Gemello di chi? 2ª Domenica di Pasqua (B) o “della Divina Misericordia”

Gemello di chi?

Letture: At 4,32-35; Sal 118; 1Gv 5,1-6; Gv 20,19-31

L’anno scorso, commentando il vangelo di Tommaso (che riascoltiamo ogni 2ª Domenica di Pasqua), mi ero soffermato a riflettere sull’importanza della Comunità radunata a celebrare l’Eucaristia, come luogo dove nasce e cresce la fede.

Quell’omelia scaturiva senz’altro dall’esperienza che tutti stavamo facendo in prima persona di non poterci trovare a celebrare a causa della pandemia, e del bisogno che sentivamo di tornare presto nel Cenacolo assieme ai nostri fratelli nella fede.

Ci siamo ripresi il Cenacolo, ma la fede?

Ormai è quasi un anno che ci siamo “riappropriati” dei nostri “Cenacoli”, ma… possiamo dire che la nostra fede è cresciuta?

Non lo so… Se dovessi misurarla con il numero dei fedeli che hanno ripreso a frequentare, direi di no: dei miseri 70 posti distanziati disponibili in chiesa, spesso ne rimangono vuoti molti.

Un po’ come se – anche oggi – tanti “Tommaso” avessero trovato qualche buon motivo per non essere presenti assieme al resto della Comunità radunata nel giorno del Signore.

Forse chi non è ancora tornato nel Cenacolo sta vivendo proprio l’esperienza di Tommaso, e molti di quelli che son tornati sono qui col suo stesso cuore, quello che aveva «otto giorni dopo» la Pasqua…

Il gemello di Gesù

La tradizione (più laica che non religiosa, a dir la verità) ci ha consegnato Tommaso come l’emblema del miscredente, dello scettico, di colui che «ci deve sbattere il naso» prima di credere; ma non dobbiamo dimenticare chi fosse veramente:

Gesù disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!» (Gv 11,7-8.16).

L’evangelista – offrendoci la traduzione del nome di questo discepolo – vuole farcene percepire l’importanza (Dìdimo in greco significa “gemello”, come Tòma in aramaico).

A differenza di Pietro – che affermerà temerariamente di essere disposto a dare la vita “per” Gesù (cfr 13,37) – Tommaso è disposto a morire “con” Gesù, seguendolo fino alla morte, condividendone fino in fondo la sorte.

Tommaso è l’«altro» (gemello) di Gesù! È quello che ogni discepolo della Comunità dovrebbe essere!

Vi sembra ancora un uomo senza fede?

Gemelli separati

Perché allora il gemello di Gesù non è presente il giorno di Pasqua? Perché non è con gli altri nel Cenacolo?

Forse proprio perché questo suo essere così “legato a doppio filo” con Gesù l’aveva fatto soffrire più di tutti: la morte di Gesù gli era scesa a tal punto nel cuore da renderlo incapace di rialzarsi, da non trovare più senso a nulla.

Proprio come succede ai gemelli: quando uno dei due subisce una disgrazia improvvisa, l’altro lo percepisce e lo vive profondamente nell’intimo, anche se si trova all’altro capo del mondo.

Se ad un uomo muore il fratello gemello (se ad un genitore muore un figlio) la sua vita perde totalmente significato: è come se fosse morto anche lui.

Tommaso, più di tutti gli altri, doveva essere rimasto sconvolto nel momento della separazione definitiva avvenuta nel Getsemani, proprio per volere del suo amato Gemello:

«Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano» (Gv 13,8).

Lui più di tutti doveva aver sentito lo strazio di lasciare Gesù da solo in croce senza poterne condividere fisicamente la sorte.

Il nostro gemello

Nella pagina che abbiamo ascoltato oggi l’evangelista ci invita a specchiarci in Tommaso, a sentirlo stavolta come il nostro gemello: entriamo nel suo cuore, nei sentimenti e nelle circostanze che l’hanno portato a chiudersi in se stesso, lontano dai suoi fratelli e compagni nel discepolato.

Quante persone – magari proprio i credenti più ferventi e convinti – ad un certo punto della loro vita fanno esperienza del vuoto, schiantati da una disgrazia tremenda che li schiaccia a terra, prostrati nel dolore, incapaci di rialzarsi e sentirsi amati da Dio…

Quante volte anche noi – nei momenti di sconforto – abbiamo avuto (e magari anche assecondato) la tentazione di non andare più a Messa, di smettere di pregare, di credere? Non per “ripicca” contro il Signore, ma perché ci sentivamo “svuotati”, insensati, persi…

Quante volte anche noi siamo andati in cerca di un’esperienza più intima, personale, “solitaria” di Dio, stanchi di una Chiesa che non ci diceva più nulla, incapace di parlare al nostro cuore e alla nostra vita?

Quante volte abbiamo abbandonato il “Cenacolo” della nostra comunità cristiana di appartenenza per affacciarci ad altre chiese dove ci sembrava di trovare un clima più accogliente, sereno, intenso?

Tommaso è il nostro gemello quando – come lui – sentiamo di aver perso ogni speranza e fiducia: in noi stessi, nella vita, negli altri, in Dio.

«Non è bene che l’uomo sia solo»

Ma il “girovagare” in cerca di un senso non ci porta da nessuna parte, e – alla fine – capiamo che in nessun altro posto potremmo incontrare il Signore e ritrovare la direzione del nostro cammino se non nella Comunità, nella Chiesa.

La fede è un cammino personale, sì, ma ha sempre bisogno di essere condivisa, di essere vissuta nella comunione, altrimenti si ripiega su se stessa e si spegne.

È l’esperienza che facciamo anche nelle altre cose della vita: pensiamo di star meglio da soli e ci isoliamo da tutto e da tutti, ma poi sperimentiamo immancabilmente tutta la fragilità e la povertà che la solitudine e l’isolamento portano con sé.

L’uomo non è fatto per essere “figlio unico”, ma fratello degli altri. Non possiamo essere fratelli di Gesù se non lo siamo anche degli altri Suoi fratelli, i nostri compagni nella fede.

È solo in quella stanza dove si è formata la Chiesa (il Cenacolo) che si può ritrovare – nonostante tutte le nostre povertà – la fonte della fraternità e la “culla” nella quale la nostra fede (che spesso torna piccola) può “tornare” ad essere custodita nel “grembo” e partorita nuovamente.

La misericordia infinita di Dio

Non è un caso che san Giovanni Paolo II abbia deciso di istituire la Festa della Divina Misericordia proprio in questa domenica, perché Tommaso (e noi con lui) di questa Misericordia ha fatto un’esperienza vivissima.

Stamattina ho letto su Twitter lo spoiler dell’omelia di un bravo prete:

La misericordia, cioè l’Amore, è tornare indietro a cercare chi non ce la fa.

(don Dino Pirri)

Ecco: Gesù è “tornato indietro” a cercare e caricarsi sulle spalle quella pecorella smarrita che era il nostro gemello Tommaso, assecondando il suo bisogno di avere più elementi per rafforzare la fede (cfr Lc 15,1-7).

Non gli ha detto: «ti devi accontentare di quello che ti hanno detto gli altri, devi credere a prescindere!», ma l’ha aspettato e ricondotto pian piano all’ovile, e gli ha fatto la grazia di vedere e toccare le ferite del Suo Amore misericordioso.

La misericordia di Dio si rivela proprio in quel rapporto unico che Egli ha con ciascuno di noi, perché – se è vero (come dicevo sopra) che la fede è un’esperienza comunitaria – è altrettanto vero che per Dio noi non siamo dei numeri, uno dei tanti, ma siamo unici e irripetibili, preziosissimi ai Suoi occhi!

È proprio nel luogo dove si celebra l’Eucaristia (e gli altri Sacramenti) che si manifesta la misericordia infinita di Dio, dove i fratelli – ciascuno col suo passo – si trovano a camminare insieme dietro al Signore che li attende per inondarli di Amore e grazia infiniti.

Gesù Misericordioso

Santa Faustina Kowalska (dalle cui rivelazioni prende origine questa devozione e questa festa) fece rappresentare Gesù Misericordioso come gli era apparso, col costato aperto da cui sgorgano come raggi di luce benefica, i Sacramenti Pasquali del Battesimo e dell’Eucaristia.

Un Amore che si può toccare

Anche noi – come il nostro gemello – sentiamo il bisogno di vedere, di “toccare con mano” l’Amore di Dio per noi, e lo possiamo fare, per davvero!

C’è un luogo deputato per questa esperienza: l’Eucaristia e gli altri Sacramenti.

Quanta gente va in cerca di “esperienze” spirituali e trascendenti, sperando di incontrare Dio in modo più vivo, magari dopo aver disertato il Sacramenti! Ma è proprio nei Sacramenti – e solo lì – che siamo sicuri della Sua presenza reale, e che possiamo toccare le Sue piaghe, segno del Suo Amore infinito per noi.

Voler mettere la mano nel fianco ha un significato profondo: è il voler toccare il cuore di Dio, da cui sono sgorgati sangue ed acqua, è il desiderio di sperimentare fino in fondo la Sua misericordia.

Grande Tommaso! Grazie!

Dobbiamo essere grati a Tommaso perché il suo faticoso cammino aiuta anche la nostra fede zoppicante a diventare più matura, più forte, e soprattutto a basarsi su qualcosa di molto concreto.

Attraverso il suo voler vedere e toccare il segno dei chiodi e la ferita del costato, noi siamo certi che quell’uomo che appariva glorioso dal giorno di Pasqua era proprio lo stesso Gesù morto in croce tre giorni prima!

Il Crocifisso e il Risorto sono la stessa identica persona: Tommaso l’ha verificato personalmente anche per noi. L’Amore Crocifisso e la Gloria del Risorto stanno uniti indissolubilmente, e qui si regge la nostra fede.

Condividere per credere

«Mio Signore e mio Dio!»

Quella del nostro gemello Tommaso è la più alta professione di fede contenuta nel vangelo, e Giovanni ce l’ha tramandata proprio perché la facciamo nostra. Non è un caso – infatti – che subito dopo concluda con questa affermazione:

Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Le pagine del Vangelo sono state scritte e tramandate sino a noi perché crediamo e – credendo – abbiamo la vita nel nome di Gesù.

Tommaso, nostro gemello, e gli altri discepoli, nostri fratelli, sapevano bene che anche noi avremmo fatto fatica a credere, che avremmo avuto bisogno di vedere, di toccare: per questo ci hanno tramandato la loro esperienza:

Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita… noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena (cfr 1Gv 1,1-4).

Tuffiamoci nell’Amore di Dio

Che il Signore permetta anche a noi – come al nostro gemello Tommaso – di “entrare” nelle sue piaghe (come dice la preghiera che vi propongo qui sotto a conclusione) per capire e vivere l’immensità del Suo Amore per noi:

Anima di Cristo santificami.
Corpo di Cristo, salvami.
Sangue di Cristo, inebriami.
Acqua del costato di Cristo, lavami.
Passione di Cristo, confortami.
O buon Gesù, esaudiscimi.
Dentro le Tue piaghe nascondimi.
Non permettere ch’io mi separi da Te.
Dal nemico maligno difendimi.
Nell’ora della mia morte chiamami.
Fa’ ch’io venga a Te,
a lodarti con i Tuoi santi, nei secoli dei secoli. Amen.

(Antica preghiera Eucaristica del XIV secolo)