Indossiamo le armi della luce. 1ª Domenica di Avvento (A)
Non si può attendere qualcosa in cui non si crede più. Se vogliamo davvero la pace, dobbiamo riconvertire «le lance in falci» e «indossare le armi della luce».
Omelia per domenica 27 novembre 2022
Letture: Is 2,1-5; Sal 121 (122); Rm 13,11-14; Mt 24,37-44
Iniziamo un nuovo anno liturgico, e – come ogni anno – il Tempo di Avvento ci invita a volgere lo sguardo in alto e riconsiderare tutta la nostra vita guardandone non solo la fine, ma soprattutto il fine.
Lo scopo della nostra esistenza non è stare per sempre su questa terra, ma incamminarci verso la patria celeste, «salire al monte del Signore», come dice il profeta Isaia nella prima lettura:
Alla fine dei giorni…
Verranno molti popoli e diranno:
«Venite, saliamo sul monte del Signore…»
Se non ci credi non ci speri
La parola “Avvento” porta in sé un carico di speranza, non solo in ambito religioso e liturgico: spesso – anche nel linguaggio comune – diciamo di sospirare l’avvento di una nuova era, un’era di giustizia e di pace.
Fin da bambini abbiamo imparato a dire «Non vedo l’ora che arrivi…», e le nostre speranze sono sempre state soddisfatte (che si trattasse di Santa Lucia, di Natale, delle vacanze estive).
Poi, diventando grandi, abbiamo iniziato a percepire l’attesa e la speranza come qualcosa di più labile e sempre più irrealizzabile. Perché?
Forse perché abbiamo iniziato ad attenderci cose impossibili? O – più probabilmente – perché abbiamo smesso di credere nelle cose che speriamo e desideriamo?
Come la magia di Santa Lucia finisce quando si rivela ai bambini che sono i loro genitori a portare i regali, così noi grandi smettiamo di sperare e desiderare qualcosa perché rinunciamo a crederci: un esempio su tutti? La pace.
Oggi sono esattamente nove mesi che è iniziata la guerra tra Russia e Ucraina, e – guardandomi attorno – vedo davvero poche persone che credono nella pace.
Non basta desiderare
Appunto: si sospira l’avvento di un’era di pace, ma nessuno ci crede veramente, e soprattutto nessuno fa nulla per costruirla.
Si attende sconsolati che la pace possa piovere dal cielo, e arrivare – magicamente – come la Santa Lucia e Babbo Natale…
Ma la pace non piove dalle nuvole! La pace va costruita! Come dicono le Beatitudini (cfr Mt 5,9), come ci raccomanda spesso Papa Francesco, che ci chiede di essere «artigiani di pace».
Non basta desiderarla; occorre fare di tutto per realizzarla, come ci insegna Isaia:
Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri,
delle loro lance faranno falci…
Si tratta di una vera e propria riconversione industriale, come è avvenuto in ogni dopo-guerra: tutte le energie che iniquamente si sono impiegate per creare armi di distruzione e morte, vanno riorientate verso ciò che aiuta l’uomo a costruire un mondo migliore.
L’arte della guerra
E invece, da anni si continuano ad aumentare le spese militari, confidando che le armi possano portare sicurezza, ma è l’esatto contrario, come afferma la Rete Italiana Pace e Disarmo.
Siamo tutti banditori di pace ma con la spada in mano: quante volte – anche su questo argomento – troviamo modo di litigare pesantemente e usando linguaggi violenti?
Isaia dice che
una nazione non alzerà più la spada
contro un’altra nazione,
non impareranno più l’arte della guerra,
ma noi abbiamo decine di trasmissioni che ospitano generali dell’Esercito e strateghi che spiegano come dovrebbe fare l’Ucraina per sconfiggere il nemico e che l’Italia e l’Europa devono assolutamente seguitare a mandare armi agli oppressi, altrimenti si sta dalla parte dell’oppressore.
Siamo ancora fermi e irremovibili sull’antico proverbio
Si vis pacem, para bellum («se vuoi la pace, prepara la guerra»).
L’arte della pace
Invece dobbiamo credere nella pace, e chiederla continuamente, come fa il salmista:
Chiedete pace per Gerusalemme:
vivano sicuri quelli che ti amano;
sia pace nelle tue mura,
sicurezza nei tuoi palazzi.Per i miei fratelli e i miei amici
io dirò: «Su di te sia pace!»
Ma non dobbiamo chiederla a Dio! Dobbiamo chiedercela e donarcela vicendevolmente.
Essere costruttori di pace è possibile solo se siamo disarmati, o – tutt’al più – rivestiti con le «armi della luce», come ci invita l’apostolo Paolo nella seconda lettura.
Le armi della luce
Cosa sono queste «armi della luce» di cui parla l’apostolo? Sono senz’altro quell’armatura spirituale illustrata nella lettera agli Efesini:
…attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della giustizia; i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo della pace. Afferrate sempre lo scudo della fede… prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio (cfr Ef 6,13-17).
Ma, nel passaggio della lettera ai Romani ascoltato oggi, le «armi della luce» sono anzitutto le virtù di Cristo, che dobbiamo fare nostre, svestendoci delle «opere delle tenebre», in particolare l’onestà:
«Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno».
Gesù ci invita ad essere onesti, puri (cfr Mt 5,8), trasparenti, luminosi, «figli della luce» (cfr Gv 12,36), «luce del mondo»:
«Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (cfr Mt 5,14-16).
Non aver paura di nulla
La logica di questo mondo crede di poter vincere la paura del nemico diventando più forte di lui, e quindi si è costretti a vivere nel buio, nel sospetto, nel continuo spiare le mosse dell’avversario… ma vivere così ci trasforma in esseri negativi e oscuri, quanto (e più) di quei “nemici” di cui abbiamo paura (cfr Gv 3,20).
La logica di chi crede – invece – è quella di chi non vede nemici, di chi attende carico di speranza, proprio come quella che avevamo da bambini la vigilia di Santa Lucia, quando la notte non era il luogo del buio e della paura, ma dell’attesa trepidante, quella descritta ancora dall’apostolo:
è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino.
Cristo non è un ladro
È proprio così che siamo invitati a trascorrere il tempo di attesa dell’Avvento del Signore, come una notte di veglia trepidante, e non di insonne angoscia di essere attaccati e derubati.
Per quanto Gesù utilizzi l’immagine del ladro che viene di notte a cercare di scassinare la casa, l’allusione serve solo per ribadire l’incertezza e la non conoscibilità di quell’ora, e – di conseguenza – l’invito ad essere sempre pronti e in attesa.
E anche l’immagine del contadino nel campo e della donna alla mola di cui uno viene preso e l’altro lasciato, non è la minaccia di un rapimento, ma la prefigurazione di un’assunzione al cielo, come narrato nella tradizione biblica riguardo a Enoc o Elia (cfr Gen 5,24; Sir 44,16; Sir 49,14; Eb 11,5; 2Re 2,11-12).
Perciò, «armi della luce» sono anche l’attesa carica di speranza e non di angoscia, e l’operosità del credente che non si perde in «ubriachezze… litigi e gelosie», ma si dà da fare per costruire ogni giorno un mondo di pace:
«Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni» (Mt 24,46-47).