La porta stretta. 21ª Domenica del Tempo Ordinario (C)

La porta stretta

La porta del Regno è Gesù, e non è “stretta” a causa del Suo essere esigente con noi, ma del nostro “ingrassare” nell’orgoglio e nella supponenza.

Omelia per domenica 21 agosto 2022

Letture: Is 66,18-21; Sal 116 (117); Eb 12,5-7.11-13; Lc 13,22-30

È una “gara”, una “lotta”, quella a cui invita Gesù quando ci parla di salvezza.

Infatti, il verbo «sforzatevi (di entrare per la porta stretta)» in greco è ἀγωνίζομαι (agonìzomai), che significa – letteralmente – «gareggiare, contrastare, lottare, combattere, specialmente nei giuochi pubblici».

È lo stesso vocabolo che usa l’apostolo Paolo quando – scrivendo a Timoteo – confida di essere ormai giunto al termine del suo ministero e della sua vita:

Ho combattuto la buona battaglia (τὸν καλὸν ἀγῶνα ἠγώνισμαι), ho terminato la corsa, ho conservato la fede (cfr 2Tm 4,6-8).

Domanda sbagliata

L’immagine del “fare a cazzotti” per riuscire a entrare nel Regno dei cieli sembra corroborata dal seguito della frase di ammonimento di Gesù:

«…perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno».

Ma è davvero così difficile salvarsi? Bisogna davvero “sgomitare”?

Fermi tutti! Questa domanda è sbagliata!

Infatti, è quasi la stessa del “tale” del vangelo di oggi, che incrociò Gesù nel Suo cammino verso Gerusalemme.

Capiamo che è sbagliata dal fatto che Gesù non risponde, ma invita preoccuparsi di altro.

La questione fondamentale non è «sono pochi quelli che si salvano? È difficile salvarsi?», ma piuttosto

«cosa devo fare io per avere la vita eterna?»

Vi risulta famigliare questo interrogativo?

Avete indovinato: è proprio la domanda che posero a Gesù il “giovane ricco” (cfr Mc 10,17 e Lc 18,18) e il dottore della Legge (cfr Lc 10,25).

Questione di vita o di morte

Quando si parla di salvezza non lo si può fare come se fosse un “argomento da bar”, un sondaggio popolare, un’arida statistica, ma rendendosi conto che è la questione delle questioni, la domanda della vita!

Potrebbero essere anche tantissimi i salvati, ma se in quel “tantissimi” non sei compreso anche tu, cosa ti importa conoscerne il numero?

Vuoi guardarli passare da spettatore, da “cronista”, oppure poter affermare con orgoglio «io c’ero!»?

Alla curiosità del tale che lo interroga, è come se Gesù rispondesse: «ma tu… tu ti vuoi salvare?»

Anzi, di più: «sforzati e fai di tutto per essere nel numero di quelli che siederanno a mensa nel Regno di Dio!»

Ma noi – purtroppo – siamo così: quando si parla di qualcosa, anche di importante, ne parliamo sempre in terza persona, senza farci coinvolgere, come se riguardasse sempre e solo gli altri. Non vogliamo “sporcarci le mani”.

«Chiedo per un amico»

Siamo bravissimi a “misurare” e giudicare gli altri, ma non mettiamo mai noi stessi sotto la lente di ingrandimento.

Non siamo capaci di parlare di noi stessi, di «guardare nel nostro piatto», o preferiamo non farlo.

È un po’ come la battuta che va di moda in questi ultimi anni, quando – dopo aver posto una questione scottante o imbarazzante – si aggiunge, quasi scherzando, «chiedo per un amico».

Ma qui si tratta di noi: la porta stretta non è solo da guardare con curiosità, ma da varcare.

Altrimenti arriveranno altri, anche all’ultimo momento, ed entreranno al nostro posto, e sarà inutile lamentarsi e vantare il merito di essere lì da prima, perché sarà solo colpa del nostro pressapochismo e attendismo:

«Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

Minimo sforzo, massimo rendimento

O forse vogliamo solo scuriosare per intuire le “dimensioni” del “cerchio” e capire quanto impegno occorra per farne parte col minimo sforzo possibile…

Insomma, una salvezza al prezzo di saldi di fine stagione: quella dei “cristiani della domenica” che si rifugiano dietro al solito «a Messa sono sempre andato, le preghiere ogni tanto le dico… cosa devo fare di più?»

Proprio come quelli dell’esempio di Gesù:

“Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”.

Un atteggiamento abbastanza mediocre: non è sicuramente la strada scelta dai santi.

Presunzione di salvarsi senza merito

Forse – peggio ancora – poniamo la stessa domanda del tale con l’intima sicurezza di essere comunque – di diritto – tra quei «pochi che si salvano», proprio in ragione del nostro essere “cristiani praticanti”, o impegnati in Parrocchia?

Sarebbe una presunzione enorme!

E infatti ci pensa subito Gesù a spegnerla sul nascere:

«Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete… Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”»

Non basta aver sentito parlare di Gesù, “bazzicare” in chiesa, “fare numero” tra i banchi… bisogna prenderlo sul serio, stabilendo con Lui un rapporto di conoscenza vera.

Le giuste conoscenze

Quel “non so di dove siete” suona lugubre quanto il «non vi conosco» rivolto alle cinque vergini stolte della parabola matteana (cfr Mt 25,1-13).

In un mondo come il nostro, fatto di raccomandazioni e bustarelle, per accedere a qualsiasi posto che conti occorrono le giuste conoscenze: persone altolocate, amici di personaggi famosi, etc…

Ma nel Regno di Dio non funziona così: l’unica “conoscenza” che occorre avere è quella diretta del padrone di casa, e non una conoscenza per sentito dire (“Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza”) ma una conoscenza personale e sincera, basata su un rapporto di amicizia e confidenza.

Quella che si ottiene solo mettendosi umilmente sotto il Suo sguardo e lasciandosi “trapassare” dalla Sua Luce:

Signore, tu mi scruti e mi conosci…
intendi da lontano i miei pensieri
(cfr Sal 139).

Quella sperimentata da Simon Pietro:

«Signore, tu conosci tutto…» (cfr Gv 21,15-19).

Quella che molti non permetteranno mai – purtroppo – avendo passato tutta la vita a fare le cose di nascosto, dicendo «qui la fede non c’entra, qui Dio non deve ficcare il naso, perché è la mia vita»…

Larga o stretta?

L’ammonimento di Gesù di sforzarsi di entrare per la porta stretta si trova anche nel vangelo di Matteo:

«Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!» (Mt 7,13-14)

Il contesto – però – è tutt’altro. Siamo nel bel mezzo del Discorso della Montagna, e questa esortazione segue immediatamente la regola d’oro:

«Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti» (Mt 7,12).

È una regola basata su un’altra ancora più stringente, che fa da perno a tutto l’insegnamento di Gesù:

«Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48).

La misura di questa porta che dobbiamo sforzarci di varcare è Dio stesso, anzi, è Gesù.

«Io sono la porta»

Nel vangelo di Giovanni troviamo, infatti, questa espressione:

«Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato» (cfr Gv 10,1-10).

Non c’è altro modo per entrare nel Regno di Dio che passare attraverso Cristo:

«chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante» (Gv 10,1).

Non si può pensare di salvarsi da soli, di meritarsi la salvezza, e soprattutto di “guadagnarsela” per altra via che non sia quella tracciata da Cristo Gesù:

«uno solo è il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (cfr 1Tim 2,5-6).

Occorre una dieta dimagrante

La porta del Regno non è stretta perché Dio è esigente e inflessibile, ma perché essa ha la misura dell’umiliazione della Croce abbracciata da Cristo. Per entrarvi, Cristo stesso ha dovuto «sforzarsi», “lottare”:

Entrato nella lotta (in greco ἀγωνία – agonìa), pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra (cfr Lc 22,44).

La lotta attraverso cui Gesù è passato – e dalla quale dobbiamo passare anche noi – è quella della Sua sofferenza.

Noi – invece – siamo troppo tronfi e “obesi” del nostro orgoglio e della nostra supponenza.

Il nostro modo di parlare delle cose di Dio (anche da parte di noi preti) denota spesso una spocchia insopportabile, come se fossero cose scontate e “alla nostra portata”.

Ma la Vita Eterna è solo Dono e Grazia da accogliere, non certo una merce che possiamo acquistare o trafficare come facciamo con le cose del mondo.

Se vogliamo riuscire ad entrare per questa porta stretta, abbiamo bisogno di una forte dieta a base di umiltà, che faccia “dimagrire” il nostro “io” e lo conformi alla persona di Gesù:

«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9,23);


«Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29).