Incoerenti è meglio. 26ª Domenica del Tempo Ordinario (A)

Incoerenti è meglio

Se essere incoerenti significa saper ammettere di aver sbagliato, saper ritornare sui propri passi, sapersi pentire… beh: è melgio essere incoerenti, no?

Omelia per domenica 1° ottobre 2023

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Letture: Ez 18,25-28; Sal 24 (25); Fil 2,1-11; Mt 21,28-32

La parabola di questa domenica è una di quelle che cito più spesso in confessione alle moltissime persone che si accusano di vivere il loro essere cristiani come un dovere: si dolgono, cioè, di non fare le cose con amore e trasporto emotivo, ma solamente per forza e come un peso.

Il terzo figlio non c’è

Certo, a tutti piacerebbe essere l’ipotetico “terzo figlio”: quello che dice «sì» e poi fa quello che ha promesso, ma su questa terra non esiste: «Tertium non datur» dicevano gli antichi. Non a caso, nemmeno Gesù l’ha presupposto nella parabola.

Come scrive Padre Ermes Ronchi:

…abbiamo in noi un cuore che dice sì e uno che dice no. Non esiste un terzo figlio dal cuore unificato, il figlio ideale che incarna la perfetta coerenza tra il dire e il fare. Siamo persone incompiute, contradditorie…

E cita il celeberrimo passaggio di san Paolo che confessa candidamente di essere anche lui ostaggio di questa battaglia interiore:

Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto… io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio (cfr Rm 7,15-19).

L’unica eccezione

In realtà c’è stato un figlio che ha detto «sì» e poi ha compiuto la volontà del Padre, ma non era un figlio qualsiasi: era (ed è) l’Unigenito Figlio di Dio, Cristo Gesù.

Ce lo indica Paolo stesso nella seconda lettura, come orizzonte e traguardo del nostro cammino di conversione, incastonando nella sua lettera ai Filippesi lo stupendo inno cristologico che descrive la kenosis (lo svuotamento e abbassamento) di Dio in Gesù, fino alla condizione di servo e alla morte di croce.

Ma se è vero che tutti siamo chiamati ad avere in noi «gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» e a imitare il Suo esempio, intanto dobbiamo fare i conti con la nostra fragilità e il nostro egoismo, che ci fanno propendere al peccato.

Guardarsi con gli occhi di Dio

Come dicevo all’inizio, cito spesso questa parabola per confortare i penitenti con le parole di Gesù, che indica il primo figlio come esempio, perché – pur recalcitrando al comando del padre – si pente e, alla fine, compie la volontà di Dio.

Li invito, cioè, a guardarsi con gli occhi misericordiosi di Dio anziché con lo sguardo di quel censore esigente che spesso è il nostro “io”.

Dio guarda con benevolenza al cuore di chi si pente e si ravvede, come afferma Davide nel Miserere:

Uno spirito contrito è sacrificio a Dio;
un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi (Sal 51,19).

Il meglio è nemico del bene

Ma, oltre a questo, cerco di aiutarli a intravvedere in sé il subdolo tentativo del demonio di scoraggiarli nel fare il bene.

Come ci insegna Gesù, il diavolo «è menzognero e padre della menzogna» (cfr Gv 8,44): il suo scopo è quello distorcere la realtà: di farci sembrare bene ciò che è male e, viceversa, di dipingere come male il poco bene che riusciamo a fare.

In questo caso specifico, ci insinua nel cuore la convinzione che le opere buone che facciamo non valgono nulla se le facciamo lamentandoci, brontolando, o magari sentendo il peso del dovere, perché non sono fatte “alla perfezione”.

Ma questo è un inganno bell’e buono, perché – come dice il proverbio – «il meglio è nemico del bene».

È lui che ci fa credere che “il top” sia essere “coerenti”, ovvero: fare le cose solo quando si fanno come si deve, altrimenti è meglio non farle.

Il valore del pentimento

Ripeto, il nostro modello e orizzonte è Cristo, e dobbiamo cercare, per quanto è nelle nostre possibilità, di rispondere di «sì» alla chiamata del Padre sia a parole che con le opere, ma l’esempio dipinto da Gesù nella parabola odierna vuole insegnarci l’altissimo valore del pentimento.

Il primo figlio, raffigurazione simbolica dei pubblicani e delle prostitute, è indicato come esempio da imitare perché si è pentito, si è ricreduto: ha saputo ritornare sui suoi passi, mettendo a confronto la sua volontà e quella di Dio, scegliendo infine quest’ultima.

Ha saputo riconoscere il Bene, e che il comando del Padre non era un’imposizione e un dovere ma la via della vera gioia.

Incoerenti quando serve

Perciò, è meglio essere “incoerenti”, scegliendo il bene dopo averlo inizialmente “scansato”, che andare avanti a fare il male perché ormai abbiamo detto «no».

Saper tornare sui propri passi, sapersi pentire ammettendo di aver sbagliato, saper cedere al Bene, ha più valore di un «sì» di facciata.

Meglio essere dei peccatori pentiti che dei farisei, bravi solo a parole, che «dicono e non fanno» (cfr Mt 23,1-3).