La bella professione di fede

La bella professione di fede

La «bella professione di fede» di Timoteo (e la nostra) si regge sulla testimonianza di fede di Gesù Cristo, fatta non di parole, ma di vita donata sulla Croce.

Omelia per sabato 23 settembre 2023

Letture: 1Tm 6,13-16; Sal 99 (100); Lc 8,4-15

La breve paginetta di oggi con cui terminiamo la lettura della prima lettera a Timoteo è strettamente legata al finale del brano ascoltato ieri, che diceva:

tu, uomo di Dio… Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni (cfr 1Tm 6,11-12).

La prima lettura di oggi inizia coi due versetti immediatamente successivi:

Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento.

Professione e testimonianza

In greco, le due espressioni che ho marcato in grassetto («bella professione di fede» e «bella testimonianza») sono scritte con le stesse due parole (tèn kalèn omologhìan).

La traduzione italiana dà – giustamente – una sfumatura diversa, perché nel caso di Timoteo la “bella omologhìa” è introdotta dal verbo “confessare” (omologhéo), invece per Gesù dal verbo “testimoniare” (marturéo), ma il legame tra le due azioni è piuttosto evidente.

La professione di fede di Timoteo si regge sulla testimonianza di fede di Gesù Cristo.

Così è per noi: la nostra professione di fede non è un insieme di affermazioni vuote imparate a memoria, ma l’assenso a una persona concreta, che per noi ha testimoniato con la vita l’Amore infinito del Padre.

Testimoniare la verità

La «bella testimonianza» di Gesù Cristo a cui Paolo fa riferimento, è quella narrata nel vangelo di Giovanni:

Pilato… fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?» …Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo…». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità» (cfr Gv 18,33-38).

Rispondendo a Pilato, Gesù usa il verbo marturéo, «dare testimonianza», che però in italiano ha dato origine al termine “martirio”, che ben sappiamo cosa significhi.

Gesù – che aveva parlato a lungo alla gente del regno dei cieli e del Padre Celeste – non si è prodigato in lunghi discorsi davanti al Sinedrio e a Pilato, tanto da suscitare la sua meraviglia del sommo sacerdote e del governatore romano (cfr Mt 26,62 e Mc 15,4).

La sua testimonianza suprema non fu di parole, ma di fatti: la vita donata sulla Croce.

Dare la vita

È sulla roccia solida di questa testimonianza suprema che tutti noi, come Timoteo, siamo chiamati a edificare la nostra vita: ricordiamocelo ogni volta che facciamo la nostra «bella professione di fede».

Professare la fede è testimoniare concretamente, è dare la vita con e come Cristo.