Il condizionale è d’obbligo

Il condizionale è d'obbligo
Commento alle letture di giovedì 28 luglio 2022

Letture: Ger 18,1-6; Sal 145 (146); Mt 13,47-53

Il brano di vangelo di oggi è la conclusione del “discorso in parabole” nel vangelo di Matteo.

Gesù termina i Suoi insegnamenti con una domanda, alla quale i discepoli rispondono affermativamente:

«Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì».

Un conto è capire…

Anche a noi sembra di capire perfettamente i discorsi di Gesù quando parla per immagini; per di più, abbiamo la grazia di venire dopo due millenni di storia della Chiesa, e quindi le applicazioni pratiche delle parabole sono molto più numerose delle spiegazioni che già Gesù dava in privato ai Suoi discepoli.

Ma… un conto è capire, un conto è applicare quello che si è ascoltato e capito.

Molte volte – pur avendo capito – ci vien voglia di far finta di non capire…

Capacità di osservazione

L’immagine della prima lettura è una delle più “plastiche” che troviamo nell’Antico Testamento, e – anche se Geremia scende di persona nella bottega del vasaio – l’andamento è lo stesso di quando Gesù narrava le Sue parabole: il racconto di situazioni della vita quotidiana è fatto con un’intensità tale da proiettare gli ascoltatori nella scena descritta, tanto da far risultare del tutto “naturale” l’applicazione spirituale della parabola.

È addirittura probabile che in alcuni casi – mentre Gesù raccontava – anche i Suoi ascoltatori avessero sotto gli occhi proprio la scena descritta. Ad esempio:

«Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava…» (Mt 13,3-4)

Altre volte Gesù stesso invitava a dirigere lo sguardo su qualcosa che era sotto gli occhi di tutti:

«Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre» (Mt 6,26).

Dagli occhi alle orecchie

Gesù stimolava i Suoi ascoltatori ad affinare lo sguardo, e – attraverso questo – a entrare in ascolto, come recita la conclusione di tante parabole:

«Chi ha orecchi, ascolti» (cfr Mt 11,15: Mt 13,9; Mt 13,43).

Nella pagina di Geremia che ci è donata oggi, Dio invita anche noi – assieme al profeta – a scendere nella bottega del vasaio e ad aguzzare la vista, per poi aprire le orecchie e il cuore.

Già: perché non basta avere gli occhi e le orecchie…

Tra il dire e il fare

Con gli occhi quasi tutti vedono, ma pochi guardano e osservano.

Con le orecchie quasi tutti sentono, ma pochissimi ascoltano.

E già nel dialogo tra Dio e il profeta c’è un verbo che lascia presagire la non perfetta consequenzialità tra il vedere, l’ascoltare e l’agire:

«Forse non potrei agire con voi, casa d’Israele, come questo vasaio?»

La domanda è posta con il verbo al condizionale, il che lascia tutto in sospeso, perché è vero che la frase continua all’indicativo («come l’argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani, casa d’Israele»), ma il condizionale introduttivo rimane, e “condiziona” tutto il resto (per l’appunto).

Perché al condizionale?

Perché Dio mette quel «potrei» all’inizio? Perché parla al condizionale?

Prima di tutto perché Dio – pur essendo il Creatore di tutte le cose – non vuole e non vorrà mai contravvenire alla regola che si è posto fin dalla creazione dell’uomo: la libertà che ci ha dato di agire e scegliere autonomamente, in bene o in male.

Dio non abdicherà mai a questa legge: pur facendolo soffrire maledettamente, ci lascia liberi di compiere tutto quello che vogliamo, compresa la nostra autodistruzione allontanandoci da Lui (al contrario di quanto dice l’antico proverbio, nella realtà «Dio propone… e l’uomo dispone», purtroppo).

In secondo luogo perché Dio ci conosce perfettamente, e sa che l’unico momento in cui quell’argilla se n’è stata “buona buona” a lasciarsi plasmare dalle Sue mani, è stato il giorno della Creazione, prima che soffiasse in noi il Suo spirito di vita e cominciassimo a far di testa nostra, credendoci onnipotenti (cfr Gen 2,7).

Un vasaio rimproverato dalla creta

Dio sa bene che – a differenza della creta in mano al vasaio – noi ci comportiamo in modo arrogante, supponente e sconsiderato, come profetizzato da Isaia:

Forse che il vasaio
è stimato pari alla creta?
Un oggetto può dire del suo autore:
«Non mi ha fatto lui»?
E un vaso può dire del vasaio: «Non capisce»?
(Is 29,16)


Dirà forse la creta al vasaio: «Che cosa fai?»
oppure: «La tua opera non ha manici»?
(Is 45,9)

Per questo Dio usa il condizionale: nella Sua onnipotenza potrebbe trattarci da “burattini” e fare di noi ciò che vuole, ma non lo fa.

Trasformare il condizionale in indicativo

Sta a noi – quindi – lasciarci plasmare docilmente dalle mani sapienti dell’Artista che ci ha pensati fin dalle origini del mondo e ci ha fatti con sapienza.

Il Signore ci ha dato una forma bellissima, le Sue stesse sembianze (cfr Gen 1,26), e ci ha messi a “girare” sul quel “tornio” che è il mondo:

«Ecco, come l’argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani, casa d’Israele».

Ora attende di poterci plasmare a Suo piacimento, per portare a compimento l’opera iniziata in noi (cfr Fil 1,6).

Siamo nelle mani di Dio

Ma la docilità non ci appartiene, purtroppo: siamo come quei bambini piccoli che vogliono divincolarsi dalla mano del papà e della mamma dicendo «sono capace anche da solo!»

Non capiamo che Dio ci tiene per mano solo per aiutarci dolcemente a trovare la nostra strada, per accompagnare le nostre scelte col Suo silenzioso Amore.

Quante volte diciamo «siamo nelle mani di Dio», ma con un senso di rassegnata tristezza, come se fosse una tragedia?

Lo diciamo sottintendendo «purtroppo devo rassegnarmi: non sono più padrone della mia vita!»

Invece dobbiamo imparare a sentirci al sicuro nelle mani di Dio, perché sono mani che non costringono, ma conducono sulla via della Vita.

Facciamo nostre le parole del Salmo 31:

In te, Signore, mi sono rifugiato,
mai sarò deluso…

…mia rupe e mia fortezza tu sei,
per il tuo nome guidami e conducimi…

Alle tue mani affido il mio spirito

…io confido in te, Signore;
dico: «Tu sei il mio Dio,
i miei giorni sono nelle tue mani».