Non dire «io… », perché io sono con te!
«Non dire: “Sono giovane”» è un rimprovero per ciascuno di noi: di considerare la nostra storia contando solo sulle nostre forze, e mai sulla grazia di Dio.
Omelia per mercoledì 20 luglio 2022
Letture: Ger 1,1.4-10; Sal 70 (71); Mt 13,1-9
Con oggi iniziamo la lettura e l’ascolto del libro del profeta Geremia, uno dei “giganti” tra i profeti, non solo perché fa parte dei cosiddetti “profeti maggiori”, ma soprattutto per il suo coinvolgimento personale nella sorte della Parola di Dio che gli è affidata (come dicevo già a fine gennaio, nell’omelia per la 4ª Domenica del Tempo Ordinario).
Perché chiami proprio me?
La prima pagina che ascoltiamo di questo profeta è la sua vocazione, un testo che ha molte similitudini con altre vocazioni di Patriarchi o Profeti: a esempio quella di Isaia, che abbiamo meditato una decina di giorni fa; o quella di Mosè (cfr Es 3-4).
La similitudine maggiore in questi racconti di vocazione è il binomio
- forza e potenza di Dio
- fragilità e paura del chiamato.
Anche Geremia – davanti a Dio che gli rivela di averlo «conosciuto», «consacrato» e «stabilito profeta delle nazioni» – risponde con un’esclamazione molto simile a quella di Isaia (cfr Is 6,5):
«Ahimè, Signore Dio!
Ecco, io non so parlare, perché sono giovane».
«Sono giovane»
Se Isaia si sentiva «perduto, perché un uomo dalle labbra impure», Geremia si sente inadeguato, sprovveduto.
È un’obiezione che sembra richiamare il sogno di Salomone (cfr 1Re 3,1-15):
«io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per quantità non si può calcolare né contare».
Salomone, però, non si ferma alla propria giovinezza, e “osa” chiedere a Dio ciò che riconosce di non avere ancora:
Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male».
Lo fa non solo per coraggio, ma anche perché Dio stesso gli aveva detto «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda».
Non dire «sono giovane»
Il Signore non sembra accettare le scuse di Geremia, perché per Lui non sono un ostacolo.
Dio che aveva chiamato Davide quando era solo un ragazzino (cfr 1Sam 16,12 e 1Sam 17,42) non poteva chiamare anche il giovane Geremia?
Dio rassicura il Suo eletto con una promessa:
«Non aver paura di fronte a loro,
perché io sono con te per proteggerti».
È una rassicurazione che – sotto sotto – è anche un rimprovero velato, come a dire:
«Non dire “io…”! Credi che ti mandi allo sbaraglio, tutto solo?»
Dio non è uno che dice «armiamoci e partite», e non ci manda come dei “dilettanti allo sbaraglio”!
Dio non ci lascia soli
Dio non affida mai a nessuno un compito, una missione, senza accompagnarla Lui stesso, di persona e con tutti i doni necessari a sostenerla:
Il Signore stese la mano
e mi toccò la bocca,
e il Signore mi disse:
«Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca.Vedi, oggi ti do autorità
sopra le nazioni e sopra i regni
per sradicare e demolire,
per distruggere e abbattere,
per edificare e piantare».
Anche la scena di Dio che mette le Sue parole sulla bocca del profeta richiama da vicino la vocazione di Isaia, a cui il serafino purifica le labbra con un tizzone ardente preso con le molle dall’altare (cfr Is 6,6-7).
In missione per conto di Dio
Dio che mette le parole sulle labbra di Geremia non è solo un’immagine molto bella, ma anche un modo per ricordargli che essere profeti significa proprio non parlare a nome di se stessi, ma a nome di Dio.
È un’immagine che richiama (e anticipa) anche l’insegnamento di Gesù:
«Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi di come o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire, perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire» (Lc 12,11-12).
Noi siamo discepoli del Signore, e siamo mandati nel mondo per annunciare Lui, e non noi stessi. E – se proprio appare così forte la nostra debolezza e inadeguatezza – questo non solo non è un male, ma un bene:
Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi (2Cor 4,7).
Non dire sempre «io…»
Quel «Non dire: “Sono giovane”» è anche per ciascuno di noi.
Anche a noi il Signore ha da rivolgere un rimprovero: di considerare la nostra storia contando sempre e solo sulle nostre forze e le nostre capacità, e non tenendo mai conto della Sua grazia.
Ogni volta che troviamo una “scusa” – per quanto plausibile – in realtà stiamo dicendo al Signore «nemmeno Tu mi puoi aiutare», e questo significa non avere fiducia in Lui.
Ve lo dico sinceramente: se fosse per le mie capacità oggi non sarei prete e non sarei qui a scrivere questi pensieri e a condividerli con voi!