La speranza non delude. Commemorazione di tutti i fedeli defunti

La speranza non delude

Il 2 novembre per noi credenti non è giorno di nostalgico ricordo, ma di reciproco invito alla speranza che non delude: quella in Cristo, che ha vinto la morte.

Omelia per mercoledì 2 novembre 2022

Letture: Gb 19,1.23-27; Sal 26 (27); Rm 5,5-11; Gv 6,37-40

Quella di oggi per noi credenti non è una giornata di nostalgia e lacrime, ma di invito reciproco alla speranza.

Non a caso, la Chiesa ha scelto di celebrare questa ricorrenza nel giorno immediatamente successivo alla solennità di Ognissanti, perché lo sguardo deve essere lo stesso: la fede nella risurrezione e nella comune destinazione alla vita eterna di ogni uomo in quanto figlio di Dio.

La morte non è uno scherzo

Che la morte non sia uno scherzo e non vada né esorcizzata né edulcorata l’ho detto più volte (anche in una riflessione di tre anni fa): perfino Dio l’ha presa così sul serio da sceglierla come misterioso e necessario “luogo” della nostra redenzione.

Umanamente, pensare alla nostra morte ci angoscia, e ricordare quella dei nostri cari ci rattrista.

È stato così anche per Gesù, il Figlio unigenito di Dio: davanti al pensiero della propria morte imminente ha provato tristezza e angoscia (cfr Mt 26,37), e davanti alla morte dei suoi cari ha pianto (cfr Gv 11,32-35).

La prima “carezza” di speranza che riceviamo oggi è proprio questa: che Dio si è fatto uomo per non lasciarci soli nel momento più angoscioso e triste della nostra vita.

Dio ci è solidale fino in fondo

La seconda carezza che Dio ci dona è quella del modo concreto che ha scelto per starci vicino nel momento più intenso della nostra vita: non si è accontentato di esserci accanto nell’ora della morte (che è già la forma più bella che umanamente anche noi possiamo realizzare coi nostri cari quando vivono la loro agonia), ma ha scelto di condividere in tutto e per tutto la nostra sorte mortale.

Cristo – che poteva scegliere un altro modo per redimerci dal peccato – ha scelto di andare incontro alla morte e abbracciarla come mezzo altissimo di offerta e dono totale di sé.

Facendosi uomo e condividendo la stessa sorte di ogni creatura mortale, Cristo ha sconfitto la morte: l’ha trasfigurata in modo che non fosse più strumento di separazione e sofferenza, ma di unione definitiva con Dio, nella Sua stessa vita eterna e gloriosa.

Un Dono che si rinnova ogni giorno

La morte in croce è un gesto che Cristo ha compiuto una volta per tutte, ma che si perpetua ogni volta che celebriamo la Santa Eucaristia: sull’altare – tutte le volte che il sacerdote pronuncia le parole dette da Gesù nell’ultima cena – si rende vivo e presente il sacrificio di Cristo, che si rinnova in pienezza (anche se in modo incruento).

In ogni Santa Eucaristia Cristo offre la Sua vita per noi, consegnandoci il Suo Corpo e versando il Suo Sangue.

Ecco perché in ogni Eucaristia (e non solo in questa giornata particolare), da tempo immemore, la Chiesa prega per i suoi defunti e offre sante Messe in suffragio per loro.

La “speranza” umana

È per questo che la speranza cristiana è totalmente “di un’altra pasta” rispetto al semplice sentimento umano.

Oggi siamo abituati a considerare la speranza come “l’ultima spiaggia” e – purtroppo – abbiamo segnato anche il nostro linguaggio distorcendo profondamente questa parola con detti e proverbi che hanno tutto fuorché un tenore di fede.

Proviamo a pensare al senso di profonda sfiducia e rassegnazione che mettiamo nel dire «speriamo che vada tutto bene…», «non ci resta altro che sperare…», «eh, aspetta e spera…», fino ad espressioni piuttosto volgari tipo «chi visse sperando…»

Non è vera speranza questa! Anzi: è un sentimento che sottende una visione di Dio totalmente distorta, come se il Signore fosse uno che vuole e desidera sempre il contrario di quello in cui noi speriamo!

La speranza cristiana

Paolo, all’inizio del brano che ascoltiamo nella seconda lettura, ci dice che «la speranza non delude», e ce ne spiega il motivo:

perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.

La speranza cristiana è una virtù teologale: non è frutto del nostro sforzo, ma è dono di Dio e si fonda nella Sua fedeltà, nel Suo Amore infinito per noi.

Non è questione di fortuna o destino (che sono divinità pagane), ma di una fede fondata sulla roccia che è Cristo, il quale «mentre eravamo ancora peccatori, è morto per noi».

Un Amore che arriva a donare totalmente se stesso: non c’è prova più grande che possa rafforzare la speranza e tradurla in certezza!

Noi speriamo… noi crediamo!

Ecco perché la speranza che già si intravede nei testi dell’Antico Testamento proposti per la Liturgia di oggi (quella di Giobbe nella prima lettura e del salmista nel Salmo Responsoriale) diventa fede certa nel vangelo, perché fondata su una parola assolutamente credibile e promettente:

«questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno… che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Perciò, in questo giorno (e ogni volta che celebriamo l’Eucaristia) siamo invitati a rinnovare la speranza nella risurrezione e ad accrescere sempre più la nostra fede finché la speranza si traduca in certezza:

Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso (Eb 10,23).