Misericordia io voglio. Festa di san Matteo

Misericordia io voglio
Omelia per sabato 21 settembre 2024

Il cuore del vangelo di Matteo è la sua esperienza di peccatore perdonato, amato e chiamato ad annunciare con gioia la misericordia di Dio.

Letture: Ef 4,1-7.11-13; Sal 18 (19); Mt 9,9-13

Nel Vangelo di oggi il narratore e il personaggio principale dell’episodio coincidono: Matteo stesso racconta la propria chiamata da parte di Gesù.

Senza pudore

Soltanto lui, nel suo vangelo, indica se stesso col proprio nome; gli altri evangelisti lo chiamano Levi (il suo secondo nome), forse per pudore, per “velare” il suo nome di pubblicano.

Matteo invece non ha vergogna, anzi: si riconosce fieramente come un pubblicano, uno di quei personaggi poco onesti e disprezzati come collaboratori dei Romani occupanti.

Gesù non ha schifo

I farisei lo evitavano come peccatore, impuro, ospite non raccomandabile… ma Gesù no: Gesù l’ha chiamato.

Ha chiamato proprio lui, e proprio perché era pubblicano, evitato da tutto l’entourage del Tempio e della “società per bene”:

«Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».

La cosa l’ha lasciato così esterrefatto che non ha potuto far altro che chiamare a sé tutti i suoi amici:

sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli.

La festa della misericordia

Non aveva ancora ascoltato la stupenda parabola della pecorella smarrita, ma quella gioia di sentirsi cercato, ritrovato, perdonato, accolto, portato sulle spalle, l’aveva già contagiato, e così non ha potuto far altro che comportarsi come quel Pastore:

pieno di gioia… va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: «Rallegratevi con me!» (cfr Lc 15,1-7)

Una gioia contagiosa

Matteo è un “misericordiato” (per usare un neologismo di Papa Francesco), uno che ha incontrato Cristo al margine di una vita che sembrava ormai del tutto compromessa.

Gesù l’ha chiamato senza porre alcuna condizione. Questo è il motivo della sua gioia, che non poteva non essere condivisa e diventare contagiosa, tanto da farsi “vangelo”, «buona notizia».

Il fariseo che c’è in noi

Ma questo modo di fare di Dio fa innervosire i farisei di tutti i tempi.

Anche noi portiamo nel cuore un fariseo, che mormora e protesta, perché non accetta che l’amore e il perdono si “svendano” così.

E allora, anche a noi, oggi, il Maestro ripete:

«Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”».1

L’unica cosa che conta

L’amore di Dio è pura gratuità, e non ce lo potremo meritare mai!

Io l’ho capito perché l’ho sperimentato sulla mia pelle, e non solo una volta: Dio mi ama infinitamente e mi perdona infinite volte, senza alcun merito da parte mia.

E da quando ho sperimentato questa misericordia non posso più farne a meno, per me e per chi viene a chiederla attraverso di me nel sacramento della Confessione (o la chiede a me, domandando il mio perdono).

In mezzo a tutte le cattiverie di questo mondo, e anche a tutte le sottili cattiverie che serpeggiano nelle nostre comunità “cristiane”, vado in cerca dell’unica cosa che conta: l’amore di Dio, il Suo perdono gratuito, perché non siamo altro che peccatori perdonati e chiamati – come Matteo – a raccontare e annunciare questo dono immeritato.

#appuntalaparola

Sappiatevi amati, fratelli nel Signore! Sappiatevi perdonati sempre!

E desiderate solo di non fermare mai questo fiume d’Amore!

Da tanto tempo, e per sempre, questo è uno dei miei ulteriori hashtag, o “parola-chiave”, Post-it da appendere sullo sportello del frigorifero:

Voglio misericordia!

  1. Cfr 1Sam 15,22; Os 6,6. ↩︎