Il terribile dubbio. 1ª Domenica di Quaresima (C)
Attraverso l’itinerario quaresimale siamo chiamati a fugare il dubbio di non essere davvero figli di Dio facendo esperienza del Suo Amore che ci precede sempre
Letture: Dt 26,4-10; Sal 90 (91); Rm 10,8-13; Lc 4,1-13
La Quaresima si apre ogni anno con il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto. Esse ruotano tutte attorno alla stessa domanda ossessiva, allo stesso dubbio:
«Se tu sei Figlio di Dio…»
Ecco perché gli evangelisti le pongono alla soglia del ministero pubblico di Gesù, perché sono in qualche modo l’anticipazione delle numerose contraddizioni che Egli dovette affrontare nel Suo itinerario, fino all’ultima grande e più violenta tentazione:
«Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce!» (Mt 27,40).
Per Cristo, con Cristo, in Cristo
Nelle tentazioni ci è rivelata l’autentica umanità di Cristo: è in completa solidarietà con l’uomo – infatti – che Egli affronta tutti gli attacchi con cui il Nemico cerca di distoglierlo dalla Sua completa obbedienza al Padre.
Perciò, questa pagina ci riguarda tutti da vicino; diceva – infatti – Sant’Agostino:
Cristo è tentato dal demonio! Ma in Cristo sei tu che sei tentato.
Le tentazioni stanno all’inizio anche del nostro cammino penitenziale: esse sono il simbolo di tutta la nostra fatica non solo ad essere dei cristiani autentici, ma anche degli autentici esseri umani, così come Dio ci ha pensati e ci ha fatti.
Il dubbio primordiale
Se ci pensiamo, anche le nostre tentazioni ruotano attorno al terribile dubbio che si riassume nella domanda posta insistentemente dal diavolo a Gesù:
«Sei veramente figlio di Dio?»
È il dubbio da cui scaturì il peccato originale, quello insinuato dal serpente nel cuore di Adamo ed Eva: che Dio non sia davvero un Padre che ti ama come un figlio, ma invece un padrone geloso delle Sue cose, che non vuole farti partecipe di quanto ti spetta di diritto (cfr Gen 3,1.4-5).
Avremo modo (nella quarta domenica di Quaresima) di vedere a quale deriva conduca questo pensiero, ascoltando la parabola del figliol prodigo (cfr Lc 15,11-32).
Riscoprirsi figli di Dio
Ma Gesù non ha bisogno di dimostrare a nessuno di essere il Figlio di Dio, né al diavolo né a se stesso.
Non ha bisogno di segni eclatanti: pietre che diventano pani, angeli che vengono a salvarti… Gesù sa perfettamente di essere Figlio di Dio, perché ha il cuore ricolmo di quella voce discesa per Lui dal cielo poco prima, mentre era al Giordano:
«Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (cfr Lc 3,21-22).
L’itinerario della Quaresima è un cammino battesimale, che ci invita a riscoprirci davvero figli di Dio, come Gesù, senza bisogno di altri “segni prodigiosi” oltre al segno dell’Amore immenso di Dio per noi: la Croce del Suo Figlio.
Non saranno la nostra bravura e il nostro impegno a liberarci dal terribile dubbio che Dio non ci voglia bene come un Padre, ma l’esperienza diretta dell’Amore di Dio che ci precede. Lui ci ama da sempre, prima della nostra conversione:
Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi (Rm 5,8).
Nel deserto con Gesù
Entriamo ora nel deserto, con Gesù, e incamminiamoci dietro a Lui per fare esperienza di questo Amore infinito che ci precede.
Cosa ci insegna questa pagina di vangelo? Cosa possiamo imparare dal nostro Maestro?
Le tentazioni non sono un peccato
Anche Gesù è stato tentato: Lui, il Figlio di Dio, colui che si è fatto in tutto uguale agli uomini, tranne che nel peccato. Quindi la tentazione – in sé – non è un peccato.
La tentazione è il momento della prova, qualcosa che fa parte della vita, e a volte è assolutamente necessario per dimostrare a noi stessi ciò in cui crediamo, ciò per cui siamo disposti a giocarci (come i sacrifici che fa un atleta per migliorarsi sempre più).
Peccato è quando – di fronte alla prova – ci lasciamo andare e scegliamo la via “più facile”: spesso, di fronte alle tante tentazioni che ci sorprendono ogni giorno (nelle forme dell’egoismo, dello scoraggiamento, dell’invidia, della delusione), siamo tentati di gettare la spugna, come se fossimo già stati vinti.
Oggi il Signore ci ricorda che la nostra libertà è sempre capace di resistere al male, basta volerlo e lasciarci aiutare (salvare), ma occorre rimanere attaccati a Lui, per evitare che il tentatore insinui in noi il dubbio che Dio ci lasci soli (non è un caso che gli appellativi usati per indicare il demonio siano diavolo – che in greco significa “divisore” – e satana, che in ebraico significa “accusatore”).
Riportare al cuore la Parola
Non dobbiamo avere dubbi che – di fronte alla nostra supplica di non abbandonarci alla tentazione – Dio risponde sempre venendo in nostro soccorso: è la Storia della Salvezza a testimoniarcelo. Ecco perché Gesù replica al diavolo con la Parola di Dio.
Questo ci insegna non tanto a usare la Bibbia come “prontuario” per ogni evenienza, quanto ad affrontare la tentazione ri-cordandoci il progetto di Dio sulla vita degli uomini, così come è raccontato nella Sacra Scrittura (l’etimologia di ri-cordare è “riportare nel cuore”).
La Parola di Dio non è un insieme di regole o precetti, ma la trascrizione della comprensione che il popolo dell’Alleanza (Israele prima e poi la Chiesa) ha avuto del progetto di Dio sull’umanità: un progetto di Amore fedele per sempre.
Se nella tentazione ci sentiamo falliti, la Parola ci ri-corda che il Padre ci ama: il Dio dell’Alleanza non è alla ricerca di uomini perfetti, ma di figli che lo riconoscano come Padre, nonostante le loro povertà.
La lotta continua
L’evangelista Luca termina il racconto delle tentazioni dicendo che
il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.
Satana tornerà al momento opportuno, come vedremo continuando ad ascoltare il Vangelo fino alla settimana di passione:
Allora Satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era uno dei Dodici. Ed egli andò a trattare con i capi dei sacerdoti e i capi delle guardie sul modo di consegnarlo a loro (Lc 22,3-4).
Siamo messi in guardia: la lotta con la tentazione è continua, non è una cosa che avviene una volta per tutte, ma ci toccherà per tutta la vita. Così è stato per Gesù, e così sarà per noi.
Per questo, dobbiamo fare nostre le parole che abbiamo ripetuto più volte al Salmo Responsoriale:
Resta con noi, Signore, nell’ora della prova.
Non è come sembra
Conoscendo già tutta la storia, verrebbe da dire che – se la prima volta sembra aver perso la battaglia – Satana, alla fine, ha vinto la guerra, facendo morire Gesù in croce ingiustamente.
Ma noi sappiamo che proprio la massima espressione di odio e di morte (la croce) in Gesù diviene massima espressione di Amore e di vita.
Non solo: proprio sulla croce, di fronte al tremendo dubbio insinuato dai suoi aguzzini («Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce!») Gesù rivela la Sua incrollabile sicurezza di essere il Figlio amato dal Padre:
«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46).
Buon cammino di Quaresima, allora, mano nella mano con Gesù, dal deserto fino alla Croce.