La tempesta necessaria. 12ª Domenica del Tempo Ordinario (B)

La tempesta necessaria

Passata la tempesta il Signore ci spinge di nuovo in mare, verso nuovi pericoli, perché non abbiamo ancora imparato “la lezione”: dobbiamo crescere nella fede.

Letture: Gb 38,1.8-11; Sal 107; 2Cor 5,14-17; Mc 4,35-41

Questa domenica torna un brano che credo (e spero) ci sia rimasto nel cuore da quella indimenticabile e angosciosa sera del 27 marzo 2020, quando il Papa lo commentò in una bellissima omelia, davanti ad una Piazza San Pietro deserta:

«Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: “Siamo perduti”».

In quel momento ci sembrava davvero di essere in una tempesta, senza più alcuna certezza, e con la paura di colare a picco.

Crediamo di essere fuori pericolo?

A quindici mesi da quel momento di puro terrore e sgomento, come stiamo messi?

L’abbiamo semplicemente “scampata”?

Ci siamo resi conto di quello che è successo? Abbiamo imparato qualcosa?

Oppure siamo “punto e a capo”, e non vediamo l’ora che tutto torni come prima?

A me (che sono pessimista di carattere – ormai lo sapete) pare di vedere le stesse scene dell’estate scorsa, del “liberi tutti”, anzi, peggio, perché adesso abbiamo il vaccino, e quindi ci sentiamo davvero immuni, invincibili.

Già quella sera il Papa ci faceva riflettere:

«Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato».

E adesso mi sembra che ci risiamo… non abbiamo imparato nulla, anzi: ci siamo convinti ancora di più di essere dei supereroi, indistruttibili, capaci di trovare sempre la soluzione a tutto!

Poco importa se – nel frattempo – in Brasile, Bolivia, Colombia, India e in tutto il Sud del mondo le persone cadono come birilli… i TG non ne parlano nemmeno più! Tanto noi siamo a posto!

Auguriamoci che non ci sia bisogno di una quarta e quinta ondata causata da nuove varianti del virus (che nascono proprio dal fregarcene bellamente dei poveri e dal non dare loro vaccini e cure adeguati) per farci ricredere a breve…

Si salvi chi può

Crediamo di essere bravi perché in pochissimi mesi abbiamo messo a punto vaccini (più o meno efficaci) che ci permettono di avere il “lasciapassare” per fare tutto quello che vogliamo e a cui teniamo di più (sostanzialmente: divertirci ed essere “liberi”).

E chi non può permettersi un vaccino, un tampone?

Ah… beh… quelli si arrangiano! Anzi: chiudiamo ben bene i porti (ai migranti) e gli aeroporti (ai paesi poveri e “pericolosi” come India, Pakistan e Bangladesh… magari un po’ anche agli Inglesi, brutti e cattivi adesso che sono “fuori dall’Europa”, ma solo per 5 giorni, altrimenti non portano soldi al nostro settore turistico).

Abbiamo imparato proprio bene, non a salvarci tutti assieme (come da tempo Papa Francesco ci raccomanda), ma solo chi arriva prima a prendere la scialuppa, ad afferrare il salvagente.

«Passiamo all’altra riva»

Da tutto questo torpore egoistico dal quale dovevamo svegliarci (e nel quale invece stiamo ripiombando ancor più di prima) il Signore ci vuole scuotere con la Sua Parola; anche a noi – come ai discepoli – intima: «Passiamo all’altra riva».

Pietro e i suoi compari sapevano bene quali insidie stavano dietro l’angolo: erano gente esperta di quel lago così grande da essere chiamato “mare”; ci erano nati e cresciuti, e vi avevano lavorato fino a poco tempo prima di incontrare quello strano Maestro…

Andare un po’ al largo a pescare di notte era il loro mestiere, ma sempre mai troppo lontani dalla riva… Invece, cercare di attraversare il lago era un azzardo, perché – proprio per la sua conformazione orografica – era spesso soggetto a tempeste serali e notturne.

Ma – tant’è – lo sappiamo come era fatto il nostro apostolo Pietro: piuttosto che cedere davanti ad una sfida si sarebbe tagliato una mano. E poi era anche dotato di slanci di fiducia, come ci testimonia Luca:

«Quando ebbe finito di parlare, (Gesù) disse a Simone: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”. Simone rispose: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”» (Lc 5,4-5).

