Il senso delle cose di Dio. 24ª Domenica del Tempo Ordinario (B)

Il senso delle cose di DIo

Letture: Is 50,5-9; Sal 115; Gc 2,14-18; Mc 8,27-35

Abbiamo già meditato questo episodio l’anno scorso ascoltando la versione di Matteo, e già in quell’occasione – oltre al tema del discepolato come «star dietro» all’unico Maestro che è Gesù – avevamo riflettuto sulla battaglia interiore che si svolge in quella sorta di “tribunale” che è il nostro cuore.

Anche questa volta mi voglio soffermare a meditare sulla dura risposta di Gesù a Pietro:

«Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».

Alta drammaticità

Ma – prima di addentrarmi nella riflessione – mi piace ricordare ancora una volta (col rischio di diventare noioso e ripetitivo) che il vangelo di Marco che stiamo ascoltando non è altro che il resoconto scritto della predicazione dell’apostolo Pietro.

Tenuto conto di questo, la pagina assume un tono veramente drammatico, perché ci mostra come l’ex pescatore di Galilea – che parlava ormai da “Capo degli apostoli” – non ha avuto paura o vergogna di confessare tutte le sue debolezze, neanche i suoi momenti di distanza più “siderale” dal Maestro, come in questo caso, in cui Gesù lo chiamò “Satana”, ovvero “oppositore”, “avversario”, “nemico”.

La prova provata

Non è un’annotazione di poco conto, perché – oltre a testimoniare l’umiltà profonda di Pietro e dei suoi compagni – depone a favore dell’autentica veridicità dei racconti evangelici: infatti, nessun “venditore di fumo” che stesse cercando di imbrogliare i propri lettori si presenterebbe mai così, come un testimone poco credibile!

Invece Pietro e tutti gli altri raccontano senza omissioni e senza cercare scuse, tutta la loro miseria e la loro incapacità di capire e credere in Gesù.

Chi scrive e testimonia così, rende chiaro ed evidente che l’unico scopo della sua testimonianza (e della sua vita) è proclamare non se stesso, ma la Verità di Colui che annuncia.

Facile a dirsi

Torniamo al “sondaggio” proposto da Gesù ai suoi discepoli e alla risposta di Pietro.

Per quanto meno altisonante e pomposa della formula riscritta da Matteo (cfr Mt 16,16), la risposta di Pietro è un fulmine a ciel sereno, inaspettato in mezzo a tutte le semplici dicerie della gente; è il frutto di una rivelazione divina (cfr Mt 16,17), e – a prima vista – può sembrare una grande professione di fede…

Ma non basta dire «Tu sei il Cristo», soprattutto nel vangelo di Marco.

Fin dall’inizio del secondo vangelo – infatti – i primi a proclamare apertamente l’identità di Gesù erano nientepopodimeno che gli indemoniati:

nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!» (Mc 1,23s)

Urlare in faccia ad una persona quello che si pensa (o si crede) di lei, non equivale a stabilire con quella persona un rapporto di amicizia e fiducia (come quando qualcuno mi dice: «ehi, tu, prete! Vai a predicare in un altro posto!»)

Insomma, Pietro – come da par suo – aveva parlato troppo presto, mosso dall’istinto, senza pensare al contenuto (e alle conseguenze) della propria affermazione.

Cambiar le carte in tavola

Il “Cristo” (che è la traduzione greca di “Messia”, ovvero “consacrato con l’unzione”) era un titolo ricorrente sulla bocca di tanti, e – per la maggior parte dei Giudei – incarnava il sogno di un grande personaggio mandato da Dio a “fare del bene”, in senso umano, religioso, ma soprattutto politico.

Per questo Gesù mette subito in chiaro le cose (a Pietro e agli altri), delineando un Messia del tutto diverso:

ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.

La strada per divenire Messia scelta da Gesù non era quella del potere, del successo, della gloria, ma della sottomissione alla volontà di Dio, a costo di subire la cattiveria e l’ingiustizia umana. Proprio quella descritta nella Prima Lettura da Isaia:

Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio
e io non ho opposto resistenza,
non mi sono tirato indietro.
Ho presentato il mio dorso ai flagellatori,
le mie guance a coloro che mi strappavano la barba;
non ho sottratto la faccia
agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste,
per questo non resto svergognato…

Difficile “stare al gioco”

Di fronte a questo “scoprire le carte” di Gesù, Pietro non ci sta: si sente in diritto e in dovere di rimproverare il suo Maestro, di tentare di riportarlo “coi piedi per terra”, di insegnargli come vanno le cose in questo mondo.

Siamo così anche noi, quando – di fronte alle esigenze del Vangelo – cerchiamo di adattare il volere di Dio alle nostre misure, di “ammodernare” i dettami e gli insegnamenti della Chiesa a seconda della moda e del “senso comune”:

«eh, ma adesso il mondo è cambiato! Se Gesù fosse qui oggi vorrei vedere come si comporterebbe! Dovrebbe fare i conti anche Lui con gli usi e i costumi del mondo moderno…»

Ogni volta che facciamo questo ragionamento, non solo pecchiamo di superbia (mettendoci al posto di Dio), ma dimostriamo di non aver capito nulla del mistero dell’Incarnazione: Dio si è fatto veramente e totalmente uomo, e quindi è capace di comprendere fino in fondo la nostra natura, il nostro mondo, le nostre fragilità, e anche – grazie a Dio – di guardarle con misericordia.

Avere il senso delle cose

Arrivo ora al momento centrale della mia riflessione, che prende spunto dalla traduzione letterale di Angelico Poppi nella sua Sinossi quadriforme dei quattro evangeli; anziché tradurre «tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (come il testo ufficiale CEI), il frate proponeva questa versione:

«non hai il senso delle cose di Dio, ma di quelle degli uomini».

Questa traduzione letterale del verbo greco φρονέω (fronéo – “pensare”) è molto più pregnante e illuminante, e ci aiuta a comprendere la conversione che Gesù ha proposto allora a Pietro e ai suoi discepoli (e che ripropone oggi a tutti noi).

Il significato che diamo noi al verbo “pensare” è più quello dell’avere un’opinione («io la penso così, tu la pensi diversamente»), ma qui il verbo (seguito dall’accusativo «le cose di Dio») significa – letteralmente – “riconoscere”, “scorgere”, “intendere” (vedi la definizione numero 3 al seguente dizionario online).

Perciò, non è questione di opinioni, di andar dietro al pensiero di qualcuno o di qualcun altro, di aderire a una filosofia o a un’altra, e nemmeno di omologarsi ad un pensiero “elevato” (fosse anche quello di Dio!) ma di cercare di entrare nel cuore e nella mente di Dio.

Dio ci chiede di provare a “metterci nei Suoi panni”, a vedere le cose come le vede Lui… perché Lui per primo si è “messo nei nostri panni”!

Siamo riduttivi e superficiali

E invece noi facciamo con Dio lo stesso errore che facciamo con le persone: pensiamo di conoscerle dopo averne ascoltato poche parole, e subito le “incaselliamo” dentro uno schema ben predefinito, le giudichiamo in base a delle categorie, le “etichettiamo”…

Abbiamo un atteggiamento totalmente superficiale, banale, riduttivo (cosa che ci fa montare su tutte le furie quando viene attuata nei nostri confronti).

Ma se questo è irrispettoso verso le persone, figuriamoci quanto può esserlo verso Dio, che è misterioso e infinitamente “Altro” rispetto a noi!

Chi può avere la pretesa di capire Dio, di penetrare i Suoi misteri? Scrive Paolo nella sua prima lettera ai Corinzi:

…i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio (1Cor 2,11).

Dio ci consegna le chiavi del Suo cuore

Allora perché Gesù ci chiede di entrare nel senso delle cose di Dio?

Perché è Dio stesso a darcene la possibilità! Come ogni amante dà all’amato la “chiave” del suo cuore, così ha fatto Dio con noi.

Infatti, nello stesso testo, l’Apostolo afferma:

Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì,
né mai entrarono in cuore di uomo,
Dio le ha preparate per coloro che lo amano.
Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito;
lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio.
noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato (1Cor 2,9-10.12).

Fidiamoci dell’Amore

Solo se capiamo che il nostro è un Dio che ci ama così, al punto da consegnarci le “chiavi” del Suo cuore, senza tenerci nascosto nulla, potremo accettare la pazzia della Sua proposta:

«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».

Sì: è una follia mettere da parte se stessi, caricarsi la Croce sulle spalle e cominciare a salire il Calvario… ma se si Ama per davvero si fanno pazzie, follie, le cose più insensate, perché non si ha altro tesoro che l’Amato!

Come nei grandi film strappalacrime, dove – nel momento cruciale di un pericolo mortale che incombe – un uomo dice a una donna «ti fidi di me?!» e quella risponde «sì!», perché è meno terribile perdere la vita che perdere il proprio amato:

«chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».

Fidiamoci dell’Amore, perché solo Amare ha senso.


Un piccolo racconto…

Vi lascio una piccola storiella di Bruno Ferrero:

Era una famigliola felice e viveva in una casetta di periferia. Ma una notte scoppiò nella cucina della casa un terribile incendio.

Mentre le fiamme divampavano, genitori e figli corsero fuori. In quel momento si accorsero, con infinito orrore, che mancava il più piccolo, un bambino di cinque anni. Al momento di uscire, impaurito dal ruggito delle fiamme e dal fumo acre, era tornato indietro ed era salito al piano superiore.

Che fare? Il papà e la mamma si guardarono disperati, le due sorelline cominciarono a gridare. Avventurarsi in quella fornace era ormai impossibile… E i vigili del fuoco tardavano.

Ma ecco che lassù, in alto, s’aprì la finestra della soffitta e il bambino si affacciò, urlando disperatamente: «Papà! Papà!».
Il padre accorse e gridò: «Salta giù!».

Sotto di sé il bambino vedeva solo fuoco e fumo nero, ma sentì la voce e rispose: «Papà, non ti vedo».
«Ti vedo io, e basta. Salta giù!» – urlò l’uomo.

Il bambino saltò e si ritrovò sano e salvo nelle robuste braccia del papà, che lo aveva afferrato al volo.


Non vedi Dio. Ma Lui vede te. Buttati!