La fame peggiore non è quella di pane

La fame peggiore non è quella di pane
Commento alle letture di venerdì 1° luglio 2022

Letture: Am 8,4-6.9-12; Sal 118 (119); Mt 9,9-13

Oggi solo un pensiero veloce veloce, perché sono di corsa…

Anzitutto una riflessione (a mo’ di esame di coscienza) a partire dai primi versetti della prima lettura, che riprende i due temi cari al profeta Amos (l’ingiustizia sociale e la degenerazione del culto):

«Ascoltate questo,
voi che calpestate il povero
e sterminate gli umili del paese,
voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio
e si potrà vendere il grano?

E il sabato, perché si possa smerciare il frumento,
diminuendo l’efa e aumentando il siclo
e usando bilance false…»

È qui la festa?

Chiediamoci se anche in noi non ci sia un po’ di quella smania di “trafficare” che ci fa percepire la festa, la domenica, le solennità e le ricorrenze religiose non come un dono che il Signore ci fa per riposare e gioire con Lui, ma solo un intralcio ai nostri “affari” (tra l’altro, non sempre del tutto “onesti” e “cristiani”, anche se – speriamo – non così malvagi come quelli descritti da Amos).

Quante volte partecipiamo alle celebrazioni con l’occhio all’orologio, o ci lamentiamo che il prete «la tiene troppo lunga»?

Stare col Signore (e coi fratelli) per celebrare la nostra fede è una gioia o un peso? Un appuntamento atteso o una “tassa” da pagare?

Paura de che?

Andando avanti a leggere, troviamo una bella sfilza di minacce divine…

Lo dicevo già nei giorni scorsi: noi ci lasciamo subito impressionare dalle profezie e previsioni catastrofiche, ci facciamo catturare l’attenzione dalle cose apparentemente più eclatanti, come ad esempio:

«…farò tramontare il sole a mezzogiorno
e oscurerò la terra in pieno giorno!
»

Parole spaventose, sì, ma è un tipo di linguaggio, un genere letterario, e – come ho detto più volte – «parola di Dio scritta da uomini».

Le parole che più dovrebbero “impaurirci” sono – invece – quelle che seguono:

«Ecco, verranno giorni…
in cui manderò la fame nel paese;
non fame di pane né sete di acqua,
ma di ascoltare le parole del Signore».

La fame più tremenda

Questa è la fame che dovrebbe preoccuparci: non quella di cibo (come magari succede in questi giorni, tra crisi del grano ucraino e siccità), ma quella della Parola di Dio, della Sua voce, della Sua presenza.

E il profeta commenta rincarando la dose:

Allora andranno errando da un mare all’altro
vagheranno da settentrione a oriente,
per cercare la parola del Signore,
ma non la troveranno.

Badate bene: non è Dio che fa “l’arrabbiato” (come i bambini capricciosi al campetto che – se non si fanno le cose come dicono loro – se ne vanno portando via il pallone e dicendo: «Tiè! Così non giocate più nemmeno voi!»), ma l’uomo che smarrisce la strada verso il cielo a forza di rifiutarlo.

A forza di rifiutare Dio…

Lo dicevo già diversi giorni fa: se cacciamo fuori Dio dalla nostra vita, cos’altro possiamo aspettarci se non di rimanere soli? Di non saper più nemmeno dove trovarlo, come pregare, in cosa credere?

Faremo la stessa fine dei farisei del vangelo di oggi (che – per l’ennesima volta – si stupiscono e lamentano che Gesù stia con pubblicani e peccatori): a forza di cercarlo nel posto sbagliato, di credere che il Signore sia solo il Dio dei santi, dei “duri e puri”, non lo troveranno più.

Quando ne avranno veramente bisogno (perché si renderanno conto della loro povertà e del loro peccato), non lo sapranno più trovare, e sarà davvero una tragedia, la tragedia del morir di “fame”:

vagheranno da settentrione a oriente,
per cercare la parola del Signore,
ma non la troveranno
.