Anche per noi “passare all’altra riva” è sinonimo simbolico del cambiare tutto, la rappresentazione allegorica del travagliato pellegrinaggio dell’intera nostra esistenza: un viaggio pieno di incognite, ostacoli da affrontare, sicurezze da abbandonare…

L’esodo necessario

Ma allora, Signore, perché dovremmo “cacciarci nei casini” proprio adesso che vorremmo “riposare sugli allori” e goderci la riconquistata libertà? Non ce ne sono abbastanza di problemi nella vita per andare a cercarsene altri? Non sono bastati sedici mesi di pandemia?

«Partire è un po’ morire» scriveva Edmond Haraucourt… per questo a nessuno piacciono i cambiamenti, soprattutto se si possono evitare o non sono strettamente necessari. Soprattutto quando ce ne sono stati già troppi e vorremmo solo starcene un po’ tranquilli.

Ma – come dicevo sopra – pare che la pandemia non ci abbia “intaccato” più di tanto; e – se è vero che Dio non manda prove e disgrazie per metterci alla prova e farci capire il senso della vita – è assolutamente vero che Dio ci mette continuamente “alla prova”.

Egli continua a metterci di fronte a noi stessi per saggiare se ci fidiamo di Lui o no.

Così ha fatto col Suo popolo facendogli attraversare il Mar Rosso e poi intraprendere l’Esodo, un cammino impegnativo di quarant’anni fatto di continue tensioni tra l’alleanza fedele di Dio e le tante promesse disattese da Israele:

«il Signore disse a Mosè: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge”» (Es 16,4).

La traversata è necessaria, è la conversione quotidiana senza la quale non possiamo che trovarci impreparati nel momento della prova estrema (come è successo nel caso di questa pandemia, e come succede ogni volta che una disgrazia o un grande dolore vengono a bussare alla nostra vita se non ci eravamo preparati prima, giorno per giorno).

Credere di essere capaci da soli

Il cammino di conversione, però, non è una “scuola da autodidatta”: non si può intraprendere da soli e poi – una volta finito di leggere il bigino – dire «adesso sono pronto».

Conversione è un continuo confrontarci col Signore: non si possono affrontare i problemi e le cose della nostra vita come se il Signore non c’entrasse, o chiamandolo in causa solo quando si tratta di “cose di chiesa”…

Altrimenti rischiamo di fare anche noi la stessa fine di Pietro e degli altri, che hanno preso Gesù sulla barca come un semplice “passeggero”, pensando di sapersela cavare da soli:

«lo presero con sé, così com’era, nella barca».

Se siamo cristiani, dobbiamo “imbarcarci” consapevoli che Gesù non è solo “uno dei tanti passeggeri” della nostra vita, ma è Colui che va messo al timone!

Se no è ipocrita andare a svegliarlo quando arriva la tempesta e iniziamo ad imbarcare acqua, per urlargli in faccia «non t’importa che siamo perduti?»

È da pagani tirarlo in ballo solo quando ormai «non si sa più che santi chiamare»! Non si può vivere sempre senza Dio e poi attribuirgli tutte le responsabilità quando la situazione ci sfugge di mano!

Proprio come ci ricordava il Papa in quella sera così angosciosa:

«Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore!”».

Dio non dorme mai

Dopo aver “rotto il vaso” noi diamo sempre la colpa a Dio e vogliamo pure che si tenga i cocci. La scusa che ci inventiamo è – appunto – che Dio dorme, che si è disinteressato completamente di noi e del mondo.

In questo atteggiamento è caduto anche Pietro (ricordiamoci che stiamo leggendo Marco, che non è altro che lo “scrivano” di Pietro): solo lui annota il particolare di Gesù abbarbicato comodamente sul cuscino.

Ma Dio non dorme mai, come ricordavo domenica scorsa, e – se anche Gesù dormisse (come nel brano odierno) – è solo perché completamente fiducioso nel Padre, come ci ricordava Papa Francesco quella sera.

La prova della fede

Torniamo alla necessità della conversione, della “traversata”: perché proprio questo simbolo dell’attraversare il mare?

Agli Ebrei il mare non piaceva affatto: lo temevano come l’emblema del caos, del disordine primordiale (cfr Gen 1,2), del male: il luogo dove abitavano tremendi mostri marini, in particolare il Leviatàn (cfr Is 27,1).

Nella Bibbia il mare – come il deserto – è il condensato della prova: il luogo (la condizione) dove è impossibile sopravvivere se non affidandosi a Dio.

