L’autenticità non è il fine, ma un mezzo
Omelia per mercoledì 19 giugno 2024
Per essere cristiani autentici non basta «non farsi vedere»: occorre confrontarsi in ogni cosa col Padre, che vede e aiuta a capire l’intimità del cuore.
Letture: 2Re 2,1.6-14; Sal 30 (31); Mt 6,1-6.16-18
Ho già commentato due anni fa il brano della Prima Lettura, che narra il passaggio di consegne tra Elia ed Eliseo, perciò, vi rimando a quel commento se volete continuare la riflessione sui testi del Primo Libro dei Re.
Controcorrente
Anche il testo del vangelo di oggi è una pagina che ci è famigliare (perché la ascoltiamo ogni anno il Mercoledì delle Ceneri) ma ha qualcosa da dirci ogni volta.
Gesù ci invita a non fare nulla con la finalità di essere notati, ammirati, apprezzati, lodati dagli uomini, dalla gente… e qui vediamo subito come il Vangelo ci chieda sempre di remare controcorrente.
Fare le cose di nascosto, senza dirle a nessuno, al giorno d’oggi sembra la cosa più difficile del mondo: viviamo quasi tutti sui social, e lo scopo di questi “luoghi” non è altro se non il cercare visibilità e apprezzamento, anche per chi non fa l’influencer di “mestiere”.
In cerca di visibilità
Se nessuno clicca il “cuoricino” o il “pollice in su” per dire che ha notato e apprezzato la foto che abbiamo pubblicato andiamo in crisi, scende in noi un velo di tristezza, come se tutto ciò che facciamo perdesse senso.
E allora ci chiudiamo in noi stessi, sdegnati, puntando il dito sull’ipocrisia di chi ha successo su queste piattaforme, reclamando per noi – e solo per noi – il “marchio” dell’autenticità, delle “persone vere e reali”.
Anche nella via reale
Questa cosa, però, non è solo un fenomeno dei social o di internet: tutti noi soffriamo quando nessuno si accorge di quello che facciamo, dell’impegno che ci mettiamo.
Anche quando non abbiamo nessuna intenzione di farci vedere dagli altri, sentiamo il bisogno – alla fine – di un “grazie”, di un apprezzamento.
La cosa è molto umana e comprensibile, ma il Signore ci chiede di passare a un livello superiore.
Entrare in rapporto con Dio
La segretezza che Gesù ci chiede non è fine a se stessa, ma è la condizione per entrare in rapporto con Dio.
L’elemosina, la preghiera e il digiuno, infatti, non sono delle “pratiche di pietà”, ma atteggiamenti la cui finalità è farci entrare in simbiosi col Padre:
- col digiuno, cerchiamo di spezzare quel circolo vizioso ed egoistico del rispondere automaticamente ad ogni nostra voglia, per vedere e capire i bisogni di chi ci sta attorno;
- con la preghiera entriamo in intimità diretta col Padre e, attraverso di Lui, coi nostri fratelli;
- con l’elemosina, trasformiamo quanto appreso nel digiuno e nella preghiera, diventando le mani di Dio per soccorrere i più piccoli.
Cos’è l’autenticità?
Perciò, capiamo bene, che, se il fare le cose «nel segreto» è un requisito necessario, non è, però, il fine e non è automaticamente segno di autenticità nell’agire.
Se fare l’elemosina è un modo per “sentirsi a posto”, se digiunare ci fa sentire degli “eroi”, se la preghiera è solo introspezione solitaria e un modo per staccarci dal mondo, beh… tutto questo non ha nulla a che fare con l’essere autentici figli dell’Altissimo (cfr Lc 6,35-36).
Autenticità non è semplicemente fare cose buone senza farsi vedere dagli altri, ma farle sempre al cospetto del Padre, ovvero: chiedendo conferma ogni volta a Lui (che vede nel segreto più intimo del nostro cuore) se quello che pensiamo, desideriamo e facciamo è secondo la Sua volontà, se è il “calco” perfetto del Suo Amore misericordioso.
Perché essere autentici?
In conclusione, non ci deve interessare di essere autentici tanto per fregiarci dell’etichetta di “cristiani DOC” (o – peggio – per gloriarci davanti a Dio), ma per essere sicuri di essere strumenti utili e preziosi nelle Sue mani, così da permettergli di spandere il Suo Amore in tutto il mondo.