Il gioco vale la candela. Presentazione del Signore

il gioco vale la candela

Quanto vale una vita? Ha senso “sprecarla” interamente rinchiusi in un Monastero? Se l’esito è lo stesso incontro di Simeone, beh… ne vale la pena!

Letture: Ml 3,1-4; Sal 23 (24); Eb 2,14-18; Lc 2,22-40

Quest’anno la festa della Presentazione del Signore cade in domenica e quindi non ascoltiamo lo stupendo brano delle Beatitudini (che avremmo trovato celebrando regolarmente 4ª domenica del Tempo Ordinario).

Spiace per l’occasione mancata di metterci ai piedi di Gesù e gustare l’inizio del Discorso della Montagna (che riprenderemo da domenica prossima e per altre 2 domeniche), ma son felice che a vivere questa Festa del Signore ci sia tutta la Comunità che si trova settimanalmente a celebrare il Giorno del Signore.

Sì, perché pone molti spunti di riflessione che vale la pena raccogliere tutti, e non solo i “più devoti” delle Messe feriali.

La bellezza della luce

Tradizionalmente questa ricorrenza è chiamata “la Madonna Candelora”, a motivo della benedizione dei ceri all’inizio del rito. E infatti la luce la fa da padrona, anche nei brani biblici che ascoltiamo.

Da sempre – nella Chiesa – i ceri accesi sono il simbolo della nostra fede che è attinta alla luce vera: Cristo Risorto. Come nel rito del Lucernario della Veglia Pasquale, come nel rito del Battesimo…

È la luce di quella fede seminata in noi fin dal primo nostro incontro col Risorto e che siamo chiamati a custodire, alimentare e proteggere (è sempre bello il gesto che si fa – soprattutto quando si è all’aperto – per proteggere l’esile fiammella). Ascoltiamo cosa dice san Sofronio in uno dei suoi Discorsi:

Accresciamo lo splendore dei ceri per significare il divino fulgore di Lui che si sta avvicinando e grazie al quale ogni cosa risplende, dopo che l’abbondanza della luce eterna ha dissipato le tenebre della caligine. Ma le nostre lampade esprimano soprattutto la luminosità dell’anima, con la quale dobbiamo andare incontro a Cristo. Come infatti la Madre di Dio e Vergine intatta portò sulle braccia la vera luce e si avvicinò a coloro che giacevano nelle tenebre, così anche noi, illuminati dal suo chiarore e stringendo tra le mani la luce che risplende dinanzi a tutti, dobbiamo affrettarci verso Colui che è la vera luce.

(San Sofronio vescovo, sull’Hypapante)

L’olio della preghiera

Per alimentare questa fiamma, per tenerla accesa fino alla fine, occorre essere previdenti, come le cinque ragazze sagge della parabola di Gesù. Occorre essere vigilanti e costanti nella preghiera.

Così hanno fatto Simeone ed Anna. Per questo erano nel posto giusto al momento giusto.

Lo Spirito Santo li trovava quotidianamente disponibili e docili alla Sua guida; perciò li ha condotti nel Tempio incontro a Giuseppe e Maria che venivano a presentare Gesù.

Una vita intera consacrata a Dio

Da 24 anni in questa festa liturgica si celebra anche la Giornata Mondiale per la Vita consacrata, istituita da san Giovanni Paolo II.

Senz’altro, come spiegava il Pontefice, perché è qui che vediamo (e siamo invitati ad imitare) la totale donazione che Gesù fa di se stesso agli uomini compiendo fedelmente la volontà del Padre, dono al quale si associa Maria.

Ma oltre a Gesù e Maria ci sono anche questi due vegliardi – Simeone e Anna – che l’evangelista Luca ci tratteggia come persone che hanno dedicato la loro vita interamente a Dio. Sono quindi dei consacrati.

Ha senso consacrarsi ai nostri giorni?

Oggi la comunità parrocchiale di Brembilla saluta Noemi, una giovane che ha deciso di intraprendere la vita religiosa entrando nel convento di clausura domenicano di Matris Domini in Bergamo. E la domanda è sempre la stessa: «che senso ha “sprecare” una vita intera così, rinchiusi in quattro mura a pregare tutto il giorno?»

È senz’altro una scelta coraggiosa e controcorrente, che interroga e scuote le coscienze, anche quelle di quei cristiani che si sentono “più avanti degli altri”.

La risposta sta nella vicenda dei due vegliardi Simeone e Anna: hanno passato tutta una vita attendendo la consolazione di Israele, «con digiuni e preghiere»… e ora si realizza il desiderio profondo di tutte le loro attese.

Quanto vale una vita?

Da cosa possiamo “calcolare” il valore di una vita? Tutti direbbero dalla sua “riuscita”, dalla realizzazione dei sogni che si sono coltivati fin da bambini…

Ebbene: queste due vite trovano il loro compimento nell’incontro col Cristo, e lo si contempla nello stupendo canto del “nunc dimittis” (che la Liturgia delle Ore fa pregare ogni sera a Compieta):

«Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola;
perché i miei occhi han visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli,
luce per illuminare le genti
e gloria del tuo popolo Israele»
(traduz. CEI 1974).

Ne vale la pena!

Visto che siamo in tema di candele (per la festa della Candelora), mi viene in mente un modo di dire diffuso fin dal medioevo per esprimere riprovazione di fronte a qualcosa per cui non valga la pena fare sacrifici: «il gioco non vale la candela».

Ecco, io posso dire che – invece – la vita di Simeone e Anna, la vita di Noemi, totalmente dedicate alla preghiera e all’attesa, se questo è l’esito, beh… vale la candela!