Figli speciali di una famiglia unica. Santissima Trinità (B)

Figli speciali di una famiglia unica

Letture: Dt 4,32-34.39-40; Sal 33; Rm 8,14-17; Mt 28,16-20

Quando arriva questa solennità mi viene sempre il magone e il mal di testa, perché sento su di me il compito difficile di venirvi a spiegare un grande mistero.

Ma poi mi immergo nella lettura e nella meditazione della Parola di Dio e subito mi ricordo che non siamo a scuola, ma stiamo celebrando l’Eucaristia, e quindi non siamo convocati per una lezione di teologia dogmatica, ma per contemplare e adorare un mistero grandissimo di cui facciamo parte.

Dio è Amore, e l’amore non si può spiegare: si può solo vivere.

Se ne può parlare, cercando di descrivere le emozioni che si provano, ma – sicuramente – non se ne può mai esaurire (e nemmeno abbozzare lontanamente) il significato.

Lasciamoci stupire

Lasciar parlare il cuore che trabocca di meraviglia è proprio quello che ci invita a fare Mosè nella prima lettura:

«Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te: dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra e da un’estremità all’altra dei cieli, vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo?
O ha mai tentato un dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come fece per voi il Signore, vostro Dio, in Egitto, sotto i tuoi occhi?»

La prima cosa che voglio fare per voi e con voi è dire – come Mosè – la mia emozione e commozione nel rendermi conto ancora una volta della grandezza di Dio, e riconoscere che il Suo mistero più grande non sta nel capire come Egli sia fatto, ma quanto Amore abbia per me, un Amore così grande da non aspettare che vada io a cercarlo, ma da venirmi Lui a cercare, a scegliermi.

Così è l’Amore: si ama perché ci si scopre già amati; si sceglie perché ci si accorge di essere già stati scelti.

«Ti presento i miei»

Quando si incontra una persona e ci si innamora, prima o poi nasce il desiderio di farle conoscere la propria famiglia, di mostrarle le proprie radici, la “culla” del proprio essere venuti al mondo.

E il primo incontro è carico di timori, attese, ansie… tutto perché si desidera che la persona amata si trovi a suo agio nella nostra famiglia, si senta “a casa”.

E si fanno tutte le raccomandazioni ai propri famigliari di accogliere l’ospite senza pregiudizi, con buona disposizione d’animo.

Così è anche per il nostro rapporto d’amore con Dio: non solo Dio ci viene incontro e ci mostra il Suo Amore per noi, ma desidera pure farci conoscere la Sua famiglia.

Una famiglia unica

Si è fatto un gran (stra)parlare di famiglia nei giorni scorsi, su chi e/o cosa si possa definire “famiglia”, con le solite scaramucce politiche (tra chi sostiene che la famiglia vera è quella “tradizionale”, costituita da una madre, un padre e almeno un figlio, e chi rivendica che con questo termine si possa indicare qualsiasi comunione di esseri viventi, perfino persone e animali).

Beh, anche quella di Dio (la Trinità) è senz’altro una famiglia non convenzionale secondo il nostro modo di pensare, ma – tant’è – ci sono rapporti di parentela (Padre e Figlio) e c’è Amore (lo Spirito Santo).

Ed senz’altro una famiglia esemplare, dove ciascuno dei componenti parla degli altri solo in positivo.

1. Il Padre si compiace del Figlio e invita tutti ad ascoltarlo:

«Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”» (Mc 9,7).

2. Il Figlio invita a pregare il Padre con atteggiamento filiale:

«il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro…» (Mt 6,8-9)

3. Lo Spirito si limita a ricordarci ciò che Gesù ha detto e fatto per rivelarci il Padre:

«il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26).

Veramente gareggiano nello stimarsi a vicenda (cfr Rm 12,10)! Magari avvenisse lo stesso anche nelle nostre famiglie!

Conoscenza per assimilazione

Ma Dio non si accontenta di “presentarci” la Sua famiglia: ce ne fa direttamente partecipi, adottandoci come Suoi figli (d’altronde non c’è miglior modo di conoscere qualcosa che immergersi in quella realtà, di conoscere una persona che diventare un tutt’uno con lei):

«quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna… perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,4-5).

«voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (cfr la 2ª lettura).

