Il Maestro interiore. Solennità di Pentecoste (C)

Il Maestro interiore
Commento alle letture di domenica 5 giugno 2022

Se lo amiamo e osserviamo la Sua Parola, Dio dimora in noi, e attraverso il Suo Santo Spirito Paràclito, come un Maestro, ci istruisce dall’interno

Letture: At 2,1-11; Sal 103 (104); Rm 8,8-17; Gv 14,15-16.23-26

Meditando il vangelo di questa domenica, mi è venuto in mente un libro letto molti anni fa, che mi fece letteralmente innamorare di Sant’Agostino di Ippona: Il Maestro interiore (Testi scelti, con introduzione e commenti a cura di padre Agostino Trapè).

Me lo hanno ricordato due passaggi in particolare:

«…noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.

lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa».

Sono due promesse fatte da Gesù ai Suoi discepoli durante l’ultima cena: l’inabitazione divina e il dono dello Spirito Paràclito.

Chi abita in noi?

L’apostolo Paolo, nel brano della Lettera ai Romani che abbiamo ascoltato come seconda lettura, ripete bene tre volte

lo Spirito di Dio abita in voi.

Ma allora chi è che abita in noi?

Il Padre e il Figlio (che prendono dimora presso di noi) o lo Spirito Santo (che anche Gesù ha promesso rimarrà con noi per sempre)?

Mettendo assieme le due affermazioni (del vangelo e della seconda lettura), ci rendiamo subito conto (per quanto si tratti di un mistero e di un argomento piuttosto difficile) che dentro di noi abita Dio “tutto intero”, nel Suo essere Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo.

Dio-Trinità dimora in noi, e questo Suo abitare in noi si manifesta in modo particolare nel Suo essere quella sorta di “insegnante” interiore che ci ricorda tutte le parole di Gesù e ci insegna cose nuove, guidandoci «alla verità tutta intera» (come traduceva la versione CEI 1974 del brano di vangelo che ascolteremo domenica prossima).

Il Maestro interiore

Ecco il motivo per il quale mi è venuto in mente il grande padre della Chiesa, vescovo di Ippona: perché Agostino è il filosofo dell’interiorità, e quello del “Maestro interiore” è un tema a lui molto caro, che ha innumerevoli applicazioni che vanno dalle profondità della filosofia alle altezze della teologia.

A livello filosofico, Agostino afferma che la verità è talmente unita alla mente umana che questa non può ignorarla, perché a insegnarla è Dio stesso, Lui che è più intimo della parte più intima che è in noi (cfr il testo delle Confessioni che ho già citato domenica scorsa).

Perciò, la verità fuga il dubbio e l’errore come la luce fuga le tenebre.

A livello teologico, insiste sul fatto che lo spirito umano è immagine di Dio; un’immagine che Dio «imprime immortalmente nella sostanza immortale dell’anima» (La Trinità, XIV, 4, 6) e che nulla – nemmeno il peccato – può cancellare del tutto.

Tornare a scuola

Il tema del Maestro interiore ha anche un forte valore pedagogico: infatti, a chi vuole progredire nella sapienza Agostino chiede insistentemente di tornare in se stesso e di mettersi alla scuola di questo Maestro; imparando da esso, non si ha più alcun bisogno di maestri esterni.

Ma per ascoltarlo, occorre un grande raccoglimento dello spirito, come testimonia il severo esame di coscienza che Agostino fa su di sé nelle Confessioni (cfr X, 28.39 – 43,70; XI, 29.39).

È necessaria una difficile conversione: il passaggio dalla molteplicità in cui viviamo all’unità a cui aspiriamo. È una “trasformazione” che si può compiere solo attraverso Cristo, mediatore e Maestro interiore:

Atterrito dai miei peccati e dalla mole della mia miseria, avevo ventilato in cuor mio e meditato una fuga nella solitudine. Tu me lo impedisti, rinsaldandomi con queste parole: Cristo morì per tutti affinché i viventi non vivano più per se stessi, ma per Chi morì per loro (2Cor 5,15). Ecco, Signore, lancio in te la mia pena (cfr Sal 55,23), per vivere; contemplerò le meraviglie della tua legge (Sal 119,18). Tu sai la mia inesperienza e la mia infermità: ammaestrami (cfr Sal 143,10) e guariscimi (Sal 6,3). Il tuo unigenito, in cui sono ascosi tutti i tesori della sapienza e della scienza (Col 2,3) mi riscattò col suo sangue.

