Indignarsi non è sufficiente
Omelia per lunedì 17 giugno 2024
Le ingiustizie raccontate dalla Parola di Dio non servono a farci indignare, ma ci invitano a estirpare anzitutto da noi stessi le radici del male.
Letture: 1Re 21,1-16; Sal 5; Mt 5,38-42
L’episodio di cronaca nera che il Lezionario ci propone come Prima Lettura, preso a se stante, non differisce molto da tanti fatti terribili di ingiustizia e di sangue di cui sentiamo raccontare ogni giorno.
Il motivo del racconto
In realtà, il Primo Libro dei Re, lo riporta come occasione per dirci che Dio non rimane indifferente di fronte a tali vicende terribili, ma scuote la coscienza dei responsabili attraverso l’invio del Suo profeta.
Ma è il tema che tratteremo domani, continuando la lettura dei versetti successivi.
Il pane quotidiano
Per ora ci fermiamo solo su questo testo, così com’è, perché questa è la “schiscetta” che la Liturgia ci dà in dotazione per questa giornata, il nostro “pane quotidiano”, la Parola concreta che ci viene affidata per illuminare questo giorno.
Come leggere questa pagina?
Una situazione quasi comica (un re che mette il “muso” come un bambino capriccioso perché non riesce ad ottenere ciò che vuole) si trasforma in una tragedia (una moglie spregiudicata che – pur di soddisfare i capricci del suo “bambino” – è disposta a macchiarsi di qualsiasi delitto).
Come ogni fatto di cronaca, anche questa pagina si presta a diversi livelli di lettura e – conseguentemente – di reazione.
Indignarsi
La lettura più istintiva è quella distaccata, dall’esterno, con sdegnosa presa di distanza dai fatti narrati.
È facile indignarsi e prendere l’occasione per scaricare la nostra aggressività: condanniamo i personaggi in causa, erigendo un netto muro di separazione tra noi e loro.
Ma l’indignazione costa poco, e serve a poco.
Immedesimarsi
Occorre, invece, prendere atto che le radici del male affondano anche nel profondo di ciascuno di noi, che anche in noi l’egoismo sfrenato può portare ad esiti catastrofici.
Una seconda lettura, perciò, è quella introspettiva: il capriccioso Acab e la spietata Gezabele sono anche dentro di noi (come anche il povero Nabot, naturalmente).
Sapremmo dare un nome a questi “personaggi” che aleggiano nel nostro intimo?
Vittimismo e tradizionalismo (Nabot), capricci ed egoismo (Acab), sopraffazione (Gezabele)?
Interpretare il presente
Il terzo tipo di approccio è prendere il fatto come chiave di interpretazione delle dinamiche perverse del nostro mondo, delle contrapposizioni perenni che esistono tra ricchi e poveri, tra “primo” e “terzo” mondo…
Anche in questo caso non dobbiamo chiamarci fuori dall’analisi, ma sentirci parte del problema (attiva o passiva).
Siamo tutti immischiati in un mondo ingordo, obeso e tracotante, che non si fa scrupoli a soddisfare tutte le necessità fittizie, gli pseudo-bisogni tipici dell’insaziabile ingordigia consumistica, a scapito del continuo impoverimento degli ultimi e dell’intero pianeta.
Un esempio?
Nostro figlio vuole cambiare cellulare ogni tre mesi per restare alla moda e al passo coi suoi compagni? Accontentiamolo! Ce lo possiamo permettere; i nostri soldi ce li siamo guadagnati onestamente… e pazienza se, per produrlo, ci hanno lavorato dei bambini di notte in Cina, o se hanno devastato mezza Tailandia per ricavare le terre rare necessarie a confezionarne la batteria.
Indignarsi non basta
L’episodio assume i contorni di una potente parabola di giustizia economico-sociale, facendoci tornare a riflettere su quei “peccati strutturali” dentro i quali ci muoviamo più o meno consapevolmente.
Come dicevo all’inizio, indignarsi non basta, non è sufficiente, e – soprattutto – non ci è permesso denunciare il male fuori di noi se non ci siamo prima fatti un serio esame di coscienza e non abbiamo iniziato ad estirpare anzitutto in noi le radici di quel male.
La Parola di Dio a volte è un “pane amaro”, che ci incalza a convertirci, a cambiare vita.