Quello di Dio non è solo una specie di «aggiungi un posto a tavola», ma un desiderio di comunione totale; Gesù ha espresso questo grande desiderio nella Preghiera Sacerdotale:

«Padre santo, custodiscili nel tuo nome… perché siano una sola cosa, come noi… come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi» (cfr Gv 17,11.21).

Siamo figli speciali, non “di serie B”

A noi la parola “adottivi” potrebbe sembrare riduttiva, come una sorta di “seconda scelta” (prima c’è il Figlio naturale – Gesù – e poi veniamo noi)… ma in realtà il significato è molto profondo, già a livello umano.

Perfino l’istituto giuridico dell’adozione – infatti – è qualcosa di grandioso se ci pensiamo: il figlio adottivo diventa automaticamente erede, insieme coi figli naturali (se ve ne sono, o da solo, in caso contrario). Un fatto sorprendente per la logica umana: non ha fatto nulla, non è nato da loro, eppure eredita tutto quello che i genitori hanno messo insieme nella vita!

Così è anche per noi, come ci assicura l’apostolo Paolo:

«siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo».

Un’adozione tutta particolare

Rispetto alle modalità umane, la nostra adozione nella famiglia di Dio è avvenuta in modo piuttosto singolare: di solito sono i genitori adottanti che – se hanno già dei figli naturali – cercano di aiutarli ad accogliere il nuovo fratellino o sorellina che si aggiunge alla famiglia…

Per noi – al contrario – è stato il fratello maggiore (Gesù) ad adottarci: il Figlio naturale di Dio, facendosi uomo, ci ha presi come Suoi fratelli e ci ha presentati al Padre in un solo Spirito (cfr Ef 2,18).

Siamo diventati prima fratelli e poi figli! O – meglio – le due cose sono avvenute contemporaneamente nel Battesimo. Il risultato di tutto questo ce lo indica di nuovo la Scrittura:

«Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,19).

Ecco dunque che cos’è ormai per noi la Trinità: la nostra famiglia!

In aggiunta, la nostra è un’adozione del tutto particolare (rispetto a quelle umane) soprattutto perché – mentre giuridicamente un figlio adottivo assume il cognome, la cittadinanza e la residenza di chi lo adotta, ma non condivide il legame di sangue – a noi Dio trasmette anche la Sua vita intima, il suo Spirito.

Per effetto del Battesimo, in noi scorre la vita stessa di Dio. Non solo «ci chiamiamo figli di Dio», ma «lo siamo realmente» (cfr 1Gv 3,1).

Rimaniamo in questa famiglia

Ma – lo sappiamo bene – non basta un legame di sangue né un istituto giuridico a tenere in piedi una famiglia: occorre la volontà di rimanere uniti.

Generalmente i genitori mantengono sempre un legame coi loro figli (naturali o adottivi che siano), e non li rinnegano mai: continuano ad amarli anche in situazioni di estrema gravità che li ricoprissero di ridicolo a causa delle azioni deplorevoli dei loro figli (sicuramente così fa Dio con noi: noi trasciniamo spesso il Suo nome nella polvere, ma Lui continua, con immensa pazienza e magnanimità, a chiamarci figli e a farsi carico di noi).

I figli – invece – hanno sempre la propensione a staccarsi dai loro genitori, a rendersi indipendenti (è la cosa naturale, comandata perfino da Dio: cfr Gen 2,24)… ma sempre più spesso questo desiderio di distacco si manifesta e realizza con un totale disconoscimento e dispregio di tutto quello che i genitori hanno fatto per loro.

E – mentre per i figli delle famiglie umane – la crescita e la maturità avviene proprio per separazione – il nostro far parte della famiglia di Dio è subordinato al continuo scorrere della Sua vita in noi, e questo è possibile solo se rimaniamo uniti a Lui, come ci raccomandava Gesù qualche domenica fa con l’allegoria della vite e dei tralci.

L’unico “cordone ombelicale” che non dobbiamo mai tagliare è quello che ci lega a Dio, perché da Lui fluisce la nostra vita.

Godiamoci dunque questa condizione privilegiata di figli, perché le nostre pretese di indipendenza ci portano solamente a tornare orfani, quali eravamo prima che Dio ci adottasse!