Io credo, noi crediamo. 2ª Domenica di Pasqua (A)

Io credo, noi crediamo

Letture: At 2,42-47; Sal 117 (118); 1Pt 1,3-9; Gv 20,19-31

Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comuneOgni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo.

Questo branetto della prima lettura illumina e aiuta a capire il vangelo che ascoltiamo ogni anno la domenica dopo Pasqua.

La Chiesa dei sogni

È una situazione idilliaca, così ideale da non sembrare neanche vera.

Di fatto, sappiamo che anche la Chiesa primitiva aveva i suoi bei problemi (litigi, egoismi, gelosie etc).

Ma la descrizione fatta dagli Atti ci dà il condensato di ciò che la Chiesa è per davvero: non tanto per meriti propri, quanto per il dono dello Spirito Santo, ricevuto gratuitamente.

Dicevo che questa “pennellata” sulla Chiesa primitiva illumina il brano di vangelo odierno, perché mi sembra spiegare anche la fatica di Tommaso a credere.

Non è tanto la sua incredulità a bloccare Tommaso: anche gli altri discepoli erano increduli (e lo saranno anche dopo due o tre apparizioni del Risorto).

Egli fatica a credere perché il giorno di Pasqua era solo.

L’importanza della Comunità

L’uomo contemporaneo è malato di individualismo: è convinto che anche la religione sia un fatto privato.

Ognuno si costruisce una fede “fai da te”, a propria misura, con le proprie regole e devozioni, a seconda del bisogno e della preferenza.

Molti dicono: «io credo in Dio, ma non nella Chiesa», «io sono credente ma non praticante».

Anni fa un Parroco mio amico scelse come motto per l’Anno Pastorale la frase: «non si può essere cristiani da soli»

Gesù ha chiamato con sé dei discepoli perché stessero con Lui, per formare una famiglia:

«dove sono due o tre riuniti nel mio nome, sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20).


«Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).

Tommaso quel giorno si era “estraniato”, era “per i fatti suoi”… come se non facesse più parte della Comunità.

Traslato ai nostri giorni: aveva saltato la Messa della domenica!

Dove nasce e cresce la fede?

Solamente quando torna nel Cenacolo (il luogo della Santa Eucaristia), assieme agli altri, può incontrare Gesù e credere in Lui.

Il Signore avrebbe potuto andare a “ripescarlo” personalmente, in separata sede… invece sceglie di tornare (apposta per lui) quando Tommaso è di nuovo

  1. assieme ai suoi compagni
  2. nel Cenacolo
  3. di domenica.

È questo che il Risorto vuol fare di noi: una Comunità radunata nel Suo nome per celebrare l’Eucaristia.

Una Comunità: non tanti singoli “bravi cristiani”.

Certo che ognuno di noi dice «Io credo», ma lo si dice sempre assieme agli altri; perciò è sempre un «Noi crediamo».

La fede è un atto personale e comunitario assieme. Se manca una delle due dimensioni cessa di essere fede!

Infatti, la bella conclusione della Prima Lettura recita così:

Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.

È quello Gesù che ha fatto con Tommaso: l’ha “ri-aggiunto” al resto della Comunità, nel Cenacolo.

L’Eucaristia fa la Chiesa

Il grande teologo Henri de Lubac coniò un celebre aforisma:

«L’Eucaristia fa la Chiesa. E la Chiesa fa l’Eucaristia»

Non è un gioco di parole: è una verità limpida, preziosa, irrinunciabile.

In negativo dice che, senza la Chiesa che celebra, non c’è Eucaristia; parimenti, la Chiesa cesserebbe di esistere se non celebrasse l’Eucaristia.

In positivo afferma che l’Eucaristia rivela, edifica e plasma la Chiesa proprio mentre la Chiesa celebra, attualizza e vive l’Eucaristia.

Facendo l’Eucaristia la Chiesa realizza se stessa.

L’Eucaristia rende la Chiesa eucaristica; la Chiesa rende l’Eucaristia ecclesiale.

Abbiamo bisogno di tornare presto nel Cenacolo

Io credo (e spero) che sia per questo motivo che a noi cristiani manca tanto il poter partecipare tutti assieme alla celebrazione eucaristica in questo momento così lungo e triste di isolamento forzato dovuto alla pandemia.

Non sentiamo tanto la mancanza di un rito, di un luogo fisico, di una serie di gesti… ma dei nostri fratelli nella fede!

È come per il resto delle proibizioni che ci sono state imposte: non ci manca tanto la possibilità di andare al cinema, alla partita, al bar…

Sentiamo che vorremmo andare in quei luoghi per incontrarci, perché da soli non ci stiamo bene.

Da soli perdiamo il senso delle cose, della vita… e perdiamo la forza di credere, come Tommaso.

Per questo preghiamo il Signore che ci permetta al più presto di ritornare nel Cenacolo a celebrare l’Eucaristia tutti assieme, perché se no rischiamo davvero di perdere la fede.

E non perché Lui non ci esaudisce (scacciando il coronavirus), ma perché senza sederci alla Sua tavola assieme ai nostri fratelli rischiamo di non saperLo più riconoscere e sentire presente in mezzo a noi.

Il pericolo di una “Chiesa” virtuale

Così, infatti, metteva in guardia anche Papa Francesco l’altro ieri, durante la riflessione della Messa mattutina a Casa Santa Marta:

«Noi cristiani dobbiamo crescere in questa familiarità, che è personale ma comunitaria. Una familiarità senza comunità, senza Chiesa, senza i sacramenti, è pericolosa, può diventare una familiarità gnostica, staccata dal popolo di Dio. In questa pandemia si comunica attraverso i media, ma non si sta insieme, come accade per questa Messa.

È una situazione difficile in cui i fedeli non possono partecipare alle celebrazioni e possono fare solo la comunione spirituale. Dobbiamo uscire da questo tunnel per tornare insieme perché questa non è la Chiesa, ma una Chiesa che rischia di essere “viralizzata”.

Che il Signore ci insegni questa familiarità concreta, questa intimità con Lui, ma nella Chiesa, con i sacramenti e col santo popolo di Dio».