(S.Agostino, Le Confessioni, X,43.70)

A quale scuola siamo iscritti?

Tutto molto bello, viene da dire… ma noi ci crediamo a questa cosa? O, meglio, ci stiamo?

Chi ascoltiamo per prendere le decisioni importanti della nostra vita? A quale scuola ci siamo iscritti?

Chi sono – in verità – i nostri maestri, le nostre guide?

Oppure siamo degli autodidatti?

Sì, perché – parlando di “maestro interiore” – oggi si sente spesso ripetere «non fidarti di nessuno, ascolta solo il tuo cuore»…

Siamo dunque noi i maestri di noi stessi?

«Ascolta il tuo cuore»

Dobbiamo stare attenti, perché non sempre il nostro cuore è un buon maestro, anzi…

Dentro di noi, infatti, abitano non solo sentimenti buoni come l’amore e la compassione, ma anche (e troppo spesso) egoismi, rancore, odio…

Non è un caso che Gesù, nel suo insegnamento, ci abbia messo in guardia dal nostro cuore:

«dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno…» (cfr Mc 7,20-23).

Per questo motivo metto spesso alla gogna il famoso e tanto acclamato romanzo Va’ dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro

Chi sta alla plancia?

In realtà, il nostro cuore è come il ponte di comando di una nave, e al timone di una nave – si sa – ci può stare un solo “pilota”; ma spesso – invece – sono due i “pretendenti” al posto di comando.

È una guerra straziante quella che avviene dentro il nostro intimo, come ce la descrive l’apostolo Paolo:

Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto… in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio… nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato… (cfr Rm 7,15-25).

Quante volte abbiamo sperimentato questa lotta interiore?

Scegliere chi far morire

È un combattimento che ci tiene in stallo, e che non si risolverà fino a quando non decideremo di “licenziare” quella presenza ingombrante che è il nostro “io” per lasciare la guida allo Spirito Santo.

Troppo spesso, però, facciamo l’esatto contrario: tacitiamo lo Spirito e ascoltiamo solo noi stessi, i nostri istinti, le nostre pulsioni, le nostre voglie… con quali conseguenze?

Se siamo sinceri, abbiamo sperimentato più volte che cosa succede a seconda di chi lasciamo al timone della nostra vita. Ce lo dice ancora Paolo – senza mezzi termini – nella seconda lettura:

se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio.

Tantissime volte, in Confessionale, ascolto lo sfogo di persone che si sentono “morte dentro”, e – dal dialogo con loro – emerge sempre che la causa è stato il progressivo confinamento del Maestro interiore, il continuo mettere a tacere la coscienza…

Rinnegare se stessi

Per guarire da questa “morte interiore” e rinascere a nuova vita non c’è altra via che rinnegare noi stessi (cfr Lc 9,23) e lasciare in mano il timone della nostra esistenza a Dio, permettendogli di parlare al nostro cuore e istruirci.

Non è affatto facile, ma possiamo chiederlo nella preghiera, facendo nostre le parole di Sant’Agostino, che – confidandosi con Dio – gli racconta tutta la fatica della sua conversione:

O verità, lume del mio cuore, non vorrei che fossero le mie tenebre a parlarmi! Riversatomi fra gli esseri di questo mondo, la mia vita si è oscurata. Ma anche di quaggiù, di quaggiù ancora ti ho amato intensamente… ho udito alle mie spalle la tua voce che mi gridava di tornare, con stento l’ho udita per le gazzarre di uomini insoddisfatti. E ora torno riarso e anelante alla tua fonte. Nessuno me ne tenga lontano, ch’io beva e ne viva. Non sia io per me la mia vita: di me vissi male, fui morte per me, e in te rivivo: parlami, ammaestrami.

(Le Confessioni XII, 10.10) 

Non è mai troppo tardi

E non diciamo (come spesso mi capita di sentire in confessione) «ormai cosa ci posso fare? Sono fatto così… non cambierò mai…», perché – come ripete spesso Papa Francesco fin dall’inizio del suo pontificato – «Dio non si stanca di perdonare, siamo noi a stancarci di chiedere perdono».

E quando finalmente ci saremo lasciati prendere per mano dal Maestro interiore, anche noi, come Sant’Agostino – pieni di commozione – diremo:

Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai! Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo… Eri con me e io non ero con te… Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità. Balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità. Diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te. Gustai, e ho fame e sete. Mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace.

(Le Confessioni X, 27.38)