Il segreto della felicità. 3ª Domenica di Avvento (A)
La Scrittura ha la pretesa di insegnarci la “ricetta” della felicità, e lo fa senza chiedere in cambio null’altro che di fidarci di Dio e di essere costanti.
Omelia per domenica 11 dicembre 2022
Letture: Is 35,1-6.8.10; Sal 145 (146); Gc 5,7-10; Mt 11,2-11
Il titolo di oggi potrebbe sembrare il classico clickbait (“acchiappa-clic”), ma il mio intento non è certo quello di attirare furbescamente lettori delle mie omelie per poi deluderli due righe sotto il “titolone goloso”.
Non ho la ricetta dell’eterna giovinezza e nemmeno quella della felicità: ve lo dico subito, così – se per caso ci eravate cascati o avevate abboccato come dei pesci tonti – cambiate subito aria.
La “pretesa” della Parola di Dio
Come dicevo, io non ho “ricette della felicità”, ma la Parola di Dio sì, o meglio: pretende di averne, e di insegnarcele, senza nemmeno farci pagare cifre astronomiche. Pazzesco!
Ma leggiamo un po’ cosa ha da dirci la Sacra Scrittura…
Dato che siamo nella domenica gaudete, la prima lettura è tutto un invito a gioire, a rallegrarsi:
Si rallegrino il deserto e la terra arida,
esulti e fiorisca la steppa.Come fiore di narciso fiorisca;
sì, canti con gioia e con giubilo.
Ma – ditemi voi – che motivo avrebbero il deserto e la terra arida per gioire?
Chiedere al deserto di fiorire è una pretesa bell’e buona, una provocazione! Un po’ come se andassi da un barbone che dorme per strada a dirgli «stammi bene e stai al caldo, caro». Più che un augurio sarebbe una presa in giro, no?
Ha ragione chi dice che la Bibbia non è altro che un insieme di favolette campate per aria, e che la religione è l’oppio dei popoli!
Promesse da marinaio?
Più avanti, dopo altri incoraggiamenti arditi («Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio!”»), arriva anche una sfilza di promesse:
…si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.…lo zoppo salterà come un cervo,
griderà di gioia la lingua del muto…felicità perenne splenderà sul loro capo;
gioia e felicità li seguiranno
e fuggiranno tristezza e pianto.
Sembrano tutte “promesse da marinaio”, favole per bambini… Ma che roba è? Che fregatura! Altro che segreto della felicità!
Sarebbero solo parole se…
È vero: questo linguaggio è il tipico modo di parlare che – nel migliore dei casi – rimproveriamo all’ottimista incallito, e più spesso ai sognatori utopici, ma… c’è un “ma”.
Queste non sono parole umane: sono incoraggiamenti e promesse di Dio, fatte risuonare attraverso la voce di un profeta.
E sono promesse che non sono rimaste disattese, ma si sono realizzate per davvero. A mantenere la parola è stato Dio stesso, in Gesù, come ascoltiamo nel vangelo di oggi:
Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo».
Felicità solo per alcuni fortunati?
Ma anche su questo avremmo le nostre rimostranze da fare…
Primo: dalle promesse di Isaia all’avvento di Gesù sono passati ben settecento anni, mica un mesetto o due! E – nel frattempo – tutti i ciechi, gli storpi, i sordi e i muti che hanno atteso invano? Chi ha mantenuto le promesse per loro?
Secondo: passato Gesù, quanti altri ammalati e poveri del mondo sono rimasti ad aspettare e tuttora aspettano invano?
La felicità si è realizzata solo duemila anni fa, per pochi fortunati?
Un segno evidente di ciò che sarà
Dove oggi sta la felicità? Non è solo una pia illusione?
No. Dio non è venuto a vendere illusioni e miraggi: quello che l’umanità ha visto realizzato in Gesù è la rassicurazione e la prova che Dio mantiene le Sue promesse e il Suo desiderio di bene per tutti gli uomini non è solo una parola, ma è destinato a compiersi.
Quando Gesù si è reso presente con la Sua parola e le Sue opere, ha voluto far sperimentare all’umanità che nessuna attesa è vuota o vana, ma chi si fida di Dio e della Sua Parola trova sempre la realizzazione dei propri desideri.
Non sono i miracoli a fare la felicità: quelle persone guarite da Gesù si saranno nuovamente ammalate, come ogni creatura, e un giorno saranno morte… Quelle guarigioni erano solo il segno di qualcosa che si compirà definitivamente in Dio quando si realizzeranno l’incontro e la comunione definitiva con Lui.
Per questo, nella testimonianza che Gesù chiede di riportare al Battista, non sono i miracoli la cosa più importante e il segno evidente del Suo essere il Cristo (nemmeno i morti che risuscitano), ma il fatto che «ai poveri è annunciato il Vangelo».
Vivere nell’attesa costante
Quello che noi siamo chiamati a fare oggi è vivere in costante attesa del compimento definitivo delle promesse di Dio, sapendo per certo – perché l’abbiamo visto realizzato in Gesù – che la felicità non è un’illusione né un miraggio, che la religione non è una “droga” per tenere buoni gli animi esasperati.
Siamo chiamati a vivere nell’atteggiamento della costanza, che l’apostolo Giacomo ci raccomanda nella seconda lettura:
Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina …prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.
Questo è ciò che facciamo più fatica a vivere: la pazienza e la costanza nell’attesa.
Noi che viviamo sballottati nella grande “centrifuga” del mondo moderno che pretende sempre tutto e subito, siamo invitati a dare tempo al tempo, a saper attendere che le cose maturino.
Il segreto della felicità
C’è davvero – perciò – la “ricetta” della felicità, ed è molto semplice: avere fiducia in Dio e saper attendere, con costanza.
Convincerci che Dio non ci imbroglia, che non ci “vende fumo”; fidarci sempre di Lui, senza rimanere confusi o delusi se ci sembra che le Sue parole non si realizzino qui e ora, quando lo vogliamo noi:
«beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!»
Sì, «beato» (cioè “felice”) è chi non si sente imbrogliato dal Signore. È felice chi sa attendere con pazienza e costanza che le promesse di bene e felicità si compiano al momento opportuno.
Che, poi, mi pare siano consigli anche molto umani e pratici, no?
Diciamo «ogni frutto alla sua stagione» perché sappiamo bene che addentare un frutto quando è ancora acerbo ci fa solo legare la bocca, e che mangiare una mela colta dall’albero quando è matura ha tutt’altro sapore di quella raccolta acerba e invecchiata per mesi tra celle frigorifere e cassette esposte al mercato.
Il segreto lo conoscono i piccoli
C’è una gioia e una serenità anche nel saper attendere con pazienza, tanto che fior di poeti hanno lasciato intendere che il tempo dell’attesa – talvolta – è perfino più dolce di ciò che desideriamo (ad esempio Il sabato del Villaggio).
È per questo che il segreto della felicità sembra così “a portata di mano” per i piccoli, i bambini, le persone semplici: loro non si “appendono” a pretese impossibili; a loro non monta la tristezza nel cuore se gli si dice che c’è da aspettare ancora un po’…
È questo il senso della conclusione del vangelo di oggi:
«fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».