La pazienza di Giobbe

La pazienza di Giobbe

La pazienza è resa “sensata” se è vissuta come il tempo della fedele attesa della venuta del Signore, ricco di misericordia e di compassione.

Omelia per venerdì 24 maggio 2024

Letture: Gc 5,9-12; Sal 102 (103); Mc 10,1-12

Se avete buona memoria, vi ricorderete che Giacomo aveva già parlato di pazienza, proprio all’inizio della sua Lettera:

Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la vostra fede, messa alla prova, produce pazienza (Gc 1,2-3).

È il testo che abbiamo ascoltato e meditato a metà febbraio, due giorni prima dell’inizio della Quaresima.

La prova produce la pazienza

Proprio commentando quel brano vi dicevo che “pazienza”, nel linguaggio cristiano, viene da “patire” (non da “pazientare”), ed è la virtù di saper affrontare con fede la sofferenza e le prove, rendendole mezzo di donazione di sé.

Dicevo anche che a nessuno piace far fatica o provare dolore fisico, eppure molti atleti si sottopongono a ogni sorta di sforzo e privazione per ottenere risultati sportivi importanti.

Modelli di pazienza

Nel brano di oggi, oltre a raccomandarci la pazienza per non diventare delle “pentole di fagioli” lamentandoci gli uni degli altri, Giacomo ci suggerisce di prendere a modello di sopportazione e di costanza i profeti.

Si riferisce senz’altro alla capacità di sopportare le sofferenze (pensiamo alla proverbiale resilienza di Geremia o del Servo di Jahvè che abbiamo contemplato nella Settimana Santa leggendo Isaia), ma anche – e soprattutto – alla capacità profetica di sapere che il giudice è alle porte.

La pazienza è resa “sensata” se è vissuta come il tempo della fedele attesa della venuta del Signore.

Le tante venute del Signore

La venuta finale del Signore alla fine dei tempi (la parusia) è l’orizzonte di ogni credente, ma tutta la nostra vita è caratterizzata da continue “venute” del Signore.

Quindi, anche le sofferenze momentanee (quelle causate da malattie che possono guarire, o da dolori spirituali che possono essere superati) sono da vivere in attesa della ricompensa, come Giobbe,1 che sapeva che il Signore è ricco di misericordia e di compassione.

I veri discepoli

I veri discepoli del Risorto, perciò, devono dar prova della loro fiducia in Dio attendendo la Sua venuta nell’amore vicendevole, nella pazienza e nella fedeltà.

I litigi, le contese, il pessimismo e lo scoraggiamento, non sono solo aspetti di un brutto carattere o di poca resilienza psichica, ma il frutto di una sostanziale mancanza di fiducia in Dio e nelle Sue promesse.

Anche con uno sguardo paziente verso il futuro il cristiano può dare una testimonianza profetica nel mondo di oggi, devastato dalla guerra e dell’ingiustizia.

  1. «Giobbe si alzò e si stracciò il mantello; si rase il capo, cadde a terra, si prostrò e disse: “Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!”. In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di ingiusto» (cfr Gb 1,6-22). ↩︎