Il sigillo di Dio. Solennità di Tutti i Santi

«Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono».

Il sigillo che Dio ha impresso in noi ci ricorda che la santità cui siamo chiamati non è frutto dei nostri sacrifici ma il dono più bello che potessimo ricevere

Omelia per mercoledì 1° novembre 2023

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Letture: Ap 7,2-4.9-14; Sal 23 (24); 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12

C’è un termine che ritorna diverse volte all’inizio del brano dell’Apocalisse che ascoltiamo ogni anno in questa solennità; in greco si pronuncia sfraghìs, ed è un vocabolo che significa “sigillo”, “anello per sigillare”:

...vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce…: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio».

E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele.

Il sigillo sacramentale

Questa visione dell’evangelista Giovanni ci richiama subito alla mente il gesto caratteristico dei Sacramenti del Battesimo e – in modo ancor più diretto – della Confermazione.

La Cresima, infatti, viene amministrata tracciando col Crisma un segno a forma di croce sulla fronte del battezzato mentre si pronunciano queste parole:

«Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono».

Segno di appartenenza

Nel mondo agricolo antico sfraghìs era il marchio che il padrone faceva sugli animali per indicare che gli appartenevano: erano la sua proprietà, la sua ricchezza.

Dobbiamo leggere questa allusione attraverso le immagini stupende di Gesù quando si definisce il Buon Pastore, che ci fanno capire che – in quanto Sue pecore – non siamo delle cose, ma ciò Egli ha di più caro:

«conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore… Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre» (cfr Gv 10,14-16.27-29).

Il sigillo sacramentale è segno di appartenenza a Dio: non si è più nell’anonimato né in preda del primo che arriva, ma si entra a far parte del tesoro prezioso di Dio che ci accoglie, ci fa Suoi e ci protegge, a costo della Sua stessa vita!

Segno di riconoscimento

Nel mondo militare antico sfraghìs era il segno di riconoscimento (l’uniforme, la bandiera, lo stemma) grazie al quale i soldati si riconoscevano come appartenenti a uno stesso esercito; si sentivano uniti nella comune battaglia per difendere gli stessi valori per il bene comune.

Era un segno di riconoscimento che comportava unità e solidarietà. Così, con la Cresima siamo stati associati all’esercito del Dio vivente per difendere il Suo Regno.

Segno di liberazione

Nel linguaggio biblico sfraghìs (o altri vocaboli che indicano comunque un segno distintivo) era simbolo di liberazione, come il sangue dell’agnello sugli stipiti e sull’architrave delle case, che servì da segno di distinzione tra gli Ebrei e gli Egiziani nella notte dello sterminio dei primogeniti d’Egitto (cfr Es 12,7.13).

È un segno di particolare cura e predilezione di Dio verso i giusti, così come nel libro del profeta Ezechiele, testo al quale si ispira senz’altro l’autore dell’Apocalisse:

Il Signore gli disse: «Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme, e segna un tau sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono per tutti gli abomini che vi si compiono» (cfr Ez 9,2-6).

Segno di custodia e amore

Un altro testo biblico molto bello e poetico in cui torna il termine sfraghìs è quello del Cantico dei Cantici:

Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l’amore

le sue vampe sono vampe di fuoco,
una fiamma divina!

Le grandi acque non possono spegnere l’amore
né i fiumi travolgerlo (cfr Ct 8,6-7).

Il legame con il quale Dio ci ha stretti a Sé è qualcosa di talmente forte che si può paragonare solo al fuoco inestinguibile dell’Amore.

Non è un segno esteriore, ma qualcosa che “marchia” a fuoco il nostro cuore, la nostra esistenza, e che determina un rapporto totalmente nuovo con Dio, proprio come quando tra due persone si accende nel cuore l’amore reciproco.

Segnati per sempre

Tutta questa carrellata per dire, ancora una volta, che la santità alla quale siamo chiamati e che oggi festeggiamo nella liturgia, non è anzitutto il frutto dei nostri sforzi e sacrifici, ma il dono più bello che potessimo ricevere, e che ci ricorda che siamo cari e preziosi per Dio, e lo saremo per sempre, qualsiasi cosa decideremo di fare.

Non so a voi, ma a me questa cosa fa commuovere immensamente, e pensare a questo sigillo sulla fronte e nel cuore mi fa venire voglia di vivere da santo, nonostante non sia una passeggiata.