).

Il servo di Jawhé

Giovanni Battista parlava in lingua aramaica (il dialetto dell’ebraico), e – per indicare Gesù che veniva verso di lui – ha certamente usato il termine taljah, che significa al tempo stesso “agnello” e “servo”.

Anche nel profeta Isaia le due figure si sovrappongono:

Ecco, il mio servo...
Come molti si stupirono di lui
– tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto
e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo ,
così si meraviglieranno di lui molte nazioni

Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca
(cfr Is 52,13-15;53).

La conversione del Battista

Questo modo di descrivere Gesù è una chiara conversione per il Battista, una sorta di “inversione a U”, rispetto al Messia che aveva annunciato prima di incontrarlo e conoscerlo per rivelazione di «colui che l’aveva inviato a battezzare nell’acqua».

Non è più l’inviato per manifestare l’ira imminente di Dio, che doveva porre la scure alla radice degli alberi e agitare la pala per disperdere la paglia e bruciarla nel fuoco (cfr il vangelo della 2ª domenica di Avvento).

Non è «il leone di Giuda» (altra immagine gloriosa del Messia: cfr Gen 49,9 e Ap 5,5), ma un animale piccolo, fragile e mansueto.

La nostra conversione

Anche noi siamo invitati a operare questa conversione interiore, per toglierci dalla testa e dal cuore l’idea terribile e sbagliata di un Dio forte, potente e cinico, che scende sulla terra per sistemare alla svelta e definitivamente i nostri pasticci.

Ma questa conversione dell’immagine di Dio è necessaria per convertire anche l’immagine che abbiamo di noi stessi, il nostro modo di essere discepoli del Messia, perché spesso siamo tentati di essere lupi anziché agnelli, come ricordavo l’estate scorsa, nell’omelia per la 14ª Domenica del Tempo Ordinario (C).

Se vogliamo essere cristiani…

Bene: adesso che abbiamo “amplificato” l’epifania (la manifestazione di chi è veramente Gesù), cosa dobbiamo fare?

Sicuramente questa pagina non ci è donata per un semplice approfondimento teologico, biblico o catechistico.

L’intento è chiamare anche noi – come i discepoli del Battista – a prendere sul serio questo annuncio:

Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù (cfr Gv 1,35-37).

Agnelli che seguono l’agnello

È un annuncio che chiama alla sequela… ma se ascoltiamo il vangelo e poi rimaniamo fermi dove siamo, lo rendiamo vano.

Non basta sapere che Gesù è l’agnello di Dio, ma occorre farci “agnelli” a nostra volta, discepoli e seguaci di questo agnello, dicendo anche noi al Signore: «Ecco, io vengo… per fare la tua volontà» (cfr il Salmo Responsoriale di oggi e Eb 10,7).

Dobbiamo dare la nostra carne

Non solo: leggendo il vangelo come se fosse un banale “testo di studio”, rendiamo vana anche l’Incarnazione!

Sì: perché mentre Dio, il Verbo eterno, si è fatto carne, noi – ascoltando passivamente la Sua Parola – “sottraiamo” a Dio la nostra carne e non Gli permettiamo più di prendere corpo in mezzo agli uomini!

Invece siamo chiamati a mettere a disposizione la nostra carne, i nostri corpi, le nostre vite perché rendano presente e viva la Parola di Dio tra gli uomini (cfr Rm 12,1).

Come dicevo in occasione della festa di santo Stefano, ora che Gesù è salito al cielo, siamo chiamati ad essere noi la Sua Incarnazione, il Suo Corpo.

Solo Lui ci libera dal peccato

Ultimo appunto: il Battista ci indica Gesù non solo come l’agnello di Dio, ma anche come «colui che toglie il peccato del mondo».

Anche questo non è solo un “appunto teologico” che segnala la trasformazione dalla religiosità sacrificale ebraica a quella cristiana, fondata sull’unico e definitivo sacrificio di Cristo… L’affermazione è chiara e cristallina, e ci ribadisce due cose:

  1. il mondo è tuttora schiavo del peccato, e noi ne facciamo l’esperienza ogni giorno;
  2. se vogliamo essere liberati dal peccato c’è Uno solo che ci può salvare: Gesù Cristo.

È bene che prendiamo coscienza di queste verità, soprattutto perché rischiamo di assuefarci anche noi credenti a un mondo che tende a cancellare il senso del peccato e – anche quando ve ne fosse rimasta un’esile traccia – ad auto-assolversi.