Mormora, che il Signore è paziente

Mormora, protesta, che il Signore è paziente

La mormorazione è un atteggiamento che caratterizza spesso anche il nostro percorso di vita e di fede. L’invito è a trasformare la lamentela in preghiera.

Commento alle letture di mercoledì 26 luglio 2023

Letture: Es 16,1-5.9-15; Sal 77 (78); Mt 13,1-9

Eccoci in cammino, assieme al popolo di Israele. Abbiamo attraversato il Mar Rosso e abbiamo visto «la mano potente con la quale il Signore aveva agito contro l’Egitto».

Abbiamo cantato il trionfo mirabile del Signore, incitati da Mosè (cfr Es 15,1-18) e poi da sua sorella Maria (cfr Es 15,19-21).

Il bello dura poco

Ma l’esaltazione è durata poco: il tempo di entrare nel deserto e camminarci per tre giorni per sperimentare il primo grande problema: la sete.

Il Lezionario ci fa saltare il racconto di Mara (cfr Es 15,22-27), che però è importante per l’introduzione di due temi che saranno un po’ lo “schema generale” della narrazione dell’Esodo:

  1. il continuo mormorare del popolo;
  2. la risposta paziente del Signore che, insieme, mette alla prova il popolo e chiede fedeltà alla Sua Parola.

Lo “sport” preferito

Nei racconti dell’Esodo e dei Numeri il cammino nel deserto è scandito dai mormorii di Israele: a causa della sete (cfr Es 15,22-27 e Nm 20,2-13), della fame (cfr Es 16 e Nm 11), dei pericoli della guerra (cfr Nm 14).

Israele è un popolo recalcitrante, che respinge persino i benefici del suo Dio, come descritto dal Salmo 78 (di cui leggiamo alcuni versetti nel Salmo Responsoriale oggi) e dal Salmo 106.

Insomma, ci si rispecchia bene in questo popolo, chi più, chi meno: tutti mormoriamo nella nostra vita, interiormente o pubblicamente. Pare che brontolare sia il nostro “sport” preferito.

Casomai, dovremmo chiederci il motivo del nostro brontolare, e soprattutto se le argomentazioni addotte siano adatte o fuori luogo.

Perché mormoriamo?

La fame, la sete, la paura dei pericoli sono motivazioni sufficientemente valide per lamentarsi, e quindi non possiamo certo biasimare gli Israeliti per le loro mormorazioni.

Qui dovremmo chiederci:

  • noi per quali motivi mormoriamo? Per cose serie, che feriscono davvero la nostra vita e ostacolano la nostra felicità oppure per cose da nulla, per la noia del vivere, per il semplice gusto di criticare e giudicare tutto e tutti?

Con quali deduzioni?

Quanto alle argomentazioni e allo sviluppo della mormorazione, beh: qualcosa da eccepire c’è di sicuro. Ancora una volta, come abbiamo visto lunedì, il popolo esagera la lamentela, e “mette giù il carico da 90”:

Gli Israeliti dissero loro: «Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine».

Scegliere la morte in schiavitù come alternativa preferibile non è solo un’iperbole linguistica: denota una scontentezza profonda per l’esperienza che si sta vivendo, tanto da squalificarla totalmente.

Ancora una volta, alla possibilità di trovare la libertà e «una terra dove scorrono latte e miele» viene preferita nostalgicamente la schiavitù dell’Egitto (dipinto come un posto dove si mangiava a sazietà: me lo immagino che sazietà fosse concessa a degli schiavi sottoposti ai lavori forzati e alla pulizia etnica!).

  • Anche qui dobbiamo chiederci: quali sono le deduzioni delle nostre lamentele (anche le più serie e motivate)? Sono commisurate alla sofferenza che stiamo sperimentando o superano ogni logica, cancellando totalmente ogni bene di cui Dio ci fa destinatari?

Misericordia e prova

Il secondo tema che caratterizza la narrazione dell’Esodo è la risposta inaspettata di Dio: anziché arrabbiarsi (come faremmo noi), il Signore risponde con clemenza, generosità e bontà, donando al popolo ciò di cui ha bisogno.

Ma insieme con il cibo, Dio dà al popolo una prova:

Allora il Signore disse a Mosè: «Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge. Ma il sesto giorno, quando prepareranno quello che dovranno portare a casa, sarà il doppio di ciò che avranno raccolto ogni altro giorno».

Dio, da Padre buono e sapiente, dà al Suo figlio Israele ciò di cui ha bisogno, ma intanto lo educa alla responsabilità nell’usare ciò che ha ricevuto in dono: chiede agli Israeliti di non essere ingordi e di sapersi fidare di Lui, che darà ogni giorno il pane quotidiano (e il giorno prima del sabato la razione doppia).

Ecco il vero educatore: non risponde alla provocazione con cattiveria e ripicca, e nemmeno con cieca ed ebete bonarietà (come fanno alcuni genitori, che conoscono solo l’alternativa del “dare di matto” o del concedere sempre tutto ai loro figli, pur di non avere noie), ma concede al figlio ciò che è necessario, prendendo l’occasione per responsabilizzarlo.

Verso chi si mormora?

Il Lezionario taglia altri versetti importanti:

Mosè disse: «il Signore ha inteso le mormorazioni con le quali mormorate contro di lui. Noi infatti che cosa siamo? Non contro di noi vanno le vostre mormorazioni, ma contro il Signore» (cfr Es 16,6-8).

La figura di Mosè, che abbiamo già apprezzato lunedì come mediatore tra Dio e il popolo, è ora anche un maestro di discernimento spirituale, perché aiuta il popolo a riflettere sul fatto che – in fin dei conti – la mormorazione era diretta non verso degli uomini, ma direttamente verso Dio.

È importante prendere coscienza del fatto che, per un credente, ogni lamento e mormorazione (soprattutto quelle “generiche” a cui non abbiamo ancora saputo trovare un colpevole reale o un capro espiatorio) ha Dio come ultimo destinatario.

Accorgersi dei doni ricevuti

Un altro insegnamento importante di Mosè al popolo è quello del saper riconoscere i doni di Dio e ringraziarlo:

Quando lo strato di rugiada svanì, ecco, sulla superficie del deserto c’era una cosa fine e granulosa, minuta come è la brina sulla terra.

Gli Israeliti la videro e si dissero l’un l’altro: «Che cos’è?», perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: «È il pane che il Signore vi ha dato in cibo».

È importante che qualcuno ci aiuti in questo, perché spesso le sofferenze, le frustrazioni e il nostro continuo mormorare e lamentarci ci rendono ciechi davanti alle grazie ricevute, specialmente quelle più quotidiane e “scontate” (come la vita, la salute etc.).

Trasformare la lamentela in preghiera

La risposta benevola e educante di Dio non è solo un invito a conoscere «di che pasta è fatto» il nostro Padre celeste (e quindi a spazzar via, ancora una volta, tutte le immagini false che ce Lo dipingono come un despota o un padrone esigente), ma a educare il nostro rapporto con Lui.

Un figlio che si trovasse spiazzato davanti alla bontà inaspettata dei suoi genitori, dovrebbe ritornare sui suoi passi e rivalutare l’opportunità di costruire con loro un dialogo diverso rispetto a quello della sola protesta e della pretesa.

Così è con Dio: se ci fermassimo ogni tanto a considerare quante cose Egli ci ha concesso anche quando non gliele abbiamo chieste “con garbo” e con una preghiera confidente, impareremmo a riformulare le nostre richieste in modo più filiale, e a tradurre le nostre lamentele (quelle che hanno senso di essere espresse) in forma di lamentazione e supplica, come tanti Salmi e altri passi della Scrittura ci insegnano.