Ecco perché – prima del Suo ministero pubblico – «lo Spirito spinse con forza Gesù nel deserto», come ricordavo nella 1ª Domenica di Quaresima.

Gesù obbliga anche i suoi discepoli a compiere la necessaria traversata per metterli alla prova e saggiare la loro fede (il verbo «costringere» riferito all’attraversamento del lago è riportato in Mc 6,45 e Mt 14,22).

Ecco perché – dopo aver calmato la tempesta – se ne esce con quella domanda:

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?»

Dio è padrone del mare

No, decisamente non hanno ancora fede, pur avendo assistito a diversi miracoli e prodigi. Lo si capisce chiaramente dalla domanda che si fanno l’un l’altro:

«Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?»

Nemmeno questo grande miracolo li aiuta a capire chi è Gesù, anche se la Scrittura li avrebbe dovuti condurre immediatamente alla soluzione dell’enigma. Quella domanda poteva avere una sola risposta: «Dio»!

Infatti, è Dio che – fin dal primo giorno della creazione – trasforma il caos (disordine) iniziale in còsmos (ordine):

«La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acqueDio disse: “Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un unico luogo e appaia l’asciutto”. E così avvenne. Dio chiamò l’asciutto terra, mentre chiamò la massa delle acque mare» (Gen 1,2.9-10).

Così ci ricorda anche la prima lettura, un piccolo brano della stupenda risposta-domanda di Dio a Giobbe:

«Chi ha chiuso tra due porte il mare
quando usciva impetuoso dal seno materno…
quando gli ho fissato un limite…
dicendo: “Fin qui giungerai e non oltre
e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde”?».

Infine, anche dei semplici pescatori di Galilea conoscevano a memoria il glorioso racconto dell’uscita dall’Egitto col passaggio attraverso il Mar Rosso:

«Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare sull’asciutto, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra» (Es 14,21-22).

E chissà quante volte avranno detto «la tempesta fu ridotta al silenzio», pregando il Salmo della Liturgia odierna! Ma – tant’è – erano anche loro come noi: davanti all’evidenza dell’intervento di Dio rimaniamo scettici e increduli, incapaci di aprirci alla fede.

Dio sconfigge il male

Il linguaggio usato da Marco per descrivere l’intervento prodigioso di Gesù nel sedare la tempesta non è casuale: per dire che Gesù «minaccia il vento» utilizza lo stesso verbo usato nel primo esorcismo compiuto nella sinagoga di Cafarnao per indicare il comando imperioso verso lo spirito impuro ad uscire dall’uomo posseduto (cfr Mc 1,23-25).

E infatti – anche in quell’occasione – la reazione della folla fu di stupore:

«Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!”» (Mc 1,27).

Quante volte ci troviamo davanti alle opere grandi di Dio che sconfigge il male nella nostra vita e ci fermiamo – stupiti e inebetiti – a domandarci chi sia stato mai a “risolvere la questione”, magari attribuendo il tutto al caso, alla fortuna…

Questo significa non avere fede: leggere la realtà che ci circonda e la nostra vita come se Dio non ci fosse o non c’entrasse nulla con quello che succede.

Siamo così: dei bambini capricciosi, degli ingrati che attribuiscono a sé tutte le cose che vanno bene, e accusano Dio di ciò che non sanno risolvere da soli o non riescono a spiegarsi.

Se arriva la pandemia «è colpa di Dio», ma se si scoprono i vaccini «è merito della scienza», o no?

La quiete dopo la tempesta

Vi ho detto che Dio ci mette sempre alla prova, ma è anche vero che – quando lo invochiamo – dalla prova ci libera, e tutto torna in una condizione di pace e tranquillità:

«il vento cessò e ci fu grande bonaccia».

Egli non aspetta che noi abbiamo fede: prima viene in nostro soccorso, e poi ci chiede di credere in Lui (se Dio dovesse attendere la nostra fede per venire a salvarci, chissà che fine avremmo fatto, da tempo!).

La quiete dopo la tempesta rappresenta lo stato iniziale della Creazione appena uscita dalle mani sapienti di Dio, e anche il Paradiso che Dio ci ha preparato e nel quale desidera che andiamo presto ad abitare.

La vita è fatta così, di momenti di “calma piatta” e altri di tempesta… noi dobbiamo imparare a viverli entrambi in compagnia del Signore: capaci di ringraziarlo per il bene e la pace quando ne possiamo godere, e pronti a metterlo al timone della nostra barca quando vediamo avvicinarsi la prova nella lunga traversata della nostra vita.