Guarire dall’invidia

Invidia

Per guarire dall’invidia c’è solo un modo: smetterla di paragonarci agli altri e prendere coscienza della nostra unicità, scoprendoci infinitamente amati da Dio.

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Dedico la sesta “puntata” di questa rubrica a una malattia spirituale che faccio davvero fatica a capire, ma che spesso mi sento confessare dai penitenti: l’invidia.

Quando in confessionale mi sento dire «sono un po’ invidioso», la cosa non solo mi sorprende, ma mi rattrista, perché constato di trovarmi davanti a un cuore infelice.

Questo morbo dell’anima è davvero grave, ed è da prendere molto sul serio, perché – oltre a causare tristezza interiore – semina morte attorno a sé.

Un morbo antico come l’uomo

L’invidia è una “bestia” antica quanto l’umanità: Caino si macchia del primo fratricidio della storia proprio perché è invidioso di Abele (cfr Gen 4,1-16).

Così la Genesi descrive in modo chiaro quanto sia “mortifero” questo tarlo interiore, e perché l’invidia sia annoverata tra i vizi capitali.

Secondo il libro della Sapienza l’invidia è ancora più antica: è Satana il primo invidioso, ed è a causa sua che la morte è entrata nel mondo (Sap 2,24).

Cos’è l’invidia?

L’interrogativo che “innesca la miccia” dell’invidia è: «perché lui sì e io no?»

Questa domanda di protesta è frutto di uno sguardo “malato”, che considera le cose e le esperienze altrui come un’ingiustizia nei propri confronti, uno sguardo che infligge una profonda ferita nel proprio animo, scatenando un sentimento terribile, segreto, triste e anche doloroso: un vero e proprio auto-avvelenamento dell’anima.

Gesù elenca l’invidia tra i «propositi di male» che «escono dal di dentro, dal cuore degli uomini» (cfr Mc 7,21-22); d’altronde, se c’è posto solo per il proprio io, il nostro cuore diventa a tutti gli effetti una prigione: non a caso “prigioniero” in latino si dice captivus (“cattivo”).

Un sentimento assurdo

San Tommaso spiega l’assurdità di questo sentimento nella sua Somma Teologica (IIª-IIae q.36 a.1): mentre è del tutto normale essere tristi per il male che si subisce, non ha alcun senso soffrire per il bene altrui!

Ma l’invidioso lo vede come un male, perché pensa che quel bene possa sminuire «la propria gloria o la propria eccellenza».

Un peccato mortale

Per questo l’invidia «è sempre una cosa malvagia», ed è un peccato mortale, perché «si oppone direttamente alla misericordia… e alla carità».

Oltretutto è un atteggiamento stupido, perché si origina quando vediamo un bene e lo desideriamo ma – invece di darci da fare per ottenerlo – ci rattristiamo perché qualcun altro ce l’ha e noi invece no.

Connessioni con altri vizi

I Padri della Chiesa collegano l’invidia alla superbia (radice di tutti i vizi): il superbo, infatti, non accetta che gli altri abbiano eccellenze che egli non ha.

Un altro vizio connesso all’invidia è l’accidia: l’invidioso si lascia andare alla pigrizia, all’indolenza, in un torpore malinconico che – invece di compiere opere di bene – si rassegna al non far nulla.

Insomma: quello che a primo acchito potrebbe sembrare solo un “innocente” sguardo rattristato per il “piatto più pieno” di chi mi sta accanto, è qualcosa di ben più grave.

Come si cura l’invidia?

Ma cosa possiamo fare per curare l’invidia? Non è semplicissimo, perché i vizi capitali spesso sono causati da fattori che intrecciano psiche e spirito, e quindi non sempre la cura può essere semplicemente spirituale.

Pretendere di risolvere tutto “spiritualmente” sarebbe come credere di poter guarire una frattura alla caviglia o una polmonite con un’Ave Maria.

L’apporto delle scienze umane

In alcuni casi gravi è necessario rivolgersi a un bravo psicologo, che aiuti la persona a individuare e sciogliere nodi antichi e profondi che hanno innescato e alimentano il sentimento dell’invidia.

Pensiamo, ad esempio, a una persona che fosse stata gravemente marginalizzata fin da piccola paragonandola e giudicandola continuamente inferiore rispetto ai suoi fratelli, magari del tutto ingiustamente…

Queste ferite interiori richiedono una cura specifica della psiche e non un consiglio spirituale.

In questo caso, il dovere del confessore è di demandare con dolcezza a chi ha le competenze e il tempo necessari a prendersi cura di situazioni così delicate.

Accorgimenti spirituali

Ciò detto, ci sono consigli utili sia per accompagnare la cura psicologica dei casi più “gravi”, sia per liberarsi dall’invidia nei casi più semplici a livello spirituale.

Non paragonarsi agli altri

La causa esterna che origina l’invidia è il paragonarsi continuamente agli altri.

Il confronto tra persone è sempre spiacevole, ma in alcuni casi è del tutto insensato: avrebbe senso chiedersi chi è il migliore tra Beethoven, Van Gogh e Pelè? Ovviamente no! Uno è stato un grandissimo musicista, l’altro un grandissimo pittore e l’ultimo un grande calciatore…

Il primo consiglio, quindi, è: non paragonarti agli altri, perché siamo tutti diversi e ognuno di noi ha il suo cammino, la sua vocazione. A ciascuno di noi il Signore sa se fosse giusto consegnare cinque talenti, oppure due, o uno solo (cfr Mt 25,14-30): l’importante è che lo facciamo fruttare e non lo mettiamo sotto terra.

Scoprire la propria unicità

Rimanendo in tema di paragoni, non avrebbe senso nemmeno stabilire chi è stato più santo tra Francesco d’Assisi e Madre Teresa… Anche in questo campo il confronto non regge, perché ognuno va colto nella sua unicità.

Un famoso aforisma, infatti, dice:

«Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido».

Il secondo consiglio, perciò, è: scopri la tua unicità e quello per cui il Signore ti ha messo nel mondo. Sii santo a modo tuo (un segreto che scoprì anche il nostro caro Papa Giovanni).

Ascoltare chi ci vuole bene

Ma non possiamo scoprire la nostra unicità da soli, perché il nostro sguardo non è mai oggettivo quando si tratta di giudicare noi stessi.

Possiamo scoprirla solo ascoltando coloro che ci vogliono bene per davvero, e sanno scorgere in noi bellezze, talenti e qualità che noi diamo per scontati o non valorizziamo a sufficienza.

E se per caso non avessimo nessuno che ci vuole così bene? Se – anzi – fossimo stati marginalizzati fin da piccoli (come dicevo poco fa)?

Sapersi amati

Anche se non avessimo proprio nessuno che ci vuole bene, noi credenti sappiamo di avere uno sguardo d’Amore sempre posato su di noi: quello del Padre Celeste.

Cascasse il mondo, dovessimo perdere tutto, nulla ci potrà mai separare dall’Amore di Dio per noi (cfr Rm 8,38-39).

Perciò, la consolazione che cerco di dare ai penitenti, soprattutto a chi ha il cuore triste per varie ragioni (e quindi anche a chi è rattristato a causa della propria invidia) è:

Il Signore ti vuole bene. Tutto il resto, a confronto, non vale niente.

Ecco allora che, come terzo e ultimo consiglio, vi suggerisco un ritornello che ripete sovente Paolo Curtaz, un autore che leggo spesso:

«Sappiatevi amati!»