Fuori! Uscite! 4ª Domenica di Pasqua (A)

Fuori!

Con la Chiesa di oggi Gesù deve proprio cacciare fuori le Sue pecore (e anche i Suoi pastori), perché non hanno un granché voglia di uscire in missione.

Omelia per domenica 30 aprile 2023

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Letture: At 2,14.36-41; Sal 22 (23); 1Pt 2,20-25; Gv 10,1-10

Tre anni fa mi ero soffermato a riflettere sul senso di protezione infuso dall’immagine usata da Gesù che si definisce «la porta delle pecore» e da quella del guardiano che sta sulla porta, identificandolo col Patrono di una comunità parrocchiale.

Fuori! Sciò!

A noi piace tanto l’immagine del recinto, dell’ovile, dove il buon pastore raduna le Sue pecore per proteggerle dai pericoli esterni, o quella del pastore che «su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce», come preghiamo nel Salmo Responsoriale… ma, se ascoltiamo bene il vangelo, sentiamo Gesù che dice:

«egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse…»

Il posto delle pecore è fuori, non dentro il recinto.

L’affermazione è perentoria, perché se il primo verbo (condurre) è abbastanza dolce, il secondo è fortissimo: letteralmente significa “cacciare fuori”.

Sembra proprio ciò che deve fare il Signore coi cristiani di oggi: cacciarli fuori “a pedate”, perché di uscire dai nostri orticelli e dalle nostre sacrestie non abbiamo proprio voglia, e ci stiamo tanto bene qui dentro, crogiolandoci nel consueto «pochi ma buoni».

Chiesa in uscita

Quante volte Papa Francesco ci sprona ad essere una «Chiesa in uscita»? È uno dei punti cardine della Evangelii Gaudium e di tutto il suo magistero.

E per questo (come per tanti suoi slanci di fedeltà autentica al Vangelo) è così insopportabile a certe sfere di una Chiesa che si definisce “conservatrice”.

Ma qui non si tratta di farsi stare simpatico Papa Francesco: è Gesù in persona che vuole mandare fuori la Sua Chiesa!

E a Gesù mica si può dire di no! Vero?

Bisogna passare attraverso Gesù

Questa domanda retorica (ma neanche poi tanto) ci porta all’altro grande tema del vangelo di oggi: se si vuole essere cristiani non c’è altro modo che passare attraverso Gesù, seguendo le sue orme, come ci raccomanda san Pietro nella seconda lettura.

In tal senso, l’immagine che apre il discorso è ficcante:

«chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante».

Un esempio chiarissimo, che richiama subito alla mente i tanto temuti “ladri d’appartamento”. Ma la similitudine è così calzante che rischiamo di perdere di vista la verità che Gesù ci vuole insegnare:

«Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato».

“Ladro” e “brigante” non sono certo complimenti, e Gesù sta dicendo – senza mezzi termini – che tutti quelli che pensano di poterlo bypassare sono assimilabili a queste categorie: dei furfanti, degli imbroglioni.

C’è Cristo al centro?

Quanti “messia” si sono fatti avanti nei secoli… l’aveva preannunciato Gesù stesso:

«Molti verranno nel mio nome, dicendo: “Sono io”, e trarranno molti in inganno» (cfr Mc 13,5-6).

Oggi, però, non si tratta più di chiedersi quale religione o confessione sia più giusta delle altre, ma quale cristianesimo sia autentico, e se Gesù Cristo Figlio di Dio sia veramente il centro della vita di chi si professa cristiano.

Come usiamo la nostra libertà?

Gesù ci lascia liberi di accettare o meno di seguirlo, ma ci ripete più volte che l’unica via che porta a Dio è Lui:

«Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6).

Ci fregiamo del nome “cristiani”, ovvero “seguaci di Cristo”, ma non sempre facciamo quello che dice, e soprattutto, non sempre ci lasciamo guidare dove Lui vuole portarci.

L’unico mediatore

Ma pensare di poter vivere un cristianesimo che non sia perfetta e totale fedeltà a Cristo e al Suo Vangelo è un vero e proprio inganno, perché, come ci ricorda l’apostolo Paolo

«uno solo è il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù» (cfr 1Tim 2,5)

e come rispondeva coraggiosamente Pietro davanti al Sinedrio

«In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (At 4,12).

Cristiani “fuori”, oltre che “dentro”

Tornando alla Chiesa in uscita: è importantissimo – certo – curare la nostra fede, la nostra morale personale, la preghiera, le pratiche religiose… ma non possiamo ridurci ad essere cristiani solo “dentro”, nell’interiorità del nostro cuore, perché non è per questo che Cristo si è fatto uomo.

Dio stesso, incarnandosi in Gesù, è uscito “fuori” dalla Sua “comodità”, dal Suo Paradiso, e si è calato totalmente nella nostra storia (cfr Fil 2,5-11).

Il mandato del Risorto ai suoi discepoli non è «mi raccomando: comportatevi bene e andate a Messa tutte le domeniche», ma – come ascoltavamo l’altro giorno nella festa di san Marco evangelista:

«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15).

Uscire allo scoperto

Cosa vuol dire – concretamente – uscire fuori, per noi cristiani?

Non per tutti significa andare in missione in Africa o in altre terre lontane: per la maggior parte di noi, vuol dire non aver paura di pensare, parlare, comportarci apertamente da cristiani di fronte al mondo, là dove viviamo e lavoriamo, smettendola di relegare la nostra fede nell’ambito intimo e privato.

Significa che la nostra fede in Cristo Gesù deve permeare e toccare ogni aspetto della nostra vita, compresa la politica e la giustizia sociale.

Un cristiano che si comporta come tutti gli altri e tace “per quieto vivere”, per non dare fastidio, è inutile, come il sale che perde il suo sapore o una lampada messa sotto il letto (cfr Mt 5,13-16).

Anzi: è più dannoso che inutile, come diceva il mio professore di ginnastica al liceo quando voleva spronarci a fare meglio.

E allora, cristiani: fuori! uscite! Annunciate a tutti il Risorto!

Lo dico prima di tutto a me